Albrecht Dürer, Navis Stultorum (in S. Brant, Narrenschiff - 1497)

lunedì 12 ottobre 2015

CoCoCo 2015-7: Una mozione dal territorio per non vanificare la Tangenziale di Como

L'argomento che affrontiamo stasera è – o dovrebbe essere – uno di quelli che raccolgono un consenso politico pressoché unanime. Prova ne è che proprio in quest'aula, con deliberazione n. 6 del 27.1.2014 venne approvata una mozione che impegnava il Sindaco “ad adoperarsi presso il Ministero delle Infrastrutture, anche attraverso i Parlamentari comaschi, affinché non venga previsto alcun pedaggio per l’attraversamento del primo lotto della tangenziale di Como, almeno fino al completamento dell’intera opera”.
La mozione di oggi, dunque, non può che incontrare il sostegno di tutti coloro che hanno realmente a cuore l'interesse del territorio, ed è ancora più significativa per noi in quest'aula, che ci preoccupiamo delle sorti del suo capoluogo. Infatti, non si tratta di agire spinti da un basso tornaconto, perché a nessuno piace pagare un pedaggio, e quindi, con italica furbizia, si cerchi di scansare un onere che invece andrebbe correttamente corrisposto. No, qui stiamo parlando di mostrare una capacità autenticamente politica di gestire le grandi questioni strategiche, senza nascondere la testa sotto la sabbia delle convenzioni poco ponderate definite in passato, del conformarsi ad accordi sostanzialmente illogici. Una politica, cioè:
- che sappia orientare correttamente i flussi di traffico e favorire la scorrevolezza dei transiti;
- che liberi per quanto possibile il capoluogo da un sovraccarico di passaggi inutili e dannosi, alleggerendo così anche le altre direttrici;
- che promuova, o almeno non ostacoli, la ripresa economica del territorio;
- e ciò che è forse più importante, che influisca almeno un poco sull'impatto ambientale dei veicoli in transito consentendo di evitare rallentamenti e congestioni, e riducendo in parte le emissioni inquinanti.
Stiamo parlando di un'opera che è già stata realizzata, e perciò di una situazione di fatto che la politica deve dimostrare di saper gestire al meglio; quello che altri interessi rappresentano, in particolare la comprensibile esigenza di trarre la remunerazione dagli investimenti effettuati, non può essere giudicato prevalente rispetto alla valutazione corale che l'intera comunità locale esprime, da un comune all'altro. E per giunta questa è un'opera ampiamente incompleta rispetto ai progetti e alle promesse, che deve dunque essere valutata per quello che essa è effettivamente ad oggi, non per l'ipotetico prolungamento che non sappiamo se vedrà mai la luce.
Con questa mozione, del resto, non si chiede neppure di venir meno alla sostanza degli accordi economici previsti, ma – in modo semplice, realistico e tutt'altro che cervellotico – di rimodulare il processo di riscossione sulle tratte autostradali che si raccordano alla tangenziale per assorbire in esse l'ammortamento e la conduzione di una arteria che a conti fatti è poco più di un raccordo. Utile, necessario anzi, ma proprio nella funzione di alleggerimento dei volumi di traffico prima descritta, con la finalità primaria di migliorare la qualità della vita degli abitanti dei nostri territori. Ma non è certo un'arteria faraonica che possa presentarsi allo stato come una “grande opera” che risolve da sola i problemi della circolazione lombarda. Sacrifici di territorio attraversato e di capitali pubblici abbondantemente messi a disposizione si giustificano solo in un'ottica di utilità pubblica, e quindi di servizio al territorio stesso, a disposizione della maggior parte dei cittadini.
Viceversa, sono numerose, se non unanimi, le valutazioni che indicano come, con i livelli di pedaggio annunciati, l'unico effetto che si potrà raggiungere sarà la disincentivazione dell'utenza. Non so se sia realistica la previsione di un meno 90% che ho visto pubblicata su alcuni organi di stampa, ma è certo che l'esito non si discosterà significativamente da quello che tutti temiamo. In luogo di una finta “grande opera”, ci ritroveremmo con una autentica “cattedrale nel deserto” secondo la peggiore tradizione che la prima repubblica ha illustrato in tanti decenni passati, facendo pagare a noi cittadini gli oneri di una cattiva programmazione e di una pessima gestione, per non dire di peggio.
Il tema è di una semplicità evidente: la priorità riguarda il come possiamo indurre i veicoli ad utilizzare l'opera il più possibile? In seconda battuta, altresì, come remunerare l'investimento del capitale privato? La mozione che stiamo discutendo ha il merito di tracciare una soluzione anch'essa semplice e lineare, una volta che le parti in causa non si sottraggano alle loro responsabilità e sappiano dialogare per trovare un punto di equilibrio equo e condiviso. Una soluzione che, oltretutto, risolve alla radice le enormi complicazioni che sono poste dalla gestione della riscossione del pedaggio nella tratta interessata, ove sono assenti i caselli e che si affida interamente al progresso tecnologico. Nessun dubbio che il procedimento free flow rappresenti un'interessante innovazione ecc. Inoltre, sulla carta, tutto funziona sempre bene, in genere. Ma è pur vero che le criticità legate ai costi e alla difficoltà, se non all'impossibilità, di ottenere il pagamento da coloro che hanno una concreta possibilità di evaderlo, visti anche gli importi di entità risibile rispetto all'onere dei procedimenti, sembrano profilare seri problemi anche in ordine alla redditività.
Sembra dunque sensato ed estremamente razionale chiedere una revisione complessiva dei processi sin qui previsti, ricordando ancora che la nostra priorità deve essere quella di invogliare i veicoli a precorrere la tangenziale in luogo dei percorsi alternativi più o meno urbanizzati. Lo chiediamo anche in nome dell'ingente quota di capitale pubblico che ha reso possibile la realizzazione dell'opera. Ad avere voce in capitolo non possono essere i finanziatori dei due terzi, deve contare solamente l'interesse del privato che ha contribuito per la parte rimanente? Senza presentare uno studio credibile sui flussi e sul rapporto tra costi (del pedaggio a questi livelli assurdi), effetti indotti e benefici (per la circolazione), e senza essere disposti a ridefinire radicalmente la tariffazione in caso di una prevedibile drastica diminuzione degli ingressi, chi prendesse decisioni sciagurate come queste mostrerebbe solo quanto gliene importi realmente del territorio, dell'ambiente e dei cittadini. Tutto ciò non sembra molto giusto; e in ogni caso, ciò ripropone con forza il ruolo e la capacità dell'iniziativa politica, al di là delle appartenenze di partito.
Noi, insieme agli altri consigli comunali, stiamo facendo, per quanto ci compete, la nostra parte. Ma è chiaro che la palla passa ora al ministero, come interlocutore di Autostrade, e soprattutto a Regione Lombardia, che si rapporta con Pedemontana, e non può far finta di niente. Comprendiamo che senta il peso della decisione che rivede un accordo già stabilito (accordo, peraltro, che al territorio non è mai stato illustrato con la necessaria chiarezza su questo punto). La esortiamo però a intervenire tempestivamente, seguendo le indicazioni offerte dalla presente mozione, comprendendo anzitutto
- che non si tratta di una regalìa populistica, ma di una dimostrazione di ascolto e di sinergia col territorio;
- che in un momento come l'attuale, la sua funzione le impone di tentare ogni via per favorire il rilancio dell'economia locale, e non di ostacolarla o soffocarla con un altro balzello;
- che miglioramento della qualità della vita e contrasto del degrado ambientale non sono obiettivi impossibili, ma si possono perseguire con una ragionevole politica di incentivazione, non con ristrette logiche da gabellieri.
Insomma, perdere questa occasione chiave per svolgere un ruolo di regia sarebbe imperdonabile. Noi stasera diamo alla Regione e agli altri soggetti coinvolti l'impulso ad agire con buon senso e in vista di un obiettivo che è facile condividere, e che non sembra divisivo delle differenti sensibilità politiche. Basta ora trovare la volontà di sedersi ad un tavolo e far valere la propria credibilità istituzionale, dimostrando di possederla, non di esserne drammaticamente carenti.

mercoledì 7 ottobre 2015

Un pedaggio assurdo per la mini-tangenziale: nocivo all'ambiente e all'interesse pubblico


Gli aumenti del pedaggio di Pedemontana, in vigore dal primo novembre, ufficializzati dalla società. e di fatto avallati dalla maggioranza che guida Regione Lombardia, con in testa la Lega, sembrano usciti da una favola scritta male. Come si possono accettare i pedaggi più alti d’Italia sulle tangenziali di Como e Varese e sul tratto autostradale Cassano Magnago – Lomazzo? Come dichiarano i consiglieri regionali del Pd Alfieri e Gaffuri "questi rincari disincentiveranno l’utilizzo dell’opera di cui, peraltro, non si sa ancora se verrà terminata. Rischia di essere una beffa per i lombardi”.
Una follia totale, che rende addirittura ridicoli i decisori regionali, bravi solo a rimangiarsi la parola. Ma poi, questi fini analisti del traffico pensano davvero che si genererà un flusso tale da giustificare le spese di costruzione (in massima parte sostenute col denaro nostro) e assicurare introiti non irrisori? O non faranno altro, com'è intuibile a tutti, che lasciare una situazione più o meno uguale ad oggi, con la massima parte delle auto che entra in città e vanifica tutta l'iniziativa? Senza presentare uno studio credibile sui flussi e sul rapporto tra costi (del pedaggio a questi livelli assurdi), effetti indotti e benefici (per la circolazione), chi prende decisioni sciagurate come queste mostra solo quanto gliene importi realmente del territorio, dell'ambiente e dei cittadini. Li sfido ad argomentare con numeri verificabili alla prova dei fatti (cioè dopo pochi mesi di utilizzo) la reale compatibilità dell'opera con gli interessi della cittadinanza e soprattutto con il buon senso. Altrimenti è chiaro che seguono altre logiche, altri interessi. 
Anche a Como, come nella maggior parte del comuni coinvolti, verrà discussa e approvata una mozione che richiede un radicale ripensamento e la gratuità del passaggio con una razionale suddivisione dei costi sui percorsi autostradali adiacenti. È una proposta intelligente e realistica, per questo forse, sentendosi con le spalle al muro, ne hanno paura e fanno finta di niente. Ma se tutto un territorio si esprimerà in questi termini, come potrà la Regione contraddirne le indicazioni? Con quale faccia ci racconteranno che pensano all'interesse comune? Ci ripensino in fretta, finché sono in tempo. O perderanno ogni residua traccia di credibilità politica.

martedì 8 settembre 2015

Parliamo del nulla...

Pare che anche in consiglio comunale a Como sarà posta in discussione una mozione per contrastare la diffusione nelle scuole della fantomatica teoria del gender, promossa da un centrodestra evidentemente a corto di proposte politico-amministrative, e che prova a galleggiare agitando le paure, volta a volta delle “invasioni straniere” o della “deriva sociale e morale” che attacca le famiglie “naturali”.
Gli studi sul genere – i cosiddetti “gender studies” – hanno inteso chiarire come nel tempo, nella storia e nella cultura siano state costruite le identità femminili e maschili. Se, da un lato, sottolineano l'evoluzione storica dei principi che reggono l’ordine sessuale, dall'altro sono ben lontani dal negare la rilevanza delle differenze corporee. Si può leggere in proposito la lucida intervista a Judith Butler http://www.lavoroculturale.org/sulla-teoria-del-gender-judith-butler/.
Mi pare che da noi sia in atto invece una stolida operazione sottoculturale con conclamata strumentalizzazione politica, che ha creato dal nulla una "teoria gender", facendola peraltro esistere ed esprimendone le pseudoargomentazioni solo... nei testi che attaccano la teoria gender. Si tratta, in sintesi, di distorcere e stravolgere a bella posta le indicazioni pedagogiche che mirano a combattere nella scuola la discriminazioni e gli stereotipi mortificanti, agitando lo spettro di un "inquinamento" delle menti dei nostri poveri bimbi. In pratica... la solita bufala. Come dimostrano i social network e il livello medio della politica e della comunicazione in Italia, purtroppo, per le bufale c'è però un ampio mercato e, chissà, un tornaconto elettorale.
Tornando al nostro consiglio comunale: forse non c'è nulla di drammatico nel soffermarsi sui parti della fantasia, così che si potrà affrontare una ulteriore discussione sul nulla provocando pochi danni, se non in termini di tempo perso, denaro pubblico sprecato e pazienza del sottoscritto messa alla prova.
Ma se dovessimo continuare su questa linea converrà che ci attrezziamo: comincerei ad esempio attivando iniziative per promuovere il gemellaggio di Como con qualche splendida località della Terra di Mezzo. Avete preferenze?

venerdì 24 luglio 2015

CoCoCo 2015-6 - Non è un bilancio di fine mandato: dichiarazione sul bilancio 2015

Anche il bilancio di quest'anno, per il quale preannuncio la nostra approvazione in sede di voto, risulta pesantemente condizionato dalle ristrettezze congiunturali, con vari milioni in meno a disposizione rispetto al documento del 2014. Il paziente lavoro della giunta, sostenuto dall'azione degli uffici, ha permesso di ottimizzare il rapporto tra le entrate e le uscite, nelle quali – ed è un punto importante, spesso dimenticato nel dibattito – sono comunque presenti investimenti in opere per circa 12 milioni (in reti, strade, edilizia pubblica e verde). Il tema, dunque, è anche e soprattutto quello di recuperare le risorse necessarie a far quadrare i conti. Che si vada nella direzione giusta, è testimoniato dal fatto che una quota significativa di queste deriva dalla riduzione delle spese per il personale, in calo di quasi un milione (da 27milioni e mezzo si scende a 26 milioni e 600mila euro).
Segno della cura, dell'attenzione e dell'impegno con cui la Giunta e gli uffici hanno lavorato è che si è intervenuti su tutti i settori con tagli, certo, magari piccoli, ma mirati, assolutamente non con la brutalità semplicistica dei tagli lineari, fino a comprendere anche le manutenzioni e l'acquisto di beni di consumo (100mila euro in meno). Inoltre va considerata con favore l'azione graduale di estinzione dei debiti comunali: in questa linea, da tempo, non è stato fatto nessun nuovo mutuo e si va riducendo il peso degli interessi.
Segno di un ragionamento ponderato – sofferto ma assolutamente necessario, in questi tempi difficili per molti cittadini – è stata l'assenza di riduzione della spese sociale (anzi) e quindi dell'erogazione dei servizi. Come ha dichiarato il Sindaco Lucini, si è lavorato puntigliosamente sui numeri e sui margini di sicurezza di un bilancio forzatamente problematico. «Significa che, se dovessero esserci emergenze o imprevisti nei prossimi mesi dell'anno, saranno guai. Dobbiamo accontentarci di un livello decente, con più fondi potremmo fare molto di più in termini di manutenzioni e non solo. Per esempio, nel momento in cui si deve stilare un nuovo bando non si inseriscono novità migliorative ma si mantiene l'esistente. I servizi comunque sono salvi, abbiamo fatto in modo di tenerli tutti. Nessun taglio sui rifiuti o sui trasporti, per i servizi sociali c'è un milione e mezzo in più rispetto alla cifra impegnata l'anno scorso».
Questo fatto, almeno, è stato riconosciuto da più parti, e basterebbe a replicare alle accuse di incapacità gestionale che con una certa faciloneria sono state mosse dai vari critici che contiamo in consiglio. Ribadiamolo: l'unico settore che in questo bilancio si sottrae alle forbici e vede crescere in misura significativa le risorse a disposizione rispetto al 2014 è quello sociale (da 22,2 milioni a 23,5).
Non basta, certo, a stare tranquilli: siamo al limite estremo della sostenibilità, giunti al quale, se dovessero rendersi necessari ulteriori tagli, il Comune non potrà che diminuire i servizi per i cittadini. Questo spiega l'opportunità dell'intervento del Sindaco nei confronti del Governo: è paradossale che lo Stato ci dia mandato di assicurare una pluralità di servizi indispensabili, e poi ci sottragga, attraverso il perverso meccanismo del "fondo di solidarietà" ben 11,3 milioni, addirittura 4 in più rispetto al 2014.
Questo non è un bilancio di fine mandato, espressione ad effetto che è stata usata in alcuni casi dall'opposizione, ma è del tutto fuori contesto, e non significa un bel niente.
Questo è – invece – il bilancio di chi si è lanciato con coraggio in mezzo alla corrente, e sta vivendo in prima persona tutte le difficoltà quotidiane, tutte le piccole e grandi sfide, giorno dopo giorno. È un'azione che ha già prodotto atti efficaci e soluzioni, con il limite di non potere necessariamente fornire tutte le risposte in tempi celeri. È vero, peraltro, che abbiamo oltrepassato la metà di questa regata – il giro di boa – e si avvicina il momento dello sforzo conclusivo, con un'accelerazione che dovrà farsi costante, ma anche ben dosata e regolata, per raggiungere la maggiore efficienza possibile in vista del traguardo.
Io questo sforzo cospicuo lo vedo fare dai nostri amministratori. Esso meriterebbe, l'ho già detto in altra occasione, una riconoscenza da parte di noi cittadini, certo più nel senso etimologico del “ri-conoscimento”, della consapevolezza, che non come “consenso elettorale”, cosa di cui ci si deve preoccupare solo fino a un certo punto, quando si lavora con la limpida coscienza di fare tutto il possibile per il bene della città.
E non dubito neppure che ciascuno dei consiglieri voglia operare in aula con il preciso intento di lasciare la città migliore di come l'ha trovata. Per quanto riguarda la maggioranza, che ha ricevuto il mandato di determinare le scelte per il presente mandato in Consiglio e nella Giunta, vedo il desiderio di fare sempre più e sempre meglio. Di evitare gli errori ai quali inevitabilmente si è soggetti durante il proprio operato. Errori, finora, comunque che scompaiono di fronte alle ombre gigantesche di quelli passati, il cui peso, i cui costi, sono ancora tuttora un ingombro pesante.
Il fatto che ci siano visioni e scelte divergenti è del tutto normale, nella dialettica tra maggioranza, che si assume l'onere del governo, ed opposizione, che tende a rimarcare gli elementi critici, veri o presunti, transitori o magari destinati a permanere, chissà. L'unico giudizio che appare completamente propagandistico ed infondato – e che tenta ovviamente di ritagliarsi una qualche credibilità con l'appoggiarsi sulle mille difficoltà quotidiane dell'azione amministrativa – è la mancanza di una visione progettuale. Esempio principe quello della Ztl: di volta in volta, si è partiti troppo presto, si è in ritardo di programmazione, si mettono troppi soldi, si realizzano per gradi i vari tasselli “ma non è cosa da farsi ora”, ecc. Ora, la visione può risultare errata dal punto di vista di chi non condivide il nostro programma elettorale. Ma non la si può dichiarare inesistente. La promozione della vocazione turistica di Como è invece pienamente in atto con una pluralità variegata di interventi, di cui proprio la Ztl rappresenta uno dei più impegnativi; la quantità delle offerte culturali ne è un'altra parte integrante. Si diceva che Como fosse una “città morta”: bene, da qualche anno non è più così. Si imputa all'amministrazione di fare disastri: ma l'afflusso turistico è in costante aumento. La candidatura di Como a capitale della cultura italiana è stata presentata con caratteri di piena credibilità. Ed è troppo facile dire “bella forza”, facendo leva sull'orgoglio comasco. Conta anche, e molto, il modo con cui si sanno valorizzare le situazioni esistenti e le risorse a disposizione. Sono tutti esempi di come la rappresentazione in negativo che viene data dell'operato della giunta Lucini sia chiaramente mal calibrata. Del resto, a che giova? Senza portare slancio, rinunciando a una visione positiva, limitandosi a fare l'elenco delle pagliuzze che vediamo (metaforicamente) negli occhi degli assessori, diverremo forse più capaci di affrontare gli ostacoli? Come ho detto, non parlo delle proposte costruttive che, senza stravolgere il bilancio, sono state recepite dalla maggioranza. Parlo della serie di giudizi di parte e delle profezie negative che si sono succedute nel dibattito, che non vogliono riconoscere come molti dei problemi non siano affatto ignorati, ma siano in realtà già in una fase di definizione. Quando ci si mette mano, però, le scelte non si condividono. È legittimo, ma è veramente utile alla città contrapporre a questo sforzo organico di gestire al meglio le risorse sempre più ridotte, una lettura tragica basata sulla (presunta) verità delle sventure che attendono il nostro futuro prossimo?
La risposta è che siamo ormai in campagna elettorale, e si vede, e si è sentito in molte delle dichiarazioni che mi hanno preceduto. Più che ribattere ad ogni singola accusa, allora, l'esortazione che rivolgo agli assessori e al Sindaco che li coordina è di continuare a lavorare senza scoraggiarsi, perché saranno questo lavoro e i risultati che non mancano e non mancheranno ad essere valutati dai cittadini, non le tante considerazioni di parte che abbiamo ascoltato.

giovedì 28 maggio 2015

Ancora su intolleranza e comprensione dell'altro

Una breve replica a chi in questi giorni ha inteso manifestare, su Facebook e in altre sedi, il proprio legittimo dissenso dal mio punto di vista, dicendosi preoccupato di posizioni che giudica più o meno "razziste" e discriminatorie, che non dovebbero perciò avere diritto di cittadinanza. 
Posso apprezzare la vostra passione e ritengo che non abbiate intenzione di giustificare chi – in assoluta minoranza – sabato ha cercato lo scontro. Credo però sia un punto su cui riflettere. Da dove nasce questo accanimento contro coloro le cui posizioni non comprendiamo? Siamo sicuri che tenere accesi i toni sia il modo migliore per valorizzare le nostre buone ragioni? Ovviamente non trovi nel mio discorso una condanna di alcuna manifestazione di segno contrario, favorevole cioè all’affermazione del disegno di legge in questione.
Il punto controverso sta evidentemente nel tentativo neanche troppo velato di demonizzare chi dissente e di farne, di fatto, un bersaglio, equiparando tout court la sua posizione a ben note ed esecrabili ostentazioni di razzismo o altre attività aberranti sul piano dei principi costituzionali. Ma i giudici di questa attribuzione, guarda caso, siamo sempre noi.
A me sembra quanto meno opinabile e non molto democratico. Se si fosse tanto sicuri che la presenza nelle piazze delle “Sentinelle” rapresenti un incitamento all’odio (cioè l’unica fattispecie di reato attinente che il nostro ordinamento prevede) si porti il caso davanti a una corte di giustizia. Purtroppo, da gandhiano (carente) e obiettore di coscienza, a me sembra piuttosto di veder trasparire una tentazione sempre presente in noi, me compreso, e che mi sforzo di combattere, quella di ergerci a giudici degli altri, di delegittimare la posizione avversaria individuando un nemico in chi, semplicemente, non riesce a considerare le cose nella nostra prospettiva.
Il dibattito sulle leggi vede fisiologicamente posizioni favorevoli e contrarie: mi sembra l’essenza stessa della democrazia. Se sono certo delle mie buone ragioni, vado incontro alla sfida armato unicamente di esse. Preferisco non cercare scorciatoie che possano ledere l’essenza della libertà di espressione. Mi sembra addirittura controproducente, per un movimento che mira ad estendere l’esercizio dei diritti per le persone che si sono trovate in passato anche pesantemente discriminate, imbracciare armi (quelle della repressione, della censura, se non addirittura dello scontro fisico) che sono state utilizzate proprio per esercitare una odiosa discriminazione.
Se penso alla lotta per l’indipendenza dell’India, soprattutto all’insegnamento della sua luminosa guida, non ho dubbi rispetto alla maggiore efficacia delle battaglie condotte all’insegna della comprensione dell’altro, e comunque nella tolleranza verso ciò che, eventualmente, considero un errore. Meglio, verso colui che secondo me è in errore. Ma anche per chi non condividesse, ripeto che abbiamo la Costituzione repubblicana e le leggi a cui eventualmente appellarsi se ritenete il confronto delle idee uno sforzo inutile. Io semplicemente non riesco a considerarlo tale.

lunedì 25 maggio 2015

CoCoCo 2015-5: Intolleranza e libertà di espressione

Occorre guardare con qualche preoccupazione ad episodi come quelli verificatisi in città sabato scorso, a margine di una delle varie manifestazioni delle cosiddette "Sentinelle in piedi" che, a modo loro, esprimono dissenso contro un disegno di legge, in discussione al Parlamento, riguardante le unioni civili fra persone dello stesso sesso.
A scanso di equivoci, dichiaro subito che non condivido questa posizione, di cui apprezzo solo la modalità assolutamente non violenta che ne caratterizza l'espressione, non i contenuti. Ma si tratta innegabilmente dell'esercizio di un diritto costituzionalmente garantito, che non possiamo presumere di voler negare o vietare perché esprime posizioni che non ci aggradano. Può darsi che le intenzioni della trentina di ragazzi che ha provato a raggiungere piazza Grimoldi passando a fianco delle bancarelle del mercatino dei portici Plinio e che è stato allontanto dalle forze dell'ordine, proseguendo poi con cori e striscioni, non fossero particolarmente bellicose. Tuttavia vedo un forte rischio per l'ordiamento democratico, se si comincia a discriminare la libertà di espressione degli altri in base alle proprie convinzioni personali. Un conto è la provocazione di chi si richiama, più o meno velatamente, a ideologie totalitarie e razziste, che non può essere accettata proprio perché mira a sovvertire i valori costituzionali; ben altra cosa è presumere di potersi rapportare aggressivamente o in maniera censoria contro chi manifesta pacificamente idee diverse dalle nostre.
Va certamente ribadito e condiviso l'assunto che i diritti civili vadano sempre meglio compresi ed applicati per tutti, conformemente all'art. 3 della Costituzione, per il quale appunto “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Nel caso in questione, si tratta ovviamente di mantenere fermo anche l'altro principio inossidabile dell'art. 21, che “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.”
È francamente insensato che si richiedano prese di posizione liberticide a questo consiglio, come è avvenuto in un intervento della scorsa settimana nel quale, con grande facilità ed altrettanta superficialità, si voleva estendere la ferma posizione antifascista che il Consiglio stesso ha ribadito con una recente mozione a nuovi divieti contro chi esprime posizioni discutibili, come ve ne sono in ogni dibattito su testi di legge, semplicemente perché esprimono una visione del mondo da noi non condivisa.
È risaputa, e viene talora citata anche nei nostri lavori consiliari, la frase attribuita a Voltaire: “Non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu lo possa dire”. Il grande illuminista in realtà non l'ha mai scritta né pronunciata; si tratta di un equivoco generato dall'eccesso di libertà interpretativa di una scrittrice inglese in un volume del 1906.
Infatt Evelyn Beatrice Hall compendiò il pensiero dell'autore del Trattato sulla tolleranza in questa frase: «I disapprove of what you say, but I will defend to the death your right to say it.» (The Friends of Voltaire, 1906, riprendendola anche nel successivo Voltaire In His Letters (1919). Per chiudere la storia di questa falsa citazione, Charles Wirz, Conservatore de "l'Institut et Musée Voltaire" di Ginevra, ricordava nel 1994, che Miss Evelyn Beatrice Hall, mise, a torto, tra virgolette questa citazione in due opere da lei dedicate all’autore di « Candido», e riconobbe espressamente che la citazione in questione non era autografa di Voltaire in una sua lettera del 9 maggio 1939.
Ad ogni modo, prendiamola pure come un indicatore opportuno del nostro attuale senso di civiltà, di inclusività democratica e, appunto, di tolleranza, esattamente come espressa da molti nella recente e drammatica vicenda che ha portato ad affermare la propria solidarietà nei confronti delle vittime del massacro al giornale satirico Charlie Hebdo. Non facciamo quindi due pesi e due misure, secondo l'occasione del momento. Ovviamente possiamo sempre manifestare il nostro “dissenso al dissenso”, ribadire con la forza delle argomentazioni il sostegno ad un disegno di legge che intende estendere i diritti dei cittadini, indipendentemente dal loro orientamento sessuale. Ma non chiedeteci, per favore, di reprimere i dissidenti. Non create ad arte presunti nemici della democrazia in cittadini della Repubblica che attuano un loro diritto inalienabile. Il rischio, come si è visto, è di indicare bersagli per una nuova intolleranza. Vi prego caldamente, fermatevi qui. Non costringete la nostra coscienza democratica a dove dire, un giorno, “sono una sentinella in piedi” per solidarizzare con chi rischia di essere vittima di aggressioni che con l'autentico confronto politico hanno poco a che vedere.

mercoledì 13 maggio 2015

CoCoCo 2015-4: Sul bilancio consuntivo 2015

Ho cercato qualche valida ragione per non votare questo bilancio.
In coscienza, non ne ho trovate e, salvo qualche legittimo spunto di critica, non ne ho neppure ravvisate nel dibattito in quest'aula. Parlo di ragioni valide e convincenti, naturalmente. Se bastasse lamentarsi delle cose non fatte, sorvolare sulla pluralità di interventi realizzati perché li si considera troppo piccoli per il proprio sguardo elevato, riprendere il lamento qualunquista sulla città che non cambia passo, allora saremmo a cavallo. Ma staremmo parlando d'altro, facendo cioè una lettura chiaramente alternativa a priori all'operato di questa amministrazione, e perciò ferma al gioco di ruolo che di fatto disconosce ogni elemento positivo di tale operato.
In sintesi, questo è un bilancio che:
- risente evidentemente di una serie di vincoli esterni che rendono difficile la gestione della spesa corrente;
- riesce però ad evitare la diminuzione dei servizi erogati;
- ha saputo gestire in modo attento la programmazione degli impegni e dei pagamenti sulla competenza;
- ha realizzato un completo monitoraggio dei pagamenti delle opere finanziate negli anni precedenti;
- ha operato in modo significativo la riduzione dell'indebitamento;
- ha avviato una percepibile diminuzione della spesa per il personale.
Tutto è migliorabile. Ma le critiche che ho sentito trascurano volutamente i passi fatti e le difficoltà strutturali. Ho però riconosciuto, in qualche intervento, intenti più costruttivi, quando individuano nel miglioramento dell'efficienza degli uffici il punto chiave sul quale operare, in una prospettiva strategica, per migliorare la qualità del servizio e contemporaneamente liberare risorse.
Dico chiaramente che la valutazione dell'operato degli uffici, non in sé, ma come viene espressa in questo documento, è un vero problema. Infatti l'indicazione della realizzazione percentuale degli obiettivi, è
1) solo debolmente significativa, perché non indica l'effettiva realizzazione di opere, ma solo dei vari segmenti in cui l'azione è suddivisa;
2) difficile da leggere per un profano, senza la contestuale e puntuale indicazione degli obiettivi stessi;
soprattutto 3) facile strumento per le strumentalizzazioni interessate di chi finge di non capire (e ci riesce benissimo), rendendo un discutibile servizio alla sua causa e, a mio giudizio, un pessimo servizio alla città. Ma appunto, è un sistema carente per come è concepito: va modificato in modo radicale, per diventare leggibile pienamente e nei termini corretti, ossia come indicatore di processo e non di risultato.
Così, forse, si contribuirà ad evidenziare l'impegno degli uffici e di una buona parte del personale, al quale dico: non smettete di credere che il vostro lavoro sia necessario e prezioso per la collettività; favorite il miglioramento dei processi; combattete il lassismo, se vi trovate confrontati con esso nell'esperienza quotidiana; non avversate i cambiamenti che vengono proposti per aumentare l'efficienza. La città ve ne sarà grata.
Al Sindaco e alla giunta, nel rinnovare una piena condivisione e fiducia nel loro operato, dico di non demoralizzarsi se una parte dell'opinione pubblica non riesce ancora a percepire l'impegno quotidiano e costante che profondete nel vostro lavoro. In primo luogo non è tutta la cittadinanza. Molti vedono con favore lo stile sobrio e serio con il quale ci si sta muovendo, da operai coscienziosi che operano con il cacciavite e non, come i più bravi a parole pretenderebbero, con la dinamite.
Le tantissime situazioni che si stanno affrontando, e cominciano a trovare una sistemazione visibile; il ripristino, ancora non ottimale ma tangibile, di varie parti della città;la fioritura di iniziative culturali, incoraggiate e messe in rete dall'amministrazione, sono alcuni dei segnali che danno a tanti di noi la netta percezione di vivere in una Como migliore, rispetto a qualche anno fa: non una città perfetta e senza problemi, ma una città che si è messa in cammino per risolverli, che respira più liberamente, che attua forme di partecipazione spontanea e organizzata, e che non si riconosce nel quadro a tinte fosche dipinto in quest'aula. Per questo vi esprimo anche la mia personale gratitudine di cittadino comasco, e vi incoraggio a voler credere ancora nei nostri progetti, a continuare in questo sforzo nonostante le enormi difficoltà. Grazie.

domenica 10 maggio 2015

La politica che cambia le carte in tavola, che noia

Sconcertante. Così si potrebbe definire la lettura delle dichiarazioni pubblicate venerdì 8 maggio  sul “Corriere di Como” da parte di rappresentanti dell’opposizione in merito all’area Ticosa. Nel teatrino della politica, non è una novità: tecnicamente, si chiama “rivoltare la frittata” delle responsabilità. Però le stupidaggini e le falsità sono sempre una mancanza di rispetto nei confronti dei cittadini, e quindi tocca replicare alle accuse ingiuste, infondate e strumentali.
In breve, si dice che “il PD” con “ricatti e ostruzionismo” ha fatto crollare il valore dell’area. Qualcuno  ignora che i prezzi variano nel tempo, e che li fa il mercato, non le chiacchiere dei politicanti? Le fantasie “ricattatorie” non sono fumo per mascherare l’incompetenza di chi governava prima la città? E soprattutto,  se il bene è “guasto” e privo in realtà di valore a causa dell’amianto,  la colpa è di chi lo sta rimettendo a posto, oppure dell’incompetente che  lo spacciava per buono e ha rifilato questa ennesima rogna alla città?
Si propone una laurea honoris causa in economia.
Si aggiunge che bisognava fare “subito” un parcheggio a pagamento per incassare, anziché spendere soldi per la bonifica. Peccato che le procedure, una volta avviate, vadano completate, pena ulteriori sanzioni di cui la città non ha bisogno. Oltretutto si sarebbe chiusa per sempre la porta alle prospettive di riqualificazione dell’area a servizio della comunità, che ancora sembrano aperte. Il parcheggio è l’ipotesi sensata, ma minimalista, che l’amministrazione ha sempre avuto presente, ed è però un ripiego, che sancirebbe doppiamente la dabbenaggine di chi avviò trionfalmente l’operazione Ticosa con fuochi d’artificio e superficialità illimitata. Dovevate farlo allora, verrebbe da dire, se era così semplice!
Si propone una laurea honoris causa in urbanistica.
Infine,  sulle sempiterne accuse di “incapacità” all’amministrazione, è comodo e falso affermare che si fosse assicurata, per le enormi magagne e lo sfacelo che il centrodestra lasciò, una impossibile “soluzione immediata”. Immediata, e costante, è stata però l’applicazione per affrontare i problemi e costruire le soluzioni, anche se con le mani legate dai pesanti vincoli normativi ereditati.  I bilanci comunali, prosciugati dalle bonifiche, ne sanno qualcosa. Grazie ancora, cari ex assessori!
Maghi e miracoli stanno da un’altra parte, e non dubitiamo che li vedremo comparire a mazzi in campagna elettorale. L’amministrazione Lucini fa con pazienza ogni sforzo, e lotta anche contro situazioni impreviste, per venire a capo delle grandi ferite che altri hanno inferto a Como. Non abbiamo paura del giudizio degli elettori, ma le persone sensate capiscono che i risultati, su questi grandi temi, vanno valutati al termine del mandato. Per gli altri, più o meno facinorosi, proponiamo una laurea honoris causa in futurologia.

lunedì 20 aprile 2015

CoCoCo 2015-3: Chiacchiere e intolleranza sono più utili della formazione al lavoro?

L'emergenza umanitaria legata all'arrivo di nuove ondate di profughi sul nostro territorio non può che destare preoccupazione e una mobilitazione anche politica, di cui cogliamo i segnali contrastanti. Giustamente, con le parole del Presidente Mattarella «l'Italia invoca da tempo un intervento deciso dell'Unione europea per fermare questa continua perdita di vite umane nel Mediterraneo, culla della nostra civiltà». Spiace però constatare che una speculazione politca di infimo livello sta riprendendo fiato, un giorno sì e l'altro pure, tentando di alimentare un'irrazionalità collettiva e paure nuove ed antiche, stavolta anche con la deplorevole “variazione sul tema” di prendersela con chi si rimbocca quotidianamente le maniche per affrontare l'emergenza.
In questo caso il bersaglio comasco è la Caritas, oggetto di un attacco tanto demagogico quanto sconsiderato da parte del deputato leghista Molteni, che sarebbe colpevole di promuovere «anche corsi di formazione, digiardinaggio, di cucina, di panificazione, percorsi di inserimento lavorativo, mediazione culturale, corsi di lingua, assistenza sanitaria gratuita». Questo sarebbe lo "scandalo" di un presunto sistema discriminatorio di aiuti, che riprende la semplicistica contrapposizione di "noi" e "loro" nella speranza di raccattare i voti di quanti, a ragione o torto, si sentono marginalizzati o semplicemente impauriti dalle trasformazioni sociali in atto.
L'intento dei parolai nazionali e nostrani, però, è chiaro. I problemi sul territorio non vanno affrontati, ma lasciati aggravare, per poter continuare a lucrare in termini elettorali.
Chi lavora per l'integrazione, per dare alle persone che la guerra o la disperazione fanno approdare ai nostri lidi una prospettiva che alla fine li renda utili alla collettività che li ospita, va colpevolizzato. Chi mostra un senso concreto di responsabilità nei confronti del suo prossimo, anche per attenuare il disagio sociale complessivo, deve essere accusato di "buonismo", perché si rifiuta di cedere alla logica delle contrapposizioni sterili e inconcludenti, utili peraltro solo ad alimentare la rabbia dei disagiati e a far salire il clima di intolleranza.
Capisco che sentir parlare di "formazione" sconcerti taluni, per le prospettive di composizione armoniosa delle conflittualità che apre, di inserimento produttivo nelle nostre comunità, ben oltre le logiche dell'assistenzialismo. Mi chiedo però quanto sia utile, a queste nostre comunità, far cagnara, levare alto il grido dell'"invasione", suscitare paure e risentimenti, e soprattutto, ripeto, prendersela con chi fa concretamente qualcosa di buono per gli altri: italiani e non.
La massima impostura di questi pseudoragionamenti ipocriti sta nel nascondere l'opera costante e preziosa che la stessa Caritas svolge da sempre nei confronti di ogni forma di povertà, certo senza stare a indagare sui dati anagrafici e però includendo tutti gli italiani veramente bisognosi.
Forse questa azione meritoria non basterà da sola a risolvere gli enormi problemi che lo scenario internazionale ribalta addosso alla comunità nazionale e a quella locale. Ma di certo le parole a vanvera dei politicanti che si impancano a “professionisti della paura” possono servire solo ad aggravarli, al solo scopo di raccattare qualche voto in più. Ma spero francamente che gli Italiani non seguano questa deriva degenerativa, di reale imbarbarimento della politica che avvelena il nostro paese e mina la nostra credibilità di Paese: quella deriva che, per citare ancora il Presidente Mattarella, rischia solo di farci «smarrire la nostra umanità».

lunedì 23 marzo 2015

CoCoCo 2015-2: Occupazione di suolo e consumo di tempo. Fatti vs. parole

Arriviamo alla fine di una lunga serie di sedute destinate all'approvazione del regolamento per l'occupazione del suolo pubblico. Lo scopo fondamentale, ce lo siamo detti, è quello di contemperare le esigenze dei privati, delle legittime attività economiche, con l'interesse pubblico.
L'obiettivo è stato a nostro avviso pienamente realizzato. Ma quante parole sono state necessarie per arrivarci! Credo appunto che, in conclusione di questa "maratona", la cosa più utile da fare sia proprio questa: distinguere le tante, troppe parole pronunciate in quest'aula dai fatti certi e verificabili.
Il primo fatto: il regolamento esiste ed è un importante risultato politico di questa amministrazione, piaccia o non piaccia.
Un secondo fatto: si è finalmente intervenuti in modo conclusivo dopo anni e anni di inerzia, di quieto vivere, di sostanziale disinteresse. Il coraggio di operare ovviamente espone sempre il fianco a critiche, molto più di chi lascia tutto come sta, o addirittura nasconde la polvere sotto il tappeto. Però le tante, troppe parole di contorno, che abbiamo udito e volte a denigrare la Giunta e egli uffici sono appunto parole: un parere personale e non disinteressato di un'opposizone che si sente già in campagna elettorale e prova a cavalcare tutti i temi possibili in questa chiave: "non sapete lavorare, fate solo disastri, e quel ch'è più grave non ci state ad ascoltare", eccetera. Parole, vuote parole, e troppo numerose.
Sì, perché il terzo fatto è che ci sono volute innumerevoli ore per approvare un testo che certamente poteva essere perfezionato, e lo è stato con il concorso di tutti. Si è forse chiusa a riccio la maggioranza, presentando un testo “blindato”? No: un quarto dato di fatto è stato appunto che, dove si è trovato ragionevole operare dei cambiamenti, le proposte migliorative non sono state respinte, a differenza di quanto adombrato in alcuni interventi polemici.
Un quinto fatto è quello dell'ascolto e della ragionevolezza: senza voler essere inutilmente perentori, si è voluto tener conto delle istanze di chi trae comunque un guadagno dall'occupazione del suolo pubblico, prorogando nel tempo una serie di assolvimenti onerosi, o preoccupandosi di garantire l'equilibrio tra moderne esigenze di concorrenzialità e riconoscimento delle professionalità maturate.
Questi i fatti. Ma torniamo alle parole fiorite in quest'aula: sono state tutte strettamente necessarie? Quando ci si mette più di un mese di sedute non solo per la proposta di modifiche, ma per infarcire con i più vari commenti la discussione con disquisizioni che a volte sono poco più che opinabili dettagli, quando si passano le ore a sentir sproloquiare di stile sovietico, di giovanili visite al gabinetto, di fiori di plastica partoriti dalla fantasia dell'oratore, ma non certo presenti nella regolamentazione che si è discussa: a chi possiede un minimo di concretezza non viene forse il sospetto che si stia esagerando?
Certo, le parole in libertà sono sempre pronte a giustificarsi: "il regolamento è pessimo, è una sciagura, è stato scritto male, bisogna cambiarlo in tutti i luoghi e a tutti i costi", compreso un consumo di tempo che non sembra avere equivalenti nei dibattiti consiliari di altri capoluoghi; ma simili giudizi sono fatti, oppure opinioni interessate? Sono semplici parole della politica, che democraticamente ci è consentito di non condividere. Ma se poi, per evidenti ragioni di contenimento dei tempi, i consiglieri di maggioranza rinunciano a pronunciarsi a loro volta su tutto e a polemizzare sui dettagli più insignificanti, è pronta un'altra raffica di parole per esortarci, in toni tutt'altro che civili, ad alzarci dalla sedia. Dovremmo cadere in queste provocazioni verbali e consumare altro tempo per replicare? No, perché sono aria fritta, e coi fatti hanno poco o nulla a che vedere.
E non è un altro dato di fatto che la maggioranza ha operato una lunga serie di incontri sul presente regolamento, cioè ciascuno di noi ha impiegato ore del suo tempo per comprendere e formulare osservazioni, alcune delle quali hanno anche trovato forma in emendamenti, essendo il frutto di una riflessione condivisa e continuata?
Ma certo: se il regolamento fosse arrivato come un pacchetto preconfezionato e non modificabile, ci sarebbe stato detto che siamo sotto la dittatura della giunta, e noi consiglieri di maggioranza ne siamo i servi (naturalmente ignorando del tutto cosa significhi saper fare squadra, ma è più comodo per le ricostruzioni faziose dipingerci così, perciò ce ne facciamo una ragione e non rimane altro da fare che compatire chi ci rivolge attacchi di questo tenore).
Se invece, come è stato, si tratta di una costruzione compiuta ed organica, ma comunque perfettibile e perciò modificabile, ci vien detto: non sapete lavorare.
Calunniate, calunniate, qualcosa resterà, diceva Voltaire, e prima ancora di lui Bacone. Un metodo adatto alla prossima campagna elettorale, che è già partita e che ha naturalmente bisogno di molte parole: non saranno, alcune di esse, proprio quelle profuse a iosa nelle sedute precedenti, e ancor più in alcune delle ultime dichiarazioni di voto?
Alcune sono state un contributo alla definizione di una soluzione comune. Ma altre si sono rivelate, come si è detto, semplici parole in libertà, che il giudizio degli elettori potrà vedere alla fine smentito dai fatti che questa amministrazione sta producendo e ancor più dalle realizzazioni degli ultimi anni di mandato. Questo giudizio, naturalmente, può esercitarsi da oggi anche su un ultimo dato di fatto: che le nostre interminabili sedute hanno dei costi, sui quali i cittadini sapranno e vorranno esprimere un giudizio. Anche questi sono costi "della politica": sarebbe quindi buona cosa impiegare queste risorse senza limitare il confronto delle opinioni, ma anche, con democratica saggezza, tenere in debito conto che le parole scollegate dai fatti, le mere opinioni tendenziose, a furia di ripeterle ossessivamente e per giunta con debole fondamento nei fatti, a parte lo sfogo della propria vis polemica, prima o poi vengono anche a noia.

lunedì 2 febbraio 2015

CoCoCo 2015-1: Fanatismi burocratici e diritto di culto

Qual è lo scopo di un'amministrazione? Complicare la vita dei cittadini con infiniti passaggi burocratici, vincoli insostenibili, norme fuori dalla realtà?
È quanto ci si sta chiedendo in gran parte dei comuni lombardi, all'indomani dell'approvazione delle modifiche alla legge regionale n. 12 del 2005 che, con la scusa di regolare un ambito di evidente importanza e delicatezza, mirano solo a rendere più difficile l’insediamento di nuovi servizi religiosi. La tecnica è evidente: non potendo negare il principio costituzionale dell’eguaglianza delle religioni di fronte allo Stato, si cerca di limitarne l’esercizio attraverso l’assoggettamento a normative edilizie e urbanistiche contorte.
L'intento ostruzionistico è stato chiaramente messo in luce anche dalla recente dichiarazione dell'ex presidente Formigoni, il quale evidenzia come il testo originario, poi modificato, prevedesse addirittura il vincolo che limitava i nuovi luoghi di culto alle confessioni che hanno un'intesa con lo Stato, palesemente incostituzionale; il punto secondo cui un culto per avere diritto a un tempio avrebbe dovuto essere rappresentato a livello nazionale, altro vincolo normativo tendente all'assurdo, e che la decisione di un Comune fosse sottoposta a una consulta regionale. Pur emendata dei suoi dettagli più beceri, la norma rimane viziata da “un eccesso di regolazione, vincoli urbanistici francamente eccessivi, ostruzionistici”.
Il provvedimento contiene infatti disposizioni che prevedono, per tutti i nuovi luoghi di preghiera di qualsiasi confessione, uno spazio per parcheggi grande due volte l’area interessata alla concessione, fino a un «Piano attrezzature religiose» che dovrà essere sottoposto a Vas (Valutazione ambientale strategica) con l’acquisizione del parere di comitati, organizzazioni e rappresentanti delle forze dell’ordine. Ma la norma prevede anche qualcosa di assai controverso come la possibilità di indire un referendum sul nuovo insediamento religioso.
Non è un caso che la Curia di Milano abbia preso le distanze dalla legge lombarda, che rischia di «produrre effetti che vadano al di là delle intenzioni di chi li propone».
Riprendo la valutazione dell’assessore all’Urbanistica del Comune di Como Lorenzo Spallino «La norma impone di approvare il Piano per le Attrezzature Religiose, nuovo componente del Piano dei Servizi, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della legge regionale. Decorso questo termine il piano è approvato unitamente al nuovo Piano di Governo del Territorio. Si tratta di un documento in più, di cui francamente non si sentiva la necessità. Per obiettivi propri di una minoranza politica si rende più complicata la vita delle amministrazioni locali. Quando sono proprio queste a chiedere a gran voce, indipendentemente dagli schieramenti politici, una semplificazione delle procedure».
Invece «La nostra proposta è di avviare un percorso parallelo a quello oggi condotto dalla variante al Pgt in essere, in attesa della pronuncia della Corte Costituzionale che immagino il Governo investirà della questione».
Già l’avvocatura del Consiglio, organo che fornisce assistenza legislativa e legale alla Regione, aveva espresso fortissime critiche a queste proposte dalla maggioranza regionale, evidenziandone i caratteri di incostituzionalità. Secondo l’avvocatura regionale, la libertà religiosa è costituzionalmente garantita e non può esser regolata dalla normativa urbanistica di competenza regionale. Viene inoltre bocciata anche la proposta referendaria poiché avrebbe l’effetto di creare nuovi oneri finanziari, se non per la Regione, per gli Enti Locali presenta «evidenti profili di criticità sotto il profilo della possibile violazione dei principi costituzionali dei diritti inviolabili della persona e del diritto all’uguaglianza».
Come già rilevato in sede di dibattito, questo provvedimento è frutto dell'islamofobia della Lega e dei suoi alleati del centrodestra che, nel tentativo irresponsabile di impedire la realizzazione di moschee, rischiano di ostacolare chiunque intenda esercitare pubblicamente il proprio culto, compresi i cattolici, limitando nei fatti la libertà di tutti. Questa legge non risolve un solo problema e non limiterà il proliferare di irregolarità. I musulmani continueranno a pregare per strada, negli scantinati o in centri culturali spesso fatiscenti e difficili da controllare, come hanno fatto fino ad ora. Verranno colpite, invece, tutte le altre confessioni religiose, compresa quella cattolica, che dovranno sottostare agli aggravi burocratici introdotti con questa legge. Sarà molto più difficile costruire nuovi luoghi di culto o semplicemente cambiare destinazione d'uso di edifici già esistenti. È mai possibile che per avere un nuovo oratorio si dovrà effettuare la valutazione ambientale strategica? Questa legge è un clamoroso errore, utile solo a fomentare lo scontro tra cittadini, prima che tra religioni, esattamente ciò che fa comodo alla Lega.
Del resto, è proprio quello che dice l’associazione dei Comuni, l’Anci lombardo. Lo spiega il presidente, e sindaco di Monza, Roberto Scanagatti: «La cosiddetta “legge anti-moschee”, oltre a contenere ancora dei profili che sollevano dubbi di incostituzionalità, sicuramente complica ulteriormente l’attività degli enti locali». Inoltre, «lede l’autonomia dei Comuni nella predisposizione degli strumenti urbanistici, aumenterà i costi e aggraverà i procedimenti burocratici».
In sostanza, siamo di fronte ad un assurdo provvedimento, che non sta in piedi e che presto o tardi verrà cassato in sede di valutazione costituzionale. Nel frattempo si ostacola insensatamente l'attività dei comuni e la vita delle comunità religiose di qualsiasi confessione. Alla fine, si dovrà fare marcia indietro, tra ricorsi e difese legali, tempo sprecato e spese varie, però dopo essersi fatti belli agli occhi del proprio elettorato, ammiccando – ormai ci siamo abituati – alla “difesa” contro fantomatiche “invasioni”.
Per questo modo pasticciato e demagogico di operare a livello legislativo, dalla prospettiva comunale, non ringraziamo affatto. Non sono forse proprio questi gli sprechi e i costi inutili della politica che ci potrebbero essere facilmente risparmiati?