Albrecht Dürer, Navis Stultorum (in S. Brant, Narrenschiff - 1497)

lunedì 15 dicembre 2014

CoCoCo 2014-11: Un'occasione nel nostro cortiletto

Dobbiamo discutere di due mozioni che pur avendo lo stesso oggetto hanno un taglio molto differente. Pertanto, pur unificandole nella trattazione, le affronterò in modo distinto. Infatti, nella prima, quali temi sono posti al centro? Essenzialmente la forma dell'opera e la sua maggiore o minore piacevolezza nel contesto entro cui la si vuole inserire.
Si vedrà subito che ci muoviamo nell'ambito delle valutazioni soggettive. Se l'opera meritasse critiche perché ad alcuni ricorda una “M” di Milano (e perché non di Mussolini, che ne aveva odiosamente costellato l'Italia nel Ventennio, oppure di Mamma, parola evocatrice di dolci sentimenti?) oppure richiamasse uno stemma automobilistico, o ancora le stesse iniziali di Alessandro Volta, evidentemente basta replicare che ciascuno può trovarle più o meno indovinate e gradevoli, ma in ultima analisi De gustibus non est disputandum. Se poi, oltre la scarsa consistenza di una disputa sulle iniziali, si volesse portare la questione sul piano propriamente estetico, verrebbe subito da chiedersi quale competenza specifica possa vantare questo consiglio comunale, al di là della salomonica constatazione che, appunto, l'installazione può piacere o non piacere: e qui mi sembra che il tentativo di asserire che non di un'opera d'arte si tratta, ma di semplice elemento ornamentale, non valga altro che a convalidare la posizione di Libeskind stesso, quando dichiarò a Como che “l'arte non si crea con il consenso e con i voti ma nasce dall'istinto. Che, in questo caso, omaggia anche la capacità imprenditoriale dei comaschi. E io non penso l'arte per gli architetti ma per i giovani, per i bambini, per le generazioni che verranno”. Posizioni evidentemente opposte, ma sulle quali gli unici che potranno dare un giudizio definitivo (o comunque qualcosa che gli si avvicini) saranno proprio le generazioni future, come la storia ha illustrato con molteplici esempi, anche celeberrimi.
Naturalmente si cerca, con una punta di snobismo, di estromettere subito dal dibattito l'esempio storico rappresentato dalla Tour Eiffel parigina. Non sono così convinto che non possa essere un valido spunto di riflessione, al contrario, ma per non turbare gli animi più sensibili eviterò di riprenderlo, riportando al suo posto una storia di casa nostra che è altrettanto istruttiva di quanto il potere di condizionamento rappresentato dai gusti del tempo, dalla lungimiranza degli uomini, o anche dal comprensibile desiderio di voler avere sempre ragione, possa modificare la storia in un senso o nell'altro.
La riporto come è facile reperirla su vari siti internet, non ultimo quello di “Como5stelle", che la chiama “una storia di ieri”.
Come molti di noi sanno, “nel 1870, un commerciante milanese chiamato Sebastiano Mondolfo, residente in una villa in Borgovico e presidente della società di navigazione Lariana, offrì alla città 20.000 Lire per comprare una fontana monumentale del Palazzo Litta a Lainate, ed usarla per abbellire Piazza Cavour. I maggiorenti della città rifiutarono il programma originale, credendo che una rilocazione di una tal opera d’arte dal palazzo riservato all’aristocrazia ad uno spazio pubblico fosse inaccettabile. Pertanto Mondolfo usò la sua offerta nel 1872 per assumere uno scultore locale chiamato Biagio Catella per progettare una nuova fontana. In poco più di sei mesi, Catella, con una squadra di artigiani, completò la fontana scolpita in marmo bianco italiano e composta da una immagine centrale di un cigno circondato dalle creature del mare e dalla scultura ornamentale. Il 23 settembre 1872, la fontana fu attivata. Alimentata da un piccolo acquedotto da Monte Olimpino, la fontana svolse una funzione pratica per la comunità, fornendo l’acqua potabile.
Il risultato estetico fu argomento di dibattito acceso e perfino ridicolo. Alcuni "molto pudichi" osservatori ebbero da ridire sulle figure femminili nude delle naiadi per gli effetti negativi che avrebbero potuto avere sulle morali dei bambini in giovane età. Altri ritennero che il cigno assomigliasse più molto esattamente ad un’oca. Le creature del mare in generale furono percepite come linguaggio figurato non consono al lago d’acqua dolce adiacente. Quelli situati nelle più alte zone della città si dissero preoccupati che le acque necessarie per fare funzionare la fontana, avrebbero richiesto troppa pressione per i loro rifornimenti idrici. La Comunità si divise fra coloro che gradivano la fontana e coloro che si opponevano alla sua realizzazione ("gli anti-fontanisti"). A risolvere la controversia ci pensarono le acque del lago corrodendo le fondamenta del materiale di riporto già nel 1890. Una crisi dell’economia comunale lasciò la città senza le risorse per la riparazione e per il funzionamento e la fontana fu smantellata e messa in un deposito nel 1891. Nel 1899, un’esposizione e un fuoco disastroso appesantirono ulteriormente la situazione finanziaria della città e, nel tentativo d’alleviare il debito locale, il consiglio comunale autorizzò la vendita della fontana per 3.500 Lire (l’equivalente valutato allora di $637). Nel 1902, William Rockefeller comperò la fontana investendo altri $25.000 per portarla nella città di New-York, in cui fu installata al giardino zoologico del Bronx nel 1903. Successivamente, gli architetti Heins e La Farge progettarono una nuova sistemazione e, nel 1910, la fontana fu spostata verso la posizione attuale nel lato nord del giardino zoologico alla Astor Court. Nel 1968, la fontana è stata designata simbolo ufficiale di New York City ed è uno dei pochi monumenti locali che ha questo onore.”
Ciò che all'epoca suscitò aspri dibatti e sulla cui qualità e addirittura moralità molti avevano da ridire, è oggi un riconosciuto patrimonio storico... ma di un'altra città, non la nostra. Un'occasione perduta? Evidentemente, almeno un caso in cui non si è saputo guardare molto lontano.
Ecco, in fondo qui ci si sta prospettando una situazione simile, in cui la polemica politica del presente contribuisce a nascondere un'orizzonte di potenzialità positive che diventa attuabile solo nel momento in cui si vanno a vedere le carte, in cui con un certo coraggio si accetta la scommessa. Non rimane altro da aggiungere a questa prima parte del dilemma.
Per correre ai ripari e corroborare la tesi dell'errore epocale che l'amministrazione starebbe compiendo con Libeskind, ecco intervenire la seconda mozione, in cui con ampio apparato storico comasco si parla delle procedure corrette per arrivare a decisioni di cotanto impegno, che in passato si sono attuate, ma che la giunta attuale avrebbe disatteso. A parte che invocare a corrente alternata le scelte di un grande sindaco del passato che “non andava bene” richiamare in tema di ZTL e invece “va bene” richiamare in tema di monumenti potrebbe sembrare almeno un poco strumentale, è vero che il tema qui evocato è importante. In modo del tutto improprio, però, si afferma l'esistenza di un possibile vulnus alla democrazia (sillogismo: in ogni città del mondo evoluto si propongono costanti consultazioni popolari per decidere sul posizionamento di tutte le statue e di altri monumenti; proprio solo a Como ciò non avviene; perciò siamo in una dittatura), quando è evidentemente una – non meno importante - questione di responsabilità politica. Non che le due cose non siano connesse, ma in mezzo vi è un piccolo dettaglio, ossia quello del mandato popolare ad operare scelte per il bene della città che, fino a prova contraria, è stato affidato all'attuale sindaco dalle consultazioni del 2012.
Perciò, alla domanda se il Sindaco e la giunta abbiano il diritto di muoversi e compiere delle scelte in ambiti come quello che è oggetto di discussione, la risposta in termini giuridici è certamente affermativa. Direi che questa scelta è stata anche adeguatamente argomentata e non cade dal cielo: come ha dichiarato il Sindaco, è “una opportunità che si è presentata, portata avanti da privati (senza distogliere risorse o energie pubbliche) che potevamo decidere se accogliere o no, ma rifiutarla non avrebbe permesso di "fare altro". [...] E' normale che, nel merito dell'opera, ci siano valutazioni discordanti e ci si divida: a qualcuno può piacere ad altri può non piacere. Tuttavia, continuo a pensare che portare in città qualche elemento di novità e di richiamo internazionale sia positivo. L'opera trae beneficio dall'essere collocata in mezzo al lago? Probabilmente si. Ma crediamo che lo scambio ed il vantaggio siano reciproci. Mi piace pensare che la realizzazione del monumento possa rappresentare un'occasione per valorizzare in termini di fruizione pubblica uno spazio che molti solo ora sembrano aver scoperto.” (3 dicembre).
Alla domanda, ben più rilevante, se il Sindaco e la giunta debbano assumersi la responsabilità politica del loro operato pure in questo caso, è evidente che la risposta è altrettanto positiva. Le scelte amministrative sono, o dovrebbero sempre essere, oggetto di un'attenta valutazione da parte dell'elettorato, che potrà considerarle all'interno della cornice generale di quanto è stato compiuto per il bene della città, ed eventualmente bocciarle col voto alle prossime elezioni comunali. Però presentare come un “disastro annunciato” questa scelta risponde solo a comprensibili logiche di campagna elettorale anticipata; e se anche “disastro” fosse (cosa peraltro di cui è più che ragionevole dubitare, per i motivi che vedremo) esso non mancherà di essere punito da un elettorato al quale i critici di oggi si potranno presentare domani come altrettanti salvatori della patria, purtroppo inascoltati. Poi quest'ultima cosa non sarebbe neanche vera, e qui c'è un'altra confusione caratteristica del dibattito: il fatto che essere ascoltati significhi poter imporre il proprio punto di vista bloccando le operazioni amministrative che non piacciono, e questa è proprio una bella pretesa...
Io credo che il vero e fondato timore dei detrattori di oggi sia un altro. Quando l'opera fosse posta a destinazione, e si vedrà che l'impatto sul fronte lago non è affatto così invasivo come molti oggi decantano; quando, passato un periodo iniziale, l'occhio comincerà ad abituarsi, potendo cogliere sempre meglio i contenuti estetici nel rapporto col panorama circostante; quando si comincerà, da parte di un numero crescente di cittadini e turisti, a considerarla parte integrante del patrimonio culturale ed artistico della città, diventerà allora difficile giocare “politicamente” questa carta. Meglio suscitare timori ed opposizione ora, giocando sulla paura davanti all'indeterminato che rientra tra le emozioni umane più forti ed utili a creare un seppur parziale consenso. In modo accorto, più che il rifiuto del dono si evoca una dislocazione diversa: non è che siamo contrari, ma non deve stare qui, non adesso, una strategia che abbiamo già visto praticata con enorme frequenza ed è espressa nel celebre acronimo NIMBY: Not in my backyard, non nel cortile di casa mia.
Il convincimento del Sindaco, che condivido, è invece che si tratti di un'occasione offerta alla città, che si deve utilizzare, alla stregua di altri meritevoli contributi di azione volontaria, o di finanziamenti da privati per migliorare e abbellire la nostra città. È comprensibile che non si condivida questa prospettiva, ma come ho detto vi è una responsabilità politica che la giunta assume con questa scelta in sé legittima e sensata, sebbene non sottoscritta da tutti. Sarebbe auspicabile, naturalmente, che i valori sottesi all'opera venissero esplicitati anche con maggiore ampiezza, in modo tale da consentire a chi vuole considerarla senza pregiudizi di farsi un'idea più completa sotto il profilo estetico e di non limitarsi agli slogan che si odono con troppa frequenza.
È pur vero che ci troviamo in presenza di linee volte a definire un elemento di raccordo, una sorta di “porta” virtuale tra il lago e la città, così come l'intitolazione a Volta richiama un più ampio concetto che rinvia all'attività scientifica anche come produttrice di bellezza; ma una maggiore consapevolezza, che vada oltre le sintesi giornalistiche necessariamente limitate, non potrebbe che giovare ad un miglior accoglimento dell'opera.
Sono troppo ottimista sugli esiti finali di questa operazione? Non credo, e sono anche convinto che questa prospettiva sia condivisa da molti ambienti cittadini che apprezzano l'opera e la sua collocazione, certo meno rumorosi del fronte del “no”, e abbia lo stesso valore di quelle di segno negativo che sono state sin qui prospettate, e che queste democraticamente vadano prese in considerazione e rispettate come le altre.
Sì – si obietterà – ma intanto la giunta decide per una opzione che annulla l'altra: una volta realizzato il monumento, questo deturperà per sempre la bellezza del paesaggio.
A parte l'ovvia considerazione che niente è “per sempre”, sappiamo bene che i termini della questione non sono questi, che l'inamovibilità dell'installazione è prevista per soli cinque anni. Ai termini dei quali sarà possibile, a ragione veduta e senza preconcetti valutare tutti i pro e i contro effettivi della sua collocazione, e la nuova amministrazione ne potrà fare quello che vorrà. Se sarà guidata dagli attuali oppositori, con grande soddisfazione potrà rimuoverla e/o ricollocarla, ma anche, memori della vicenda ottocentesca, metterla sul mercato e cederla al miglior offerente. C'è da pensare che, vista la fama dell'autore e la pubblicità che viene offerta dal dibattito in corso, qualcun altro saprà approfittarne e le quotazioni non saranno basse...
Ironizzo un poco, ma in fondo la questione è tutta qua: lo scandalo e l'orrore suscitato in alcuni a me pare una evidente esagerazione retorica, a volte francamente irritante come nel giudizio di “stupidità” e provincialismo recentemente tributato da un noto condannato con sentenza definitiva per truffa aggravata e continuata e falso ai danni dello Stato (avendo riportato nel 1996 una condanna definitiva a 6 mesi e 10 giorni di reclusione e 700 mila lire di multa). Ognuno sceglie i suoi guru, io preferisco accettare lezioni da altri.
Esagerate sono molte delle dichiarazioni relative all'impatto visivo; per quanto i rendering siano da considerare con cautela, quelli prospettati non alterano le proporzioni e mostrano quanto contenuto sarebbe l'ingombro visto dalle rive del lago; trovo poi risibili le accuse all'architetto di aver copiato sé stesso o riciclato vecchi materiali, come se la riproposizione dei propri stilemi creativi non fosse una delle pratiche più in uso anche tra i più grandi artisti (quasi una “firma”) e se, una volta presentato a un concorso di idee un concetto (che poi non troverà attuazione pratica) dovesse per lui valere una monacale rinuncia a creare altre forme affini.
È ovvio che ciascuno è libero di rimanere della propria idea, di battersi politicamente perché si affermi, sperando magari di non ricorrere a toni eccessivi e cercando di capire anche le ragioni dell'altra parte.
Sulla questione sono convinto che il tempo, in questo come in molti altri casi, sarà il miglior giudice.