Albrecht Dürer, Navis Stultorum (in S. Brant, Narrenschiff - 1497)

mercoledì 31 agosto 2011

Raccomandazioni per futuri nani e ballerine

Pochi giorni or sono è stata pubblicata da Universinet.it un'indagine tra gli studenti che si accingono ad entrare all'università, dalla quale risulterebbe che è più importante trovare una raccomandazione (86% degli intervistati) che studiare (13%), e addirittura che il 48% sarebbe disposto a concedere favori sessuali in cambio di ammissioni e promozioni. Il dato, in aumento rispetto allo scorso anno, è in sé opinabile: personalmente, confesso che mi riuscirebbe difficile crederlo per l'enorme maggioranza degli studenti che ho conosciuto nella mia attività professionale, ma ammetto che potrei peccare di ingenuità.
Lasciando ai sociologi riflessioni più circostanziate, la notizia non lascia comunque indifferenti, perché sembra confermare il radicamento di una deleteria tradizione nazionale, l'istituto della raccomandazione, quale via considerata ormai la sola efficace per raggiungere i propri scopi, anche da parte di chi, per la giovane età, dovrebbe essere meno portato al cinismo e magari, disgustato, saper contestare il cattivo esempio di tanti adulti.
Forse una certa disattenzione di educatori e famiglie, l’abitudine a lasciar correre, il pensare in termini sostanzialmente egoistici e privatistici, finisce per giustificare, agli occhi di molti, compromessi sempre meno degni della dignità della persona: non è un caso che il rispetto di essa sia ormai sistematicamente assente dalla comunicazione televisiva, la quale è in grado di proporre modelli di comportamento “al ribasso” con una forza impareggiabile.
Perché infatti meravigliarsi della diffusa propensione a vendersi, quando uomini vistosamente corrotti, ricattatori condannati dai giudici, prostitute cinematografiche e non, vengono accolti tra mille applausi nei cosiddetti salotti televisivi (non usiamo termini più appropriati, perché qualcuno sarebbe capace di offendersi)? Lo sterminato numero di coloro che una volta si definivano “nani e ballerine” se la passa tanto male, nel nostro paese? E la stessa legge elettorale in vigore per le politiche non è forse un grandioso inno alla raccomandazione, alla nomina dall'alto di candidati, eseguita sulla base di non ben chiarite fedeltà e promesse di sottomissione ai vertici?
È francamente ridicolo che l’esaltazione di comportamenti propri degli animali (per quanto riguarda la soddisfazione di istinti primordiali) e dei servi (per il procacciamento di vantaggi e privilegi a scapito dei “fessi”) sia a volte spacciata per un corollario del pensiero liberale da uomini di modesto comprendonio. In fondo, se “io sono mio”, perché non dovrei fissare un prezzo per quello che sono disposto a concedere? Cosa c’è di male?
In termini rozzamente individualistici, forse niente. Sul piano della vita comune, però, sembra ovvio che chi è incline a vendere se stesso, ancor di più sarà incline a vendere gli altri. È questo il futuro che stiamo preparando?

venerdì 12 agosto 2011

Squali

Ebbene, dopo anni di gestione spensierata è giunto il momento di valutare appieno l'opera di governo di un centrodestra illusionista, oppure no? Meno tasse, promozione dell'impresa, sostegno della famiglia: ecco le balle più clamorose, fra le tante promesse mai realizzate. Si accompagnano a cose meno confessabili, come lo scarso contrasto alla corruzione e all'evasione fiscale, e ancor più al costante rigonfiamento delle spese correnti, con l'obiettivo principale di mantenere consenso e di continuare ad impinguare amici, clienti e cricche varie.
Ora, però, sembra che il limite del baratro sia stato raggiunto e non resti che mettere mano a provvedimenti straordinari. Lacrime e sangue saranno ripartiti in egual misura per tutti? In realtà il sospetto è che operai e ceto medio, la gente comune, resteranno fregati per bene: continuano a dir loro che in sostanza non cambierà nulla, prendendo tempo per studiare il modo di far pagare la massa dei fessi e lasciare intatti i grandi patrimoni e i traffici degli speculatori. Spolpato per bene l'osso della cosa pubblica con cattive gestioni ed infiniti sprechi, strombazzano per bocca di economisti mignon e giornali-megafono la ricetta miracolosa: è indispensabile vendere tutti i beni dello stato. Tutti, senza esclusione: non c'è che dire, è una bella sparata per tempi di crisi.
Suona come un meraviglioso progetto liberista. Forse un atto di ravvedimento, per un governo che in tanti anni non ha saputo liberalizzare nessun settore, e che la concorrenza vera, la competizione ad armi pari l'ha sempre avversata, tutelando allo spasimo le corporazioni e il duopolio televisivo? O non è magari l'occasione propizia per svendere gli ultimi gioielli di famiglia, consegnando un patrimonio pubblico nelle mani dei più furbi, degli intrallazzatori che sanno coltivare le amicizie politiche, delle cordate e degli squali che poi – come avviene nel caso di tanti uffici ministeriali, costretti a versare affitti esorbitanti – fanno pagare a caro prezzo l'utilizzo degli stessi beni alla collettività?
Fissare lo sguardo sulla condizione attuale del paese è difficile, e può essere veramente sgradevole; ma continuare a fidarsi di chi ci dice che realizzerà il miracolo “senza metterci le mani in tasca” e tenta di operare un incanto, sia pur meno spiacevole, proiettando miraggi nelle nostre menti, è solo un inconsapevole suicidio.