
Albrecht Dürer, Navis Stultorum (in S. Brant, Narrenschiff - 1497)
giovedì 2 dicembre 2010
CoCoCo7 - Situazione degrado delle scuole in città
Alla luce di numerose segnalazioni, alcune delle quali hanno raggiunto le pagine degli organi di stampa e sono state anche oggetto di un'allarmata denuncia da parte della segreteria provinciale della Cgil Scuola questa settimana, intendo porre all'attenzione del Consiglio Comunale e degli Assessorati competenti la situazione in cui versano le scuole comasche, in particolare quelle materne ed elementari.
Se i tagli dei docenti e del personale ausiliario stanno incidendo per parte loro sulla qualità del servizio offerto, ma è il Governo, non il Comune ad avere in proposito responsabilità dirette, non altrettanto può dirsi per la decadenza delle strutture e l’inadeguatezza degli edifici.
Ci viene riferito che in varie palestre non si può giocare con la palla perché gli impianti non garantiscono sicurezza, che non di rado i bambini sono costretti a mangiare in due turni perché i locali per la mensa sono troppo piccoli per ospitare tutti, che gli infissi non solo sono vecchi, ma in molti casi anche pericolanti, che i muri attendono almeno una mano di vernice da anni, che i giardini e i cortili non ricevono la necessaria manutenzione, che i bagni sono ridotti in condizioni pietose e a volte inservibili. Non sarà certo la fotografia esatta di ogni singolo istituto, o almeno lo spero, ma le lamentele che provengono – soprattutto dalle famiglie comprensibilmente preoccupate – sono ormai troppo numerose per ritenere che si tratti di casi isolati.
Voglio sperare che tutti ci rendiamo conto di quanto la funzionalità e il decoro dell’ambiente rappresentino elementi fondamentali per l’apprendimento dei nostri figli. Una parte rilevante dell'educazione alla convivenza civile, al rispetto delle strutture, anche alla percezione del bello, la scuola li trasmette attraverso l'aspetto delle proprie aule, dei corridoi, dei servizi. Queste cose ovviamente hanno un costo: ma non è un costo accessorio, una vanità, un amore del superfluo. Queste, semmai, sono le caratteristiche precipue dei fuochi d'artificio nell'inaugurazione di un cantiere o di una mostra in cui un qualche politico vuole fare la ruota.
Vogliamo invece badare al sodo? Allora non possiamo permettere che la scuola statale comasca cada nel baratro dell’indifferenza e del degrado. Mantenere le cose come stanno è un doppio misfatto: tanto per i pericoli che si possono determinare, quanto perché, continuando così, si crea per i nostri istituti un eccellente biglietto da visita per indurre l'utenza a rivolgersi altrove, ovverosia alle strutture non statali che giustamente curano la propria immagine esteriore allo scopo di impressionare favorevolmente i potenziali clienti. Ma a noi è dato di amministrare la “cosa pubblica” in modo che possa rappresentare l'eccellenza del servizio, non il ripiego per chi non ha mezzi. Altrimenti è meglio che andiamo a casa.
Da ultimo, la settimana scorsa si è resa evidente la problematicità della struttura di Via Sinigaglia, ove i rappresentanti dei genitori sono arrivati al punto di minacciare di rivolgersi alla Procura della Repubblica per le numerose infiltrazioni d'acqua che determinano il distacco di parti anche rilevanti della controsoffittatura. Prendo atto che l'Assessore Scopelliti ha annunciato un'immediata ispezione, che ritengo abbia già avuto luogo, e chiedo di conoscerne gli esiti. Ma soprattutto chiedo che venga definita e poi realizzata una serie di impegni precisi, un quadro degli interventi che, da qui al termine del presente mandato amministrativo, si intendono realizzare nei diversi edifici scolastici permettendo alle scuole cittadine di funzionare in sicurezza e serenità. Ricordo che questa non è una concessione che il Comune può dare, quando valuta che le sue casse siano abbastanza piene (e ora, evidentemente, per un complesso di scelte errate, non lo sono): ma è un preciso diritto di studenti, genitori, e di quanti operano nella scuola, cui corrisponde un obbligo vincolante da parte dell'Amministrazione.
Se i tagli dei docenti e del personale ausiliario stanno incidendo per parte loro sulla qualità del servizio offerto, ma è il Governo, non il Comune ad avere in proposito responsabilità dirette, non altrettanto può dirsi per la decadenza delle strutture e l’inadeguatezza degli edifici.
Ci viene riferito che in varie palestre non si può giocare con la palla perché gli impianti non garantiscono sicurezza, che non di rado i bambini sono costretti a mangiare in due turni perché i locali per la mensa sono troppo piccoli per ospitare tutti, che gli infissi non solo sono vecchi, ma in molti casi anche pericolanti, che i muri attendono almeno una mano di vernice da anni, che i giardini e i cortili non ricevono la necessaria manutenzione, che i bagni sono ridotti in condizioni pietose e a volte inservibili. Non sarà certo la fotografia esatta di ogni singolo istituto, o almeno lo spero, ma le lamentele che provengono – soprattutto dalle famiglie comprensibilmente preoccupate – sono ormai troppo numerose per ritenere che si tratti di casi isolati.
Voglio sperare che tutti ci rendiamo conto di quanto la funzionalità e il decoro dell’ambiente rappresentino elementi fondamentali per l’apprendimento dei nostri figli. Una parte rilevante dell'educazione alla convivenza civile, al rispetto delle strutture, anche alla percezione del bello, la scuola li trasmette attraverso l'aspetto delle proprie aule, dei corridoi, dei servizi. Queste cose ovviamente hanno un costo: ma non è un costo accessorio, una vanità, un amore del superfluo. Queste, semmai, sono le caratteristiche precipue dei fuochi d'artificio nell'inaugurazione di un cantiere o di una mostra in cui un qualche politico vuole fare la ruota.
Vogliamo invece badare al sodo? Allora non possiamo permettere che la scuola statale comasca cada nel baratro dell’indifferenza e del degrado. Mantenere le cose come stanno è un doppio misfatto: tanto per i pericoli che si possono determinare, quanto perché, continuando così, si crea per i nostri istituti un eccellente biglietto da visita per indurre l'utenza a rivolgersi altrove, ovverosia alle strutture non statali che giustamente curano la propria immagine esteriore allo scopo di impressionare favorevolmente i potenziali clienti. Ma a noi è dato di amministrare la “cosa pubblica” in modo che possa rappresentare l'eccellenza del servizio, non il ripiego per chi non ha mezzi. Altrimenti è meglio che andiamo a casa.
Da ultimo, la settimana scorsa si è resa evidente la problematicità della struttura di Via Sinigaglia, ove i rappresentanti dei genitori sono arrivati al punto di minacciare di rivolgersi alla Procura della Repubblica per le numerose infiltrazioni d'acqua che determinano il distacco di parti anche rilevanti della controsoffittatura. Prendo atto che l'Assessore Scopelliti ha annunciato un'immediata ispezione, che ritengo abbia già avuto luogo, e chiedo di conoscerne gli esiti. Ma soprattutto chiedo che venga definita e poi realizzata una serie di impegni precisi, un quadro degli interventi che, da qui al termine del presente mandato amministrativo, si intendono realizzare nei diversi edifici scolastici permettendo alle scuole cittadine di funzionare in sicurezza e serenità. Ricordo che questa non è una concessione che il Comune può dare, quando valuta che le sue casse siano abbastanza piene (e ora, evidentemente, per un complesso di scelte errate, non lo sono): ma è un preciso diritto di studenti, genitori, e di quanti operano nella scuola, cui corrisponde un obbligo vincolante da parte dell'Amministrazione.
mercoledì 1 dicembre 2010
TeleLetizia
Il recente completamento del passaggio al digitale terrestre ci ha messo a disposizione una quantità di nuovi canali. Aumenterà anche la qualità dell'offerta? Qualche dubbio può sorgere assistendo alle trasmissioni di una rete che porta il nome di Milano 2015, con chiaro riferimento al prossimo Expo. Speriamo che non sia anche finanziata coi soldi di Expo, ossia con i nostri, perché i programmi cui ho assistito sono stupefacenti, a tratti esilaranti, ma alla fine lasciano addosso una certa tristezza. Quasi tutto ruota attorno alla figura del sindaco Moratti, comprensibilmente protesa a ravvivare un'immagine appannata con una strategia comunicativa di vecchio stampo. La si vede girare di qua e di là, stringendo mani e dicendo le consuete banalità dei politici quando recitano la parte di quelli che stanno vicino alla gente. Ho così potuto assistere all'incontro con i nonni della cascina San Paolo, ove la Moratti balla con loro e con grande spontaneità non si trattiene davanti al calciobalilla, segnando addirittura un goal. Davvero emozionante, almeno quanto il tenore dei dialoghi: buongiorno, buongiorno (ripetuto per lunghi minuti, in fondo è un reality), quale onore, come ti chiami, che bella sciura... un vero spasso! E i famosi “tempi televisivi” di cui tanto si parla?
Gli spettatori milanesi, che hanno potuto bearsi di questo spettacolo sin da luglio, riferiscono di aver assistito ad interviste “scomode” di giornalisti agguerriti: “ci dica, cosa lascerà a Milano dopo il suo mandato?” E poi: il sindaco sui mezzi pubblici, il sindaco nei cantieri di Paolo Sarpi, il sindaco che parla con una negoziante cinese, il sindaco in giro per la notte bianca dello shopping, il sindaco che aiuta un extracomunitario telefonando col suo cellulare ad un assessore e passandoglielo (!), il sindaco che parla di sicurezza, il sindaco che fa una gita in barca, che ride, che si indigna, che stringe le mani.
Come potrebbe una simile emittente restare sul mercato e raccogliere pubblicità? E infatti non le serve: la proprietà sarebbe di una onlus vicina al sindaco, presieduta da Franco Camera, da sempre uomo di fiducia della famiglia Moratti, che ha acquistato per un anno la possibilità di trasmettere su un canale di Telenova. Un anno. Giusto la durata della prossima campagna elettorale, anche se il neodirettore Roberto Poletti si meraviglia: “Molti giornalisti chiamano Milano 2015 “TeleLetizia” non so perché, dal momento che è una televisione che non è di proprietà del sindaco ma di un’associazione formata da imprenditori milanesi, alcuni dei quali vicini al sindaco”.
Una grande conquista della libertà di espressione, dunque: chissà che non suggerisca un nuovo stile comunicativo anche al sindaco di Como. Dopo la rinuncia agli incontri del martedì con la stampa, potrebbe magari inaugurare con un reality personale una nuova “operazione simpatia”.
Gli spettatori milanesi, che hanno potuto bearsi di questo spettacolo sin da luglio, riferiscono di aver assistito ad interviste “scomode” di giornalisti agguerriti: “ci dica, cosa lascerà a Milano dopo il suo mandato?” E poi: il sindaco sui mezzi pubblici, il sindaco nei cantieri di Paolo Sarpi, il sindaco che parla con una negoziante cinese, il sindaco in giro per la notte bianca dello shopping, il sindaco che aiuta un extracomunitario telefonando col suo cellulare ad un assessore e passandoglielo (!), il sindaco che parla di sicurezza, il sindaco che fa una gita in barca, che ride, che si indigna, che stringe le mani.
Come potrebbe una simile emittente restare sul mercato e raccogliere pubblicità? E infatti non le serve: la proprietà sarebbe di una onlus vicina al sindaco, presieduta da Franco Camera, da sempre uomo di fiducia della famiglia Moratti, che ha acquistato per un anno la possibilità di trasmettere su un canale di Telenova. Un anno. Giusto la durata della prossima campagna elettorale, anche se il neodirettore Roberto Poletti si meraviglia: “Molti giornalisti chiamano Milano 2015 “TeleLetizia” non so perché, dal momento che è una televisione che non è di proprietà del sindaco ma di un’associazione formata da imprenditori milanesi, alcuni dei quali vicini al sindaco”.
Una grande conquista della libertà di espressione, dunque: chissà che non suggerisca un nuovo stile comunicativo anche al sindaco di Como. Dopo la rinuncia agli incontri del martedì con la stampa, potrebbe magari inaugurare con un reality personale una nuova “operazione simpatia”.
giovedì 25 novembre 2010
CoCoCo6 - Situazione acque di Via Bixio
Intendo segnalare la situazione di Via Bixio, ma il discorso può estendersi alla gran parte dei rilievi che circondano la convalle, ove si evidenzia un sistema di deflusso delle acque piovane decisamente inadeguato e che è causa di dissesti numerosi e sempre più preoccupanti.
In via Bixio appare evidente che un sistema di griglie è posto soltanto negli ultimi 300 metri a valle, mentre praticamente per tutto il restante corso della strada le acque sul piano stradale non sembrano essere raccolte né convogliate. Fa eccezione un'unica griglia posta in corrispondenza di una doppia curva, che tuttavia è perennemente intasata.
Non sono un esperto della materia, ma posso constatare gli effetti più evidenti: in presenza di un flusso costante di acque, che non si esaurisce con le piogge, ma scende dal pendio ancora a distanza di giorni, ad esempio, la via rimane irrigata in certi tratti anche col tempo sereno. Poco male, in sé. Peccato che durante le precipitazioni le acque acquistino più impeto e volume, determinando una maggiore pressione e continue infiltrazioni nelle vie circonvicine. Si è concluso stamattina, ad esempio, il ripristino di un tratto sprofondato per l'erosione sotterranea della via Leonardo da Vinci, a cura e spese dei residenti, naturalmente, dato che la strada è vicinale e ad uso pubblico ma formalmente “privata”. Tra l'altro a distanza di pochi mesi da un intervento assolutamente analogo. È ovvio che i residenti si stiano chiedendo se l'incuria generalizzata e il mancato drenaggio sulla via Bixio non abbiano nulla a che fare con questi ed altri piccoli disastri, che si accompagnano a invasione di scantinati e smottamenti di lieve entità (per ora...).
Oltre a sollecitare all'Assessorato competente un sopralluogo urgente atto a determinare gli interventi necessari in via Bixio, mi permetto anche una sommaria riflessione su quanto la città si trova a subire da non pochi anni, non certo solo in questa zona. Il proliferare di costruzioni, le spianate di cemento piccole e grandi, uniti all'insufficienza delle infrastrutture, impediscono alle rogge e alle acque piovane di convergere a valle secondo un tradizionale assetto naturale. Insomma, il classico dissesto idrogeologico provocato dall'insipienza umana, come ci insegnavano alle elementari. Ma si parlava delle pendici appenniniche, di grandi fiumi, di alluvioni di proporzioni tremende. Ora, pian piano, il degrado ci raggiunge per effetto della convergenza tra l'abbandono di una saggia manutenzione ed una dissennata avidità cementificatrice.
Perciò chiedo a tutti di riflettere se non sia necessaria un'immediata inversione di tendenza. Anche perché i tagli e i risparmi di oggi hanno senso solo se non determinano spese ancor più insostenibili domani: altrimenti vanno a sommarsi ad una serie di errori già troppo lunga per essere tollerata.
In via Bixio appare evidente che un sistema di griglie è posto soltanto negli ultimi 300 metri a valle, mentre praticamente per tutto il restante corso della strada le acque sul piano stradale non sembrano essere raccolte né convogliate. Fa eccezione un'unica griglia posta in corrispondenza di una doppia curva, che tuttavia è perennemente intasata.
Non sono un esperto della materia, ma posso constatare gli effetti più evidenti: in presenza di un flusso costante di acque, che non si esaurisce con le piogge, ma scende dal pendio ancora a distanza di giorni, ad esempio, la via rimane irrigata in certi tratti anche col tempo sereno. Poco male, in sé. Peccato che durante le precipitazioni le acque acquistino più impeto e volume, determinando una maggiore pressione e continue infiltrazioni nelle vie circonvicine. Si è concluso stamattina, ad esempio, il ripristino di un tratto sprofondato per l'erosione sotterranea della via Leonardo da Vinci, a cura e spese dei residenti, naturalmente, dato che la strada è vicinale e ad uso pubblico ma formalmente “privata”. Tra l'altro a distanza di pochi mesi da un intervento assolutamente analogo. È ovvio che i residenti si stiano chiedendo se l'incuria generalizzata e il mancato drenaggio sulla via Bixio non abbiano nulla a che fare con questi ed altri piccoli disastri, che si accompagnano a invasione di scantinati e smottamenti di lieve entità (per ora...).
Oltre a sollecitare all'Assessorato competente un sopralluogo urgente atto a determinare gli interventi necessari in via Bixio, mi permetto anche una sommaria riflessione su quanto la città si trova a subire da non pochi anni, non certo solo in questa zona. Il proliferare di costruzioni, le spianate di cemento piccole e grandi, uniti all'insufficienza delle infrastrutture, impediscono alle rogge e alle acque piovane di convergere a valle secondo un tradizionale assetto naturale. Insomma, il classico dissesto idrogeologico provocato dall'insipienza umana, come ci insegnavano alle elementari. Ma si parlava delle pendici appenniniche, di grandi fiumi, di alluvioni di proporzioni tremende. Ora, pian piano, il degrado ci raggiunge per effetto della convergenza tra l'abbandono di una saggia manutenzione ed una dissennata avidità cementificatrice.
Perciò chiedo a tutti di riflettere se non sia necessaria un'immediata inversione di tendenza. Anche perché i tagli e i risparmi di oggi hanno senso solo se non determinano spese ancor più insostenibili domani: altrimenti vanno a sommarsi ad una serie di errori già troppo lunga per essere tollerata.
martedì 16 novembre 2010
Sconforto per una città umiliata
All'indomani della votazione sulla mozione di sfiducia in consiglio comunale, sono alquanto rattristato dallo spettacolo che è stato offerto, peraltro ad un prezzo non molto economico, e penso che dovremmo chiedere scusa alla città che, una volta di più, si è vista presa in giro e umiliata dalle troppe manovre messe in campo. D'accordo che una seduta di autoanalisi ogni tanto può rivelarsi liberatoria e persino utile, ma se il buongiorno si vede dal mattino... E qui il mattino è passato da un pezzo: indipendentemente dall'esito, come non essere delusi avendo assistito da un lato allo spreco di tempo provocato in primis dalle tattiche dilatorie interne alla maggioranza (le ripetute critiche erano più che fondate, ma proprio non potevano mettersi d'accordo in tempi brevi?), dall'altro al disperato tentativo del sindaco di appellarsi a destra e a manca per occultare tutte le promesse non mantenute, che poi si è semplicemente limitato a rinnovare?
Mi si dirà che questa è la politica, con le sue regole. Temo piuttosto che questa sia la politica come noi l'abbiamo ridotta, e come il paese si è ormai da tempo abituato a viverla. Se non altro, il Consiglio comunale ha offerto una rappresentazione compiuta e veritiera di come i problemi vengano affrontati da questa amministrazione, che di certo (restando immutata la classe politica) ha ribadito di non volere o non saper cambiare abitudini. Si permane lontani da ogni chiarezza e trasparenza di motivazioni, senza badare allo spreco di tempo e di risorse pubbliche, una volta assicurandosi il tempo necessario per le estenuanti trattative, con l'unica preoccupazione di difendere equilibri di potere, che a ben guardare non hanno molto a che fare con il rilancio della città.
Nulla di sorprendente: in tutte le epoche di crisi, quando una civiltà o un impero si esauriscono, cominciano a logorarsi in faide intestine e in discussioni interminabili, che non risolvono nulla né tanto meno progettano il futuro oltre l'indomani, in quella perversione della politica eretta a stile di governo che è il tirare a campare, il posizionarsi giorno per giorno alla ricerca di un consenso tanto più effimero, quanto più si fonda sugli scambi e sui favori, non sulla crescita del paese, sulla lungimiranza, sulla valorizzazione del merito.
Lo sconforto è profondo: così come gli avvenimenti nazionali ci stanno rendendo in modo eloquente la reale misura dell'incapacità della classe dirigente di questo paese, la vicenda delle nostre inutili serate mette in evidenza per la città l’inefficienza eretta a sistema. Inutile dire che questo non lascia ben sperare per il futuro dei nostri figli. Soprattutto se i padri hanno insegnato loro a non cercare raccomandazioni.
Mi si dirà che questa è la politica, con le sue regole. Temo piuttosto che questa sia la politica come noi l'abbiamo ridotta, e come il paese si è ormai da tempo abituato a viverla. Se non altro, il Consiglio comunale ha offerto una rappresentazione compiuta e veritiera di come i problemi vengano affrontati da questa amministrazione, che di certo (restando immutata la classe politica) ha ribadito di non volere o non saper cambiare abitudini. Si permane lontani da ogni chiarezza e trasparenza di motivazioni, senza badare allo spreco di tempo e di risorse pubbliche, una volta assicurandosi il tempo necessario per le estenuanti trattative, con l'unica preoccupazione di difendere equilibri di potere, che a ben guardare non hanno molto a che fare con il rilancio della città.
Nulla di sorprendente: in tutte le epoche di crisi, quando una civiltà o un impero si esauriscono, cominciano a logorarsi in faide intestine e in discussioni interminabili, che non risolvono nulla né tanto meno progettano il futuro oltre l'indomani, in quella perversione della politica eretta a stile di governo che è il tirare a campare, il posizionarsi giorno per giorno alla ricerca di un consenso tanto più effimero, quanto più si fonda sugli scambi e sui favori, non sulla crescita del paese, sulla lungimiranza, sulla valorizzazione del merito.
Lo sconforto è profondo: così come gli avvenimenti nazionali ci stanno rendendo in modo eloquente la reale misura dell'incapacità della classe dirigente di questo paese, la vicenda delle nostre inutili serate mette in evidenza per la città l’inefficienza eretta a sistema. Inutile dire che questo non lascia ben sperare per il futuro dei nostri figli. Soprattutto se i padri hanno insegnato loro a non cercare raccomandazioni.
lunedì 15 novembre 2010
CoCoCo5 - Mozione di sfiducia al Sindaco - Intervento (2)
Di fronte al fatto che sinora, nel dibattito di questa sera, gli esponenti della maggioranza che hanno in precedenza espresso le loro forti critiche al sindaco non hanno ancora manifestato le loro recenti convinzioni, alla luce dei colloqui e delle trattative intercorse in questi ultimi giorni, desidero chiedere loro di esplicitare la posizione a cui sono giunti. Ci si dia conto di queste trattative, non solo per soddisfare la mia modesta curiosità, ma anche quella degli “amici” giornalisti presenti, e soprattutto quella più che legittima dei cittadini che dite di rappresentare, e che hanno tutto il diritto a un poco di trasparenza.
sabato 13 novembre 2010
Disastri annunciati
La preservazione del patrimonio culturale, la cura dell'ambiente, la messa in sicurezza delle aree a rischio geologico, sono esigenze superflue di pochi “fissati”? Non opportunità da cogliere e rilanciare, ma solo lussi che il Paese in crisi non può più permettersi? A leggere l'annuncio degli stanziamenti governativi per queste voci c'è da rabbrividire, come nel caso dei bilanci del dicastero dell'Ambiente: dai 1.649 milioni del 2008 si è scesi per l'anno in corso a 738 (meno della metà), prevedendo di giungere a poco più di 500 per gli anni a venire. E, confessiamolo, non abbiamo mai avuto la sensazione che in precedenza si scialasse.
Cosa questo significhi in termini concreti, lo annuncia da tempo il ministro Prestigiacomo: almeno la metà dei parchi naturali verranno chiusi, mancando anche i soldi per saldare le bollette. L'Istituto superiore per la ricerca ambientale (Ispra) non ha più i fondi necessari a pagare interamente gli stipendi, né tantomeno le convenzioni esterne. Perciò, niente più monitoraggio del territorio, o quasi. Niente più soldi a bilancio per alcuna bonifica (meno 3 miliardi), e per una serie di altri progetti; restano circa 900 milioni per il disastro idrogeologico, comunque il 20% in meno.
Questa è una logica da efficienti amministratori, desiderosi di razionalizzare la spesa pubblica, o è un procedere da massacratori scriteriati, capaci di “tagli orizzontali” ma non di interventi mirati? È davvero sensato dissipare la risorsa preziosa e ineguagliabile delle bellezze del territorio e del patrimonio artistico, anziché rilanciare l'economia turistica con un adeguato piano di investimenti (fatto non solo di marketing, slogan, loghi e simboli), valorizzando tali risorse, creando posti di lavoro e, possibilmente, prevenendo disastri che, quando si verificano, provocano lutti e aggravi di spesa ben maggiori dei risparmi fasulli? Ma si è scoperto che a tranquillizzarci, in caso di calamità, bastano meri annunci di stanziamenti, qualche comparizione mediatica e appelli alla generosità privata. Quanto al rilancio dell'economia nel medio e lungo termine, questa politica lo ignora del tutto, dato che i posti da preservare veramente sembrano solo quelli del sottobosco partitico, che pensare al futuro oltre le prossime elezioni non porta voti di clienti interessati, e che la gente la persuadi raccontandogli ancora la favola un po' logora che non gli metti le mani in tasca. Ammesso e non concesso che le tasche restino intatte, l'inarrestabile disfacimento di tutto il resto davvero non si paga, e salato?
Qualcuno ha detto di recente che questo, più che l'esecutivo del “fare”, è il governo del “fare finta”. Come dargli torto?
Cosa questo significhi in termini concreti, lo annuncia da tempo il ministro Prestigiacomo: almeno la metà dei parchi naturali verranno chiusi, mancando anche i soldi per saldare le bollette. L'Istituto superiore per la ricerca ambientale (Ispra) non ha più i fondi necessari a pagare interamente gli stipendi, né tantomeno le convenzioni esterne. Perciò, niente più monitoraggio del territorio, o quasi. Niente più soldi a bilancio per alcuna bonifica (meno 3 miliardi), e per una serie di altri progetti; restano circa 900 milioni per il disastro idrogeologico, comunque il 20% in meno.
Questa è una logica da efficienti amministratori, desiderosi di razionalizzare la spesa pubblica, o è un procedere da massacratori scriteriati, capaci di “tagli orizzontali” ma non di interventi mirati? È davvero sensato dissipare la risorsa preziosa e ineguagliabile delle bellezze del territorio e del patrimonio artistico, anziché rilanciare l'economia turistica con un adeguato piano di investimenti (fatto non solo di marketing, slogan, loghi e simboli), valorizzando tali risorse, creando posti di lavoro e, possibilmente, prevenendo disastri che, quando si verificano, provocano lutti e aggravi di spesa ben maggiori dei risparmi fasulli? Ma si è scoperto che a tranquillizzarci, in caso di calamità, bastano meri annunci di stanziamenti, qualche comparizione mediatica e appelli alla generosità privata. Quanto al rilancio dell'economia nel medio e lungo termine, questa politica lo ignora del tutto, dato che i posti da preservare veramente sembrano solo quelli del sottobosco partitico, che pensare al futuro oltre le prossime elezioni non porta voti di clienti interessati, e che la gente la persuadi raccontandogli ancora la favola un po' logora che non gli metti le mani in tasca. Ammesso e non concesso che le tasche restino intatte, l'inarrestabile disfacimento di tutto il resto davvero non si paga, e salato?
Qualcuno ha detto di recente che questo, più che l'esecutivo del “fare”, è il governo del “fare finta”. Come dargli torto?
lunedì 8 novembre 2010
CoCoCo4 - Mozione di sfiducia al Sindaco - Intervento
1. So che può sembrare ingeneroso, in un momento difficile, che l'opposizione punti alla caduta del governo locale. Qualcuno, addirittura, nel dibattito di questi giorni, cerca di contrabbandare la presa d'atto del triste epilogo di una maggioranza che la nostra mozione costringe a considerare, come se fosse un atto di disaffezione alla città. Non è così, ovviamente, anche se di certo lo considero un passo grave. Per indole mi sentirei tendenzialmente portato a lavorare per costruire, per realizzare intese, anziché per abbattere, cercando “di conseguire le cose che contribuiscono alla pace e alla reciproca edificazione” (Rm 14, 19); e tuttavia non posso non chiedermi spassionatamente se il bene comune sia ancora perseguibile in queste condizioni, oppure se l'interesse della città non richieda a me e a tutti i presenti una scelta differente e coraggiosa.
Ci sono momenti in cui anche l'atteggiamento più conciliante e costruttivo deve arrendersi di fronte all'evidenza. L'evidenza che pone davanti ai miei occhi, in rapida successione, il “muro” a lago. La Ticosa. Il degrado urbano. La progressiva e costante riduzione dei servizi resi ai cittadini. Il continuo esplodere di dissidi interni alla maggioranza, forse legati a faide intestine, ma certamente dipendenti anche da uno stile di governo che non ha saputo sviluppare sinergie, ed ha al contrario indebolito la necessaria coesione fino a farla svanire.
Insomma, tappa dopo tappa, questa amministrazione potrebbe ripetere (e alla fine porre come proprio epitaffio) la più celebre frase dell'ex primo ministro russo Cernomyrdin, recentemente scomparso, che commentava una sua fallita riforma monetaria: "Avremmo voluto il meglio, è andata come al solito".
Di fronte a tale sfacelo non mi è sembrato casuale neppure il ricorso di alcuni degli interessati, in questi giorni, a controversi commenti a sostegno delle battute aberranti del presidente del consiglio: qualunque cosa è utile a creare occasioni diversive, a distogliere l'attenzione dai fallimenti, a far parlare d'altro, insomma. In sé, peraltro, le squallide vicende di questi mesi non meriterebbero particolari commenti, salvo, forse, richiamare l'epitome profetica di Giorgio Gaber che, già nel 1972, illustrava l'affermarsi di un soggetto in grado di far uso della propria libertà solo nella maniera più grossolana e misera ["sempre libero e vitale, fa l’amore come fosse un animale,/ incosciente come un uomo compiaciuto della propria libertà"]. Ma di questo, appunto, non mette neppure conto parlare oltre.
2. Una grande varietà di dichiarazioni ha comunque caratterizzato questi giorni - il consueto “polverone” politico che, come gli oroscopi o il gossip, tutti deprecano ma in tanti praticano, anche perché i giornali devono pur essere riempiti - producendo con non pochi enunciati e commenti un senso generale di evasività, di scarsa chiarezza. Proprio per questo non dobbiamo perdere di vista i tanti elementi reali di questa crisi, ed in particolare il suo fattore scatenante, che è d'altronde l'ultimo di una lunga serie. Così, di fronte alla rinuncia unilaterale e pretestuosa di Multi alla ricostruzione dell'area “Ticosa”,
I. Voglio esprimere il mio disappunto e la mia solidarietà alla nostra città umiliata, ferita per l'ennesima volta dalla combinazione tra decisioni improvvide e calcoli speculativi. Non certo perché attività ed edificazioni debbano essere condotte con spirito disinteressato dagli operatori che cercano legittimi margini di profitto, ma perché una sana amministrazione ha il dovere di predisporre le condizioni per cui le attività economiche vadano anche a beneficio di tutta la comunità.
Vorrei esporre questa partecipazione, ma purtroppo non posso farlo per tramite vostro.
Come infatti esprimere solidarietà a chi in questo momento ha la rappresentanza istituzionale della città, se è un'amministrazione che palesemente ha trascurato questo impegno?
II. Voglio domandare un chiaro impegno e una immediata soluzione a questo ennesimo pasticcio, che non è proprio un fulmine a ciel sereno. Da quando esplose la vicenda dell'amianto si è capito che il clamore dei festeggiamenti e dei fuochi d'artificio copriva in realtà l'improvvisazione e l'approssimazione, proprio dal punto di vista delle competenze tecniche e della capacità di previsione. I pretesti invocati da Multi si fondano esattamente sul protrarsi e l'acuirsi dell'indecisione politica di una maggioranza che ha tutti i numeri per governare, che li ha ottenuti millantando una superiore efficienza - di cui peraltro nessuno ha visto le prove in questi anni - ma che non ha saputo minimamente gestirli nella prospettiva dell'interesse comune.
Per questo avrei voluto chiedervi una soluzione e una prospettiva, ma come posso ragionevolmente farlo? Come aspettarsi soluzioni credibili e convincenti dopo tutte le ripetute prove di incapacità progettuale e le risposte dilatorie di fronte ai guasti provocati, come anche nel caso del “muro a lago” e dei “concorsi di idee”?
III. Avrei voluto, lo ripeto, portare una parola di incoraggiamento e di esortazione a riprendere il lavoro di fronte alla difficoltà, sforzandosi di far fronte comune, nell'interesse di Como, per superare questo momento critico. Credetemi, non gioisco affatto dei danni che si stanno determinando, destinati ad influire immancabilmente su una città in chiaro declino, bloccandone le prospettive di rilancio. Tutti gli impegni vanno rivolti a sanare queste contraddizioni apertesi negli ultimi anni, con priorità assoluta.
Ma, in coscienza, non posso neppure formulare questo appello. Non ora. Non in queste condizioni.
Chi infatti assumerebbe la guida di questo sforzo comune? Gli stessi che hanno prodotto il disastro sotto i nostri occhi? Rifiutandosi per giunta di riconoscere le loro responsabilità spinti dai calcoli elettorali, e anzi pretendendo, come hanno sempre fatto, di aver avuto ragione in ogni circostanza?
3. Purtroppo l'amore della verità in questo momento ci impone di denunciare pubblicamente che, se si è giunti a questa situazione, le responsabilità di questa amministrazione sono pesantissime. Le ragioni che causano un male difficilmente possono essere utilizzate come rimedio, sia pure in casi disperati. Sarebbe drammatico ostinarsi in un atteggiamento mutuato dall'epoca Thatcher, quel “fattore TINA” – there is no alternative – che dietro un apparente decisionismo aggiunge solo problemi a problemi. Per chi non fonda le proprie speranze su un vantaggio personale, le alternative si trovano: sarebbe bene per questa città uscire dall'inerzia e imparare a sperimentarle.
Non arrivo al punto di dire che le colpe stiano tutte da una parte. Non sarebbe opportuno, almeno nel caso di una vicenda complessa come quella Multi, e posso persino provare una certa comprensione umana (chiaramente non politica) nei confronti di un Sindaco che si è visto preannunciare, e poi crollare addosso, una decisione gravissima per il nostro futuro di cittadini. Ma proprio la ripetizione di questo copione - nelle scelte cui si è dato corso, perché bisognerebbe fare un bilancio inclusivo anche di quelle che sono rimaste sulla carta, come la metrotramvia - mi spinge a rintenere ormai giunto il tempo di terminare un'esperienza amministrativa fallimentare, il cui protrarsi farà più male alla città di quanto non ne farebbe il riportare la parola alle urne.
Nella vita delle persone, arrivano momenti in cui è opportuno, se non necessario, tracciare un bilancio delle proprie azioni, e soprattutto delle conseguenze che queste hanno determinato. Valutare con occhi limpidi se la rotta che si è tracciata conduce in una direzione costruttiva o se, viceversa, destina noi e coloro che da noi dipendono al naufragio. Signor Sindaco, questo è uno di quei momenti. Se ha veramente a cuore le sorti della città, rimetta il suo mandato. Dia a Como la possibilità di ripartire in un'altra direzione, con nuove forze, con nuovi mezzi. Sia Lei ad evitare a questo dibattito di concludersi con la conferma di una fiducia posticcia, che connoterebbe di ulteriore ipocrisia il periodo terminale, improduttivo e paralizzante della sua esperienza amministrativa. In questo senso il suo non sarebbe un gesto di rinuncia, di abbandono, né tantomeno di viltà. La situazione è bloccata; Lei ha la possibilità di fare uscire la città da questo stallo. Lo faccia, in nome del bene comune. Glielo chiede, serenamente, uno che è pronto, per queste stesse ragioni, a vedere concluso il proprio mandato di consigliere iniziato solo un mese fa.
Ci sono momenti in cui anche l'atteggiamento più conciliante e costruttivo deve arrendersi di fronte all'evidenza. L'evidenza che pone davanti ai miei occhi, in rapida successione, il “muro” a lago. La Ticosa. Il degrado urbano. La progressiva e costante riduzione dei servizi resi ai cittadini. Il continuo esplodere di dissidi interni alla maggioranza, forse legati a faide intestine, ma certamente dipendenti anche da uno stile di governo che non ha saputo sviluppare sinergie, ed ha al contrario indebolito la necessaria coesione fino a farla svanire.
Insomma, tappa dopo tappa, questa amministrazione potrebbe ripetere (e alla fine porre come proprio epitaffio) la più celebre frase dell'ex primo ministro russo Cernomyrdin, recentemente scomparso, che commentava una sua fallita riforma monetaria: "Avremmo voluto il meglio, è andata come al solito".
Di fronte a tale sfacelo non mi è sembrato casuale neppure il ricorso di alcuni degli interessati, in questi giorni, a controversi commenti a sostegno delle battute aberranti del presidente del consiglio: qualunque cosa è utile a creare occasioni diversive, a distogliere l'attenzione dai fallimenti, a far parlare d'altro, insomma. In sé, peraltro, le squallide vicende di questi mesi non meriterebbero particolari commenti, salvo, forse, richiamare l'epitome profetica di Giorgio Gaber che, già nel 1972, illustrava l'affermarsi di un soggetto in grado di far uso della propria libertà solo nella maniera più grossolana e misera ["sempre libero e vitale, fa l’amore come fosse un animale,/ incosciente come un uomo compiaciuto della propria libertà"]. Ma di questo, appunto, non mette neppure conto parlare oltre.
2. Una grande varietà di dichiarazioni ha comunque caratterizzato questi giorni - il consueto “polverone” politico che, come gli oroscopi o il gossip, tutti deprecano ma in tanti praticano, anche perché i giornali devono pur essere riempiti - producendo con non pochi enunciati e commenti un senso generale di evasività, di scarsa chiarezza. Proprio per questo non dobbiamo perdere di vista i tanti elementi reali di questa crisi, ed in particolare il suo fattore scatenante, che è d'altronde l'ultimo di una lunga serie. Così, di fronte alla rinuncia unilaterale e pretestuosa di Multi alla ricostruzione dell'area “Ticosa”,
I. Voglio esprimere il mio disappunto e la mia solidarietà alla nostra città umiliata, ferita per l'ennesima volta dalla combinazione tra decisioni improvvide e calcoli speculativi. Non certo perché attività ed edificazioni debbano essere condotte con spirito disinteressato dagli operatori che cercano legittimi margini di profitto, ma perché una sana amministrazione ha il dovere di predisporre le condizioni per cui le attività economiche vadano anche a beneficio di tutta la comunità.
Vorrei esporre questa partecipazione, ma purtroppo non posso farlo per tramite vostro.
Come infatti esprimere solidarietà a chi in questo momento ha la rappresentanza istituzionale della città, se è un'amministrazione che palesemente ha trascurato questo impegno?
II. Voglio domandare un chiaro impegno e una immediata soluzione a questo ennesimo pasticcio, che non è proprio un fulmine a ciel sereno. Da quando esplose la vicenda dell'amianto si è capito che il clamore dei festeggiamenti e dei fuochi d'artificio copriva in realtà l'improvvisazione e l'approssimazione, proprio dal punto di vista delle competenze tecniche e della capacità di previsione. I pretesti invocati da Multi si fondano esattamente sul protrarsi e l'acuirsi dell'indecisione politica di una maggioranza che ha tutti i numeri per governare, che li ha ottenuti millantando una superiore efficienza - di cui peraltro nessuno ha visto le prove in questi anni - ma che non ha saputo minimamente gestirli nella prospettiva dell'interesse comune.
Per questo avrei voluto chiedervi una soluzione e una prospettiva, ma come posso ragionevolmente farlo? Come aspettarsi soluzioni credibili e convincenti dopo tutte le ripetute prove di incapacità progettuale e le risposte dilatorie di fronte ai guasti provocati, come anche nel caso del “muro a lago” e dei “concorsi di idee”?
III. Avrei voluto, lo ripeto, portare una parola di incoraggiamento e di esortazione a riprendere il lavoro di fronte alla difficoltà, sforzandosi di far fronte comune, nell'interesse di Como, per superare questo momento critico. Credetemi, non gioisco affatto dei danni che si stanno determinando, destinati ad influire immancabilmente su una città in chiaro declino, bloccandone le prospettive di rilancio. Tutti gli impegni vanno rivolti a sanare queste contraddizioni apertesi negli ultimi anni, con priorità assoluta.
Ma, in coscienza, non posso neppure formulare questo appello. Non ora. Non in queste condizioni.
Chi infatti assumerebbe la guida di questo sforzo comune? Gli stessi che hanno prodotto il disastro sotto i nostri occhi? Rifiutandosi per giunta di riconoscere le loro responsabilità spinti dai calcoli elettorali, e anzi pretendendo, come hanno sempre fatto, di aver avuto ragione in ogni circostanza?
3. Purtroppo l'amore della verità in questo momento ci impone di denunciare pubblicamente che, se si è giunti a questa situazione, le responsabilità di questa amministrazione sono pesantissime. Le ragioni che causano un male difficilmente possono essere utilizzate come rimedio, sia pure in casi disperati. Sarebbe drammatico ostinarsi in un atteggiamento mutuato dall'epoca Thatcher, quel “fattore TINA” – there is no alternative – che dietro un apparente decisionismo aggiunge solo problemi a problemi. Per chi non fonda le proprie speranze su un vantaggio personale, le alternative si trovano: sarebbe bene per questa città uscire dall'inerzia e imparare a sperimentarle.
Non arrivo al punto di dire che le colpe stiano tutte da una parte. Non sarebbe opportuno, almeno nel caso di una vicenda complessa come quella Multi, e posso persino provare una certa comprensione umana (chiaramente non politica) nei confronti di un Sindaco che si è visto preannunciare, e poi crollare addosso, una decisione gravissima per il nostro futuro di cittadini. Ma proprio la ripetizione di questo copione - nelle scelte cui si è dato corso, perché bisognerebbe fare un bilancio inclusivo anche di quelle che sono rimaste sulla carta, come la metrotramvia - mi spinge a rintenere ormai giunto il tempo di terminare un'esperienza amministrativa fallimentare, il cui protrarsi farà più male alla città di quanto non ne farebbe il riportare la parola alle urne.
Nella vita delle persone, arrivano momenti in cui è opportuno, se non necessario, tracciare un bilancio delle proprie azioni, e soprattutto delle conseguenze che queste hanno determinato. Valutare con occhi limpidi se la rotta che si è tracciata conduce in una direzione costruttiva o se, viceversa, destina noi e coloro che da noi dipendono al naufragio. Signor Sindaco, questo è uno di quei momenti. Se ha veramente a cuore le sorti della città, rimetta il suo mandato. Dia a Como la possibilità di ripartire in un'altra direzione, con nuove forze, con nuovi mezzi. Sia Lei ad evitare a questo dibattito di concludersi con la conferma di una fiducia posticcia, che connoterebbe di ulteriore ipocrisia il periodo terminale, improduttivo e paralizzante della sua esperienza amministrativa. In questo senso il suo non sarebbe un gesto di rinuncia, di abbandono, né tantomeno di viltà. La situazione è bloccata; Lei ha la possibilità di fare uscire la città da questo stallo. Lo faccia, in nome del bene comune. Glielo chiede, serenamente, uno che è pronto, per queste stesse ragioni, a vedere concluso il proprio mandato di consigliere iniziato solo un mese fa.
giovedì 21 ottobre 2010
CoCoCo3 - Stumenti per le imprese: intervento sulla delibera di indirizzo
1. Devo dire anzitutto che fa piacere leggere nelle premesse di questa delibera il riconoscimento inequivoco che il Paese si trova in una condizione di crisi profonda, mai verificatasi in precedenza. Si tratta infatti di una sensazione che mi sembrava di provare guardando ai dati di fatto, pur sentendomi sempre in errore, dato che il governo nella sua infinita saggezza l'aveva pervicacemente negata per mesi.
2. Non mi è stato viceversa possibile notare il dichiarato “deciso intervento dell'autorità governativa” che avrebbe “di fatto scongiurato situazioni pesantissime”. Personalmente, oltre al ripetuto tentativo di nascondere la polvere sotto il tappeto e alle continue dichiarazioni rassicuranti sul fatto di “non essere come la Grecia” (ma non l'avevo mai pensato), ho sperimentato solo una politica di tagli pesanti, orientati tra l'altro a lesinare risorse sul futuro del paese e delle giovani generazioni, come stiamo vedendo drammaticamente negli ambiti della scuola e della ricerca.
3. A parte le premesse più o meno efficaci, tuttavia, lo spirito della delibera appare pienamente condivisibile. In questa fase economica è senz'altro prioritario che le imprese possano ricevere pagamenti puntuali e facciano a loro volta fronte ai loro impegni, generando così una circolazione virtuosa di risorse sul territorio. Perciò appare opportuna ogni iniziativa in loro favore, che sottoscriviamo pienamente. Vi è semmai da meravigliarsi che questo documento di indirizzo, protocollato il 9 febbraio, sia stato posto in discussione solamente oggi, visto il suo evidente carattere di urgenza. Auspichiamo che questo non sia il segnale che tutto si risolverà in mere attestazioni verbali, senza ricadute pratiche per l'effettivo sostegno delle imprese.
4. Mi sia consentito di aggiungere che, dal punto di vista della correttezza che dovrebbe sempre caratterizzare l'operato della pubblica amministrazione, risulta del tutto inaccettabile che gli impegni di spesa assunti nei confronti dei fornitori vengano disattesi o dilazionati in tempi eccessivamente lunghi. Si genera così un danno diretto all'economia del paese, che è insieme una vergogna e uno scandalo, che scredita le isitituzioni e non può venire giustificato da alcun “patto di stabilità”, imposto da un governo oltretutto inadempiente nei suoi doveri di trasferimento agli enti locali. Comodo, scaricare sui Comuni il peso delle proprie proprie strategie demagogiche, per presentarsi sorridenti agli elettori a dichiarare di non aver messo le mani nelle loro tasche!
5. Ogni misura che attenui questo peso gravante sulle attività produttive è comunque opportuna. Per questo, sia pure nella sua parzialità, la presente delibera è un segnale che va accolto e e sostenuto, una volta chiarite alcune espressioni dubbie e rimosse le premesse inadeguate, con il nostro voto favorevole.
2. Non mi è stato viceversa possibile notare il dichiarato “deciso intervento dell'autorità governativa” che avrebbe “di fatto scongiurato situazioni pesantissime”. Personalmente, oltre al ripetuto tentativo di nascondere la polvere sotto il tappeto e alle continue dichiarazioni rassicuranti sul fatto di “non essere come la Grecia” (ma non l'avevo mai pensato), ho sperimentato solo una politica di tagli pesanti, orientati tra l'altro a lesinare risorse sul futuro del paese e delle giovani generazioni, come stiamo vedendo drammaticamente negli ambiti della scuola e della ricerca.
3. A parte le premesse più o meno efficaci, tuttavia, lo spirito della delibera appare pienamente condivisibile. In questa fase economica è senz'altro prioritario che le imprese possano ricevere pagamenti puntuali e facciano a loro volta fronte ai loro impegni, generando così una circolazione virtuosa di risorse sul territorio. Perciò appare opportuna ogni iniziativa in loro favore, che sottoscriviamo pienamente. Vi è semmai da meravigliarsi che questo documento di indirizzo, protocollato il 9 febbraio, sia stato posto in discussione solamente oggi, visto il suo evidente carattere di urgenza. Auspichiamo che questo non sia il segnale che tutto si risolverà in mere attestazioni verbali, senza ricadute pratiche per l'effettivo sostegno delle imprese.
4. Mi sia consentito di aggiungere che, dal punto di vista della correttezza che dovrebbe sempre caratterizzare l'operato della pubblica amministrazione, risulta del tutto inaccettabile che gli impegni di spesa assunti nei confronti dei fornitori vengano disattesi o dilazionati in tempi eccessivamente lunghi. Si genera così un danno diretto all'economia del paese, che è insieme una vergogna e uno scandalo, che scredita le isitituzioni e non può venire giustificato da alcun “patto di stabilità”, imposto da un governo oltretutto inadempiente nei suoi doveri di trasferimento agli enti locali. Comodo, scaricare sui Comuni il peso delle proprie proprie strategie demagogiche, per presentarsi sorridenti agli elettori a dichiarare di non aver messo le mani nelle loro tasche!
5. Ogni misura che attenui questo peso gravante sulle attività produttive è comunque opportuna. Per questo, sia pure nella sua parzialità, la presente delibera è un segnale che va accolto e e sostenuto, una volta chiarite alcune espressioni dubbie e rimosse le premesse inadeguate, con il nostro voto favorevole.
martedì 19 ottobre 2010
CoCoCo2 - Interpellanza sulla comunicazione istituzionale del Comune attraverso il portale
[sintesi] Sottolineo l'importanza della rassegna stampa messa a disposizione sul portale del Comune di Como, che contribuisce alla trasparenza nei confronti dei cittadini.
In certa misura è un “biglietto da visita” che – a prescindere dalla qualità effettiva e dall’accuratezza dei contenuti – consente di mantenersi informati e di interpretare la realtà politica cittadina.
Per questo appare importante che questa comunicazione non sia viziata da difetti tecnici, soprattutto facilmente risolvibili.
Mi riferisco alla qualità dei files PDF messi a disposizione della cittadinanza, non tanto per la nitidezza grafica, che può risultare poco importante ed è comunque paragonabile a quella di una normale fotocopia, quanto per le imperfezioni a volte notevoli che il software OCR manifesta.
In particolare, in molti documenti:
- si rilevano svariati caratteri più o meno deformati o di altezze diseguali, con spessore e corpo differente
- talora le discrepanze con l'originale comportano alterazione delle parole e (raramente) del significato di alcune frasi
Un solo esempio: “Corno” per Como.
Tale situazione appare poco giustificabile, specie in relazione al fatto che la rassegna stampa cartacea consegnata ai consiglieri non presenta gli stessi difetti.
2) Inoltre va dato atto all'Amministrazione che le date di convocazione del Consiglio Comunale sono pubblicate in un'apposita sezione del sito. Tuttavia queste non risultano aggiornate con puntualità, a volte non lo sono del tutto. I cittadini possono avere utili indicazioni per presenziare ai nostri lavori, esercitando una facoltà che loro pienamente compete, ed è quindi necessario che gli aggiornamenti siano puntuali.
Chiedo dunque alla Presidenza di attivarsi per porre rimedio alla situazione che ho descritto.
In certa misura è un “biglietto da visita” che – a prescindere dalla qualità effettiva e dall’accuratezza dei contenuti – consente di mantenersi informati e di interpretare la realtà politica cittadina.
Per questo appare importante che questa comunicazione non sia viziata da difetti tecnici, soprattutto facilmente risolvibili.
Mi riferisco alla qualità dei files PDF messi a disposizione della cittadinanza, non tanto per la nitidezza grafica, che può risultare poco importante ed è comunque paragonabile a quella di una normale fotocopia, quanto per le imperfezioni a volte notevoli che il software OCR manifesta.
In particolare, in molti documenti:
- si rilevano svariati caratteri più o meno deformati o di altezze diseguali, con spessore e corpo differente
- talora le discrepanze con l'originale comportano alterazione delle parole e (raramente) del significato di alcune frasi
Un solo esempio: “Corno” per Como.
Tale situazione appare poco giustificabile, specie in relazione al fatto che la rassegna stampa cartacea consegnata ai consiglieri non presenta gli stessi difetti.
2) Inoltre va dato atto all'Amministrazione che le date di convocazione del Consiglio Comunale sono pubblicate in un'apposita sezione del sito. Tuttavia queste non risultano aggiornate con puntualità, a volte non lo sono del tutto. I cittadini possono avere utili indicazioni per presenziare ai nostri lavori, esercitando una facoltà che loro pienamente compete, ed è quindi necessario che gli aggiornamenti siano puntuali.
Chiedo dunque alla Presidenza di attivarsi per porre rimedio alla situazione che ho descritto.
lunedì 4 ottobre 2010
CoCoCo1 - Saluto al Consiglio Comunale di Como
Saluto anzitutto i presenti e ringrazio per il cordiale benvenuto che mi è stato rivolto dal Presidente a nome dell'assemblea.
Arrivo in questo consiglio ormai al di là della metà del mandato elettivo, cosciente dei miei limiti personali ma in condizione di assumere responsabilmente l'impegno conferitomi dagli elettori che mi hanno indicato con le loro preferenze. Soprattutto assicuro il mio impegno per contribuire a far sì che i lavori di questo consiglio possano sempre meglio corrispondere agli interessi dei nostri concittadini e al bene comune, guardando non solo ai problemi immediati, che hanno di certo piena rilevanza, ma anche alla prospettiva futura che in quest'aula si concorre a determinare: o almeno, così dovrebbe essere. Sono infatti consapevole, come voi certamente lo siete, che la Como di domani dipende in misura rilevante dalle decisioni odierne, e che tali decisioni non debbono essere prese a cuor leggero, tantomeno obbedendo a mere valutazioni di convenienza elettorale.
Perciò a mia volta auguro a noi tutti che i nostri lavori non perdano mai di vista questo obiettivo superiore agli interessi di parte e ancor più ai calcoli individualistici, delle convenienze politiche minute. Mi impegnerò in prima persona per circoscrivere gli interventi ai temi effettivi di volta in volta proposti, convinto che le troppe parole, specie se ad esse non seguono poi decisioni concrete e attuate, non fanno che rafforzare nella cittadinanza l'impressione dell'inconcludenza degli organi rappresentativi.
Questo è un pericolo che va scongiurato ad ogni costo, nell'interesse della democrazia prima ancora che del buon funzionamento delle istituzioni; ed è per questo che mi permetto di far presente a tutti i consiglieri, con lo sguardo partecipe ma anche distanziato prospetticamente di uno che sinora i lavori li ha seguiti dall'esterno, che non poche volte le sedute hanno dato l’impressione di protrarsi senza partorire decisioni utili, oppure hanno fornito risposte ambigue o poco concludenti, addirittura con decisioni disattese nei fatti (come il contributo per i libri di testo degli studenti comaschi di scuola media, o ancor peggio, di quello previsto in favore delle vittime del terremoto abruzzese: tutte cose rimaste sulla carta). Tempi lunghi e sedute fiume per decisioni in sé ben poco complesse, come quelle riguardanti le “grandi mostre”, hanno diffuso fra i cittadini il sospetto che le beghe di partito contino qui molto di più dello sviluppo della città. Vi scongiuro, se così è stato, cambiamo registro, e diamo ai comaschi segni tangibili che un’amministrazione è al lavoro non tanto nelle “segrete stanze” del potere, ma anche e soprattutto nella volontà di discutere riportando in quest'aula le indicazioni dei cittadini e di offrire soluzioni concrete ai problemi della gente.
Mi perdonerete se ho voluto portarvi questo sguardo da “esterno”, così come chiedo la vostra comprensione se metterò qualche tempo ad impadronirmi delle procedure in quella che per me è un'esperienza nuova.
Nel concludere questo breve intervento, voglio rivolgere a Luca Gaffuri il riconoscimento che a mio giudizio egli davvero merita, non solo per l'azione svolta con efficacia alla guida dell'opposizione in questi tre anni di consiglio, ma anche per la scelta stessa di rivolgere la sua concentrazione esclusiva ad uno solo dei mandati elettivi che gli sono stati attribuiti dal voto popolare.
Devo sottolinearlo come un fattore di grande importanza, perché è ai miei occhi uno dei rarissimi segnali di una politica che cerca di rinnovarsi, e che nel PD ha trovato un'esplicita enunciazione ed una timida attuazione, comunque a differenza del resto delle forze politiche. Il limite di un solo mandato elettivo non esercitabile in contemporanea ad altri è un segnale forte, il quale vuole opporsi a quei cumuli di cariche che non sono forse il “male assoluto”, ma restano uno degli indicatori più preoccupanti della cattiva politica. Che sia motivato dall'ambizione personale o da interessi di corrente, l'accaparramento delle poltrone è indice di una concezione proprietaria della politica, di una presunzione di onnipotenza nello svolgere innumerevoli incarichi di interesse pubblico, forse anche di un’incapacità di ammettere i propri limiti umani, che nei fatti finisce per rappresentare un raggiro della sovranità popolare e del semplice buon senso.
Ecco perché voglio rendere onore alla scelta controcorrente che il PD propone e che Gaffuri ha fatto propria, in quanto offre qualche motivo di fiducia per il futuro della politica e per la chiarezza delle motivazioni di chi dedica qualche anno della sua vita al bene pubblico. Anche per la mia speranza in questa prospettiva di rinnovamento, per tanti aspetti travagliato e forse non immediato, ma che comunque mi sembra di poter intravvedere, annuncio la mia intenzione di aderire, in questa sede istituzionale, al gruppo consiliare del PD, partito nel quale sono giunto a riconoscere un'opportunità di impegno attivo per costruire quella che Lazzati definiva la “città dell'uomo”.
Arrivo in questo consiglio ormai al di là della metà del mandato elettivo, cosciente dei miei limiti personali ma in condizione di assumere responsabilmente l'impegno conferitomi dagli elettori che mi hanno indicato con le loro preferenze. Soprattutto assicuro il mio impegno per contribuire a far sì che i lavori di questo consiglio possano sempre meglio corrispondere agli interessi dei nostri concittadini e al bene comune, guardando non solo ai problemi immediati, che hanno di certo piena rilevanza, ma anche alla prospettiva futura che in quest'aula si concorre a determinare: o almeno, così dovrebbe essere. Sono infatti consapevole, come voi certamente lo siete, che la Como di domani dipende in misura rilevante dalle decisioni odierne, e che tali decisioni non debbono essere prese a cuor leggero, tantomeno obbedendo a mere valutazioni di convenienza elettorale.
Perciò a mia volta auguro a noi tutti che i nostri lavori non perdano mai di vista questo obiettivo superiore agli interessi di parte e ancor più ai calcoli individualistici, delle convenienze politiche minute. Mi impegnerò in prima persona per circoscrivere gli interventi ai temi effettivi di volta in volta proposti, convinto che le troppe parole, specie se ad esse non seguono poi decisioni concrete e attuate, non fanno che rafforzare nella cittadinanza l'impressione dell'inconcludenza degli organi rappresentativi.
Questo è un pericolo che va scongiurato ad ogni costo, nell'interesse della democrazia prima ancora che del buon funzionamento delle istituzioni; ed è per questo che mi permetto di far presente a tutti i consiglieri, con lo sguardo partecipe ma anche distanziato prospetticamente di uno che sinora i lavori li ha seguiti dall'esterno, che non poche volte le sedute hanno dato l’impressione di protrarsi senza partorire decisioni utili, oppure hanno fornito risposte ambigue o poco concludenti, addirittura con decisioni disattese nei fatti (come il contributo per i libri di testo degli studenti comaschi di scuola media, o ancor peggio, di quello previsto in favore delle vittime del terremoto abruzzese: tutte cose rimaste sulla carta). Tempi lunghi e sedute fiume per decisioni in sé ben poco complesse, come quelle riguardanti le “grandi mostre”, hanno diffuso fra i cittadini il sospetto che le beghe di partito contino qui molto di più dello sviluppo della città. Vi scongiuro, se così è stato, cambiamo registro, e diamo ai comaschi segni tangibili che un’amministrazione è al lavoro non tanto nelle “segrete stanze” del potere, ma anche e soprattutto nella volontà di discutere riportando in quest'aula le indicazioni dei cittadini e di offrire soluzioni concrete ai problemi della gente.
Mi perdonerete se ho voluto portarvi questo sguardo da “esterno”, così come chiedo la vostra comprensione se metterò qualche tempo ad impadronirmi delle procedure in quella che per me è un'esperienza nuova.
Nel concludere questo breve intervento, voglio rivolgere a Luca Gaffuri il riconoscimento che a mio giudizio egli davvero merita, non solo per l'azione svolta con efficacia alla guida dell'opposizione in questi tre anni di consiglio, ma anche per la scelta stessa di rivolgere la sua concentrazione esclusiva ad uno solo dei mandati elettivi che gli sono stati attribuiti dal voto popolare.
Devo sottolinearlo come un fattore di grande importanza, perché è ai miei occhi uno dei rarissimi segnali di una politica che cerca di rinnovarsi, e che nel PD ha trovato un'esplicita enunciazione ed una timida attuazione, comunque a differenza del resto delle forze politiche. Il limite di un solo mandato elettivo non esercitabile in contemporanea ad altri è un segnale forte, il quale vuole opporsi a quei cumuli di cariche che non sono forse il “male assoluto”, ma restano uno degli indicatori più preoccupanti della cattiva politica. Che sia motivato dall'ambizione personale o da interessi di corrente, l'accaparramento delle poltrone è indice di una concezione proprietaria della politica, di una presunzione di onnipotenza nello svolgere innumerevoli incarichi di interesse pubblico, forse anche di un’incapacità di ammettere i propri limiti umani, che nei fatti finisce per rappresentare un raggiro della sovranità popolare e del semplice buon senso.
Ecco perché voglio rendere onore alla scelta controcorrente che il PD propone e che Gaffuri ha fatto propria, in quanto offre qualche motivo di fiducia per il futuro della politica e per la chiarezza delle motivazioni di chi dedica qualche anno della sua vita al bene pubblico. Anche per la mia speranza in questa prospettiva di rinnovamento, per tanti aspetti travagliato e forse non immediato, ma che comunque mi sembra di poter intravvedere, annuncio la mia intenzione di aderire, in questa sede istituzionale, al gruppo consiliare del PD, partito nel quale sono giunto a riconoscere un'opportunità di impegno attivo per costruire quella che Lazzati definiva la “città dell'uomo”.
mercoledì 8 settembre 2010
Basta sprechi, basta scuola (pubblica...)!
Nessuno stupore, per chi vive nella scuola, deriva purtroppo dalla lettura dell'ultimo rapporto OCSE sull'educazione, nel quale l'Italia figura agli ultimi posti della classifica della percentuale di PIL destinata all'istruzione: il 4,5%, contro una media dei paesi OCSE del 5,7 e punte di eccellenza come l'Islanda, che guida la graduatoria con il 7,8. Peggio ancora, siamo ultimi in classifica per la percentuale di spesa pubblica destinata alla scuola, il 9% (media del 13,3). È scontata la segnalazione che gli insegnanti italiani sono tra i meno pagati e che i nostri alunni passano troppo tempo sui banchi senza trarre grande vantaggio competitivo.
Certo, come commenta la Commissione Europea, per il futuro è necessario non solo investire, ma investire bene. È quanto pretende di aver fatto il ministro Gelmini, definendo “epocale” la sua riforma e garantendo che si punta sulla qualità, diminuendo la quantità (di ore di insegnamento e di occupati). Peccato che i fatti parlino chiaro, rivelando la propaganda di un governo che si arrampica sugli specchi: non cerca di spendere meglio i pochi soldi disponibili, dato che li ha invece tagliati drasticamente di anno in anno, come ben sperimentano le famiglie invitate a dotare gli alunni di carta igienica. Il ministro finge di scandalizzarsi che il 97% del bilancio serva a pagare gli stipendi, pur tanto inferiori alla media europea. Questo dato fantasioso sarebbe contestabile, ma un minimo di logica non vorrebbe che, anche senza aumentare tali costi, nuove risorse aggiuntive venissero destinate a innovazione, merito e qualità? Invece se ne è fatto un mero pretesto per i tagli orizzontali di Tremonti, che colpiscono senza guardare a casi di eccellenza oppure ad emergenze sociali, impoverendo tutte le scuole in maniera indiscriminata, dopo che già lo stato si è mostrato inadempiente. Bisogna ricordare che, solo in provincia di Como, numerosi istituti attendono centinaia di migliaia di euro relativi ai bilanci degli scorsi anni, garantiti da Roma e mai erogati?
Se la spesa per la scuola è un costo e non un investimento, i burocrati della casta fanno benissimo a lesinare le risorse per il futuro dei nostri giovani, a ignorare le inevitabili ricadute sulla qualità dell'insegnamento e sulla possibilità di essere competitivi in un mercato globalizzato. Con il loro esempio, tanti politici ci hanno ripetutamente lanciato il messaggio che, per fare carriera, si deve ricorrere ad altri mezzi che non la competenza e il merito. Ma fino a quando un paese che non investe nella formazione potrà ancora reggere?
Certo, come commenta la Commissione Europea, per il futuro è necessario non solo investire, ma investire bene. È quanto pretende di aver fatto il ministro Gelmini, definendo “epocale” la sua riforma e garantendo che si punta sulla qualità, diminuendo la quantità (di ore di insegnamento e di occupati). Peccato che i fatti parlino chiaro, rivelando la propaganda di un governo che si arrampica sugli specchi: non cerca di spendere meglio i pochi soldi disponibili, dato che li ha invece tagliati drasticamente di anno in anno, come ben sperimentano le famiglie invitate a dotare gli alunni di carta igienica. Il ministro finge di scandalizzarsi che il 97% del bilancio serva a pagare gli stipendi, pur tanto inferiori alla media europea. Questo dato fantasioso sarebbe contestabile, ma un minimo di logica non vorrebbe che, anche senza aumentare tali costi, nuove risorse aggiuntive venissero destinate a innovazione, merito e qualità? Invece se ne è fatto un mero pretesto per i tagli orizzontali di Tremonti, che colpiscono senza guardare a casi di eccellenza oppure ad emergenze sociali, impoverendo tutte le scuole in maniera indiscriminata, dopo che già lo stato si è mostrato inadempiente. Bisogna ricordare che, solo in provincia di Como, numerosi istituti attendono centinaia di migliaia di euro relativi ai bilanci degli scorsi anni, garantiti da Roma e mai erogati?
Se la spesa per la scuola è un costo e non un investimento, i burocrati della casta fanno benissimo a lesinare le risorse per il futuro dei nostri giovani, a ignorare le inevitabili ricadute sulla qualità dell'insegnamento e sulla possibilità di essere competitivi in un mercato globalizzato. Con il loro esempio, tanti politici ci hanno ripetutamente lanciato il messaggio che, per fare carriera, si deve ricorrere ad altri mezzi che non la competenza e il merito. Ma fino a quando un paese che non investe nella formazione potrà ancora reggere?
mercoledì 1 settembre 2010
A lezione da Gheddafi
Grazie alla cortese disponibilità del governo italiano, in questi giorni Roma si trasforma in un circo, con tanto di tendoni, cavalli e gente in costume, per accogliere qualcosa di più di una semplice visita da parte di Gheddafi: infatti la sua è una vera e propria lezione di metodo, non puro folklore.
Il dittatore libico, pudicamente definito leader dai mezzi di informazione, è riuscito infatti nel capolavoro politico di farsi accettare dai governi europei, costretti a riceverlo per ragioni economiche (petrolio e commesse varie) e perché, bontà sua, ha da qualche anno abbandonato il terrorismo. Ogni suo viaggio, peraltro, è una catastrofe diplomatica per l'Europa, soprattutto perché l'accondiscendenza alle sue stravaganze rivela tutta la sorridente debolezza della controparte.
Certo, c'è modo e modo: e in questo l'Italia ha rivelato purtroppo un servilismo degno di miglior causa, in ragione della statura politica dei nostri governanti, che si trovano evidentemente in sintonia naturale con la pacchianeria esibizionistica del capo libico, tanto quanto sono pronti, in altre occasioni, ad accogliere le lezioni di democrazia dell'“amico Putin”. Che venga di qui l'insofferenza più volte dichiarata nei confronti della nostra Costituzione?
D'altra parte la Libia si è assunta l'incarico di frenare l'esodo di profughi verso il nostro territorio: poco importa se si tratta in gran parte di persone che avrebbero diritto all'asilo, e ancor meno importa che siano di fatto torturate nel deserto. Sono fatti lontani, che non ci riguardano...
In cambio del lavoro sporco, allora, e alla faccia delle “radici cristiane dell'Europa” ipocritamente invocate in tanti altri contesti, ben vengano le lezioni di religione islamica (in una versione personale e teologicamente infondata) propalate ad estatiche hostess prezzolate. Apprendiamo che con settanta euro a testa è possibile riempire le sale: chissà che questo sistema non si estenda in futuro ad altre assemblee religiose e di partito, vista la crescente disaffezione in atto, contribuendo in tal modo a contrastare la disoccupazione giovanile nel nostro paese.
Il dittatore libico, pudicamente definito leader dai mezzi di informazione, è riuscito infatti nel capolavoro politico di farsi accettare dai governi europei, costretti a riceverlo per ragioni economiche (petrolio e commesse varie) e perché, bontà sua, ha da qualche anno abbandonato il terrorismo. Ogni suo viaggio, peraltro, è una catastrofe diplomatica per l'Europa, soprattutto perché l'accondiscendenza alle sue stravaganze rivela tutta la sorridente debolezza della controparte.
Certo, c'è modo e modo: e in questo l'Italia ha rivelato purtroppo un servilismo degno di miglior causa, in ragione della statura politica dei nostri governanti, che si trovano evidentemente in sintonia naturale con la pacchianeria esibizionistica del capo libico, tanto quanto sono pronti, in altre occasioni, ad accogliere le lezioni di democrazia dell'“amico Putin”. Che venga di qui l'insofferenza più volte dichiarata nei confronti della nostra Costituzione?
D'altra parte la Libia si è assunta l'incarico di frenare l'esodo di profughi verso il nostro territorio: poco importa se si tratta in gran parte di persone che avrebbero diritto all'asilo, e ancor meno importa che siano di fatto torturate nel deserto. Sono fatti lontani, che non ci riguardano...
In cambio del lavoro sporco, allora, e alla faccia delle “radici cristiane dell'Europa” ipocritamente invocate in tanti altri contesti, ben vengano le lezioni di religione islamica (in una versione personale e teologicamente infondata) propalate ad estatiche hostess prezzolate. Apprendiamo che con settanta euro a testa è possibile riempire le sale: chissà che questo sistema non si estenda in futuro ad altre assemblee religiose e di partito, vista la crescente disaffezione in atto, contribuendo in tal modo a contrastare la disoccupazione giovanile nel nostro paese.
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