
Albrecht Dürer, Navis Stultorum (in S. Brant, Narrenschiff - 1497)
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lunedì 20 aprile 2015
CoCoCo 2015-3: Chiacchiere e intolleranza sono più utili della formazione al lavoro?
L'emergenza umanitaria legata all'arrivo di nuove ondate di profughi sul nostro territorio non può che destare preoccupazione e una mobilitazione anche politica, di cui cogliamo i segnali contrastanti. Giustamente, con le parole del Presidente Mattarella «l'Italia invoca da tempo un intervento deciso dell'Unione europea per fermare questa continua perdita di vite umane nel Mediterraneo, culla della nostra civiltà». Spiace però constatare che una speculazione politca di infimo livello sta riprendendo fiato, un giorno sì e l'altro pure, tentando di alimentare un'irrazionalità collettiva e paure nuove ed antiche, stavolta anche con la deplorevole “variazione sul tema” di prendersela con chi si rimbocca quotidianamente le maniche per affrontare l'emergenza.
In questo caso il bersaglio comasco è la Caritas, oggetto di un attacco tanto demagogico quanto sconsiderato da parte del deputato leghista Molteni, che sarebbe colpevole di promuovere «anche corsi di formazione, digiardinaggio, di cucina, di panificazione, percorsi di inserimento lavorativo, mediazione culturale, corsi di lingua, assistenza sanitaria gratuita». Questo sarebbe lo "scandalo" di un presunto sistema discriminatorio di aiuti, che riprende la semplicistica contrapposizione di "noi" e "loro" nella speranza di raccattare i voti di quanti, a ragione o torto, si sentono marginalizzati o semplicemente impauriti dalle trasformazioni sociali in atto.
L'intento dei parolai nazionali e nostrani, però, è chiaro. I problemi sul territorio non vanno affrontati, ma lasciati aggravare, per poter continuare a lucrare in termini elettorali.
Chi lavora per l'integrazione, per dare alle persone che la guerra o la disperazione fanno approdare ai nostri lidi una prospettiva che alla fine li renda utili alla collettività che li ospita, va colpevolizzato. Chi mostra un senso concreto di responsabilità nei confronti del suo prossimo, anche per attenuare il disagio sociale complessivo, deve essere accusato di "buonismo", perché si rifiuta di cedere alla logica delle contrapposizioni sterili e inconcludenti, utili peraltro solo ad alimentare la rabbia dei disagiati e a far salire il clima di intolleranza.
Capisco che sentir parlare di "formazione" sconcerti taluni, per le prospettive di composizione armoniosa delle conflittualità che apre, di inserimento produttivo nelle nostre comunità, ben oltre le logiche dell'assistenzialismo. Mi chiedo però quanto sia utile, a queste nostre comunità, far cagnara, levare alto il grido dell'"invasione", suscitare paure e risentimenti, e soprattutto, ripeto, prendersela con chi fa concretamente qualcosa di buono per gli altri: italiani e non.
La massima impostura di questi pseudoragionamenti ipocriti sta nel nascondere l'opera costante e preziosa che la stessa Caritas svolge da sempre nei confronti di ogni forma di povertà, certo senza stare a indagare sui dati anagrafici e però includendo tutti gli italiani veramente bisognosi.
Forse questa azione meritoria non basterà da sola a risolvere gli enormi problemi che lo scenario internazionale ribalta addosso alla comunità nazionale e a quella locale. Ma di certo le parole a vanvera dei politicanti che si impancano a “professionisti della paura” possono servire solo ad aggravarli, al solo scopo di raccattare qualche voto in più. Ma spero francamente che gli Italiani non seguano questa deriva degenerativa, di reale imbarbarimento della politica che avvelena il nostro paese e mina la nostra credibilità di Paese: quella deriva che, per citare ancora il Presidente Mattarella, rischia solo di farci «smarrire la nostra umanità».
In questo caso il bersaglio comasco è la Caritas, oggetto di un attacco tanto demagogico quanto sconsiderato da parte del deputato leghista Molteni, che sarebbe colpevole di promuovere «anche corsi di formazione, digiardinaggio, di cucina, di panificazione, percorsi di inserimento lavorativo, mediazione culturale, corsi di lingua, assistenza sanitaria gratuita». Questo sarebbe lo "scandalo" di un presunto sistema discriminatorio di aiuti, che riprende la semplicistica contrapposizione di "noi" e "loro" nella speranza di raccattare i voti di quanti, a ragione o torto, si sentono marginalizzati o semplicemente impauriti dalle trasformazioni sociali in atto.
L'intento dei parolai nazionali e nostrani, però, è chiaro. I problemi sul territorio non vanno affrontati, ma lasciati aggravare, per poter continuare a lucrare in termini elettorali.
Chi lavora per l'integrazione, per dare alle persone che la guerra o la disperazione fanno approdare ai nostri lidi una prospettiva che alla fine li renda utili alla collettività che li ospita, va colpevolizzato. Chi mostra un senso concreto di responsabilità nei confronti del suo prossimo, anche per attenuare il disagio sociale complessivo, deve essere accusato di "buonismo", perché si rifiuta di cedere alla logica delle contrapposizioni sterili e inconcludenti, utili peraltro solo ad alimentare la rabbia dei disagiati e a far salire il clima di intolleranza.
Capisco che sentir parlare di "formazione" sconcerti taluni, per le prospettive di composizione armoniosa delle conflittualità che apre, di inserimento produttivo nelle nostre comunità, ben oltre le logiche dell'assistenzialismo. Mi chiedo però quanto sia utile, a queste nostre comunità, far cagnara, levare alto il grido dell'"invasione", suscitare paure e risentimenti, e soprattutto, ripeto, prendersela con chi fa concretamente qualcosa di buono per gli altri: italiani e non.
La massima impostura di questi pseudoragionamenti ipocriti sta nel nascondere l'opera costante e preziosa che la stessa Caritas svolge da sempre nei confronti di ogni forma di povertà, certo senza stare a indagare sui dati anagrafici e però includendo tutti gli italiani veramente bisognosi.
Forse questa azione meritoria non basterà da sola a risolvere gli enormi problemi che lo scenario internazionale ribalta addosso alla comunità nazionale e a quella locale. Ma di certo le parole a vanvera dei politicanti che si impancano a “professionisti della paura” possono servire solo ad aggravarli, al solo scopo di raccattare qualche voto in più. Ma spero francamente che gli Italiani non seguano questa deriva degenerativa, di reale imbarbarimento della politica che avvelena il nostro paese e mina la nostra credibilità di Paese: quella deriva che, per citare ancora il Presidente Mattarella, rischia solo di farci «smarrire la nostra umanità».
lunedì 12 dicembre 2011
CoCoCo46 - Censura preventiva alla Circoscrizione 3
Già sul notiziario comunale del 2 dicembre 2011 questa Amministrazione pubblicizzava l'incontro: “Profughi: quali prospettive? La situazione degli immigrati dalla Libia, tra presente e futuro” annunciato per lunedì 12 dicembre alle 20.45 nella sede della Circoscrizione 3(via Varesina 1) a Camerlata.
Previsti gli interventi di Corrado Conforto Galli Capo Gabinetto Prefettura di Como, Franca Gualdoni Responsabile Servizi Sociali e Politiche Educative Comune di Como, Roberto Bernasconi Direttore Caritas Diocesi di Como, Marco Servettini Coordinatore Profughi Acli – Caritas, Luigi Capiaghi Responsabile Centro di Accoglienza di Prestino, Luciana Spalla Responsabile CRI Profughi MiniHotel Baradello, Piero Camporini Coordinatore Corsi di Lingua Italiana, Don Giusto della Valle Parroco di Rebbio. Moderatore: Marco Gatti, giornalista de Il Settimanale della Diocesi.
Ora, incredibilmente, veniamo ad apprendere di una lettera del 9 dicembre, con la quale l’Ufficio di Presidenza della circoscrizione diffida dall’iniziativa gli organizzatori per presunte “gravi difformità organizzative”.
A leggere l'elenco delle motivazioni si rimane seriamente perplessi. Alcune forse potrebbero indicare qualche piccola dimenticanza o un minimo difetto di comunicazione tra le parti, facilmente sanabile tra persone civili. Ma quando si vede rimproverata una “mancata comunicazione sull’organizzazione dell’evento in generale” ci si chiede: e come può allora il notiziario comunale annunciarlo con dieci giorni di anticipo? Se si rimprovera la “mancata condivisione della scelta dei relatori”, si crede forse di avere un'investitura divina oppure poteri dittatoriali per sindacare l'esercizio della libertà di parola in questa città? Si crede davvero che gli inviti ai relatori non siano validi poiché “senza il benestare della Circoscrizione”?
Ammesso e non concesso che i reclami avanzati dall'ufficio di presidenza abbiano qualche fondamento, ci si chiede perché allora non si sia cercato un chiarimento preventivo, senza arrivare al fatto compiuto della minaccia di annullamento. E la risposta difficilmente può essere diversa da: “siamo in campagna elettorale”. Battiamo ogni grancassa che ci capita a tiro, per far comprendere bene chi sono i paladini dell'intolleranza e del rifiuto. Dei profughi non si vuole neppure sentire parlare. Ma perché? Per dare un messaggio simbolico, per innalzarsi a riferimento per la parte più gretta della cittadinanza, o anche per la più ingenua e spaventata dai “professionisti della paura”, che ancora una volta si apprestano a lucrare montando casi inesistenti o gonfiando problemi facilmente risolvibili col buon senso.
Questa è una politica di infima lega, che disonora la nostra città, e dalla quale noi ci dissociamo fermamente. Non a caso in questi stessi giorni i “barbari” dichiarano spavaldamente di essere tornati per urlare in modo scomposto contro l'Europa, contro gli stranieri e anche contro il nuovo governo. Voglia il cielo che una buona volta queste pantomime squallide cessino di produrre consenso al ribasso, e che la politica cominci a lavorare con autentico senso di responsabilità sui problemi. A cominciare dalla conoscenza degli stessi, per la quale incontri come quello di cui si minaccia la soppressione sono invece i benvenuti.
Previsti gli interventi di Corrado Conforto Galli Capo Gabinetto Prefettura di Como, Franca Gualdoni Responsabile Servizi Sociali e Politiche Educative Comune di Como, Roberto Bernasconi Direttore Caritas Diocesi di Como, Marco Servettini Coordinatore Profughi Acli – Caritas, Luigi Capiaghi Responsabile Centro di Accoglienza di Prestino, Luciana Spalla Responsabile CRI Profughi MiniHotel Baradello, Piero Camporini Coordinatore Corsi di Lingua Italiana, Don Giusto della Valle Parroco di Rebbio. Moderatore: Marco Gatti, giornalista de Il Settimanale della Diocesi.
Ora, incredibilmente, veniamo ad apprendere di una lettera del 9 dicembre, con la quale l’Ufficio di Presidenza della circoscrizione diffida dall’iniziativa gli organizzatori per presunte “gravi difformità organizzative”.
A leggere l'elenco delle motivazioni si rimane seriamente perplessi. Alcune forse potrebbero indicare qualche piccola dimenticanza o un minimo difetto di comunicazione tra le parti, facilmente sanabile tra persone civili. Ma quando si vede rimproverata una “mancata comunicazione sull’organizzazione dell’evento in generale” ci si chiede: e come può allora il notiziario comunale annunciarlo con dieci giorni di anticipo? Se si rimprovera la “mancata condivisione della scelta dei relatori”, si crede forse di avere un'investitura divina oppure poteri dittatoriali per sindacare l'esercizio della libertà di parola in questa città? Si crede davvero che gli inviti ai relatori non siano validi poiché “senza il benestare della Circoscrizione”?
Ammesso e non concesso che i reclami avanzati dall'ufficio di presidenza abbiano qualche fondamento, ci si chiede perché allora non si sia cercato un chiarimento preventivo, senza arrivare al fatto compiuto della minaccia di annullamento. E la risposta difficilmente può essere diversa da: “siamo in campagna elettorale”. Battiamo ogni grancassa che ci capita a tiro, per far comprendere bene chi sono i paladini dell'intolleranza e del rifiuto. Dei profughi non si vuole neppure sentire parlare. Ma perché? Per dare un messaggio simbolico, per innalzarsi a riferimento per la parte più gretta della cittadinanza, o anche per la più ingenua e spaventata dai “professionisti della paura”, che ancora una volta si apprestano a lucrare montando casi inesistenti o gonfiando problemi facilmente risolvibili col buon senso.
Questa è una politica di infima lega, che disonora la nostra città, e dalla quale noi ci dissociamo fermamente. Non a caso in questi stessi giorni i “barbari” dichiarano spavaldamente di essere tornati per urlare in modo scomposto contro l'Europa, contro gli stranieri e anche contro il nuovo governo. Voglia il cielo che una buona volta queste pantomime squallide cessino di produrre consenso al ribasso, e che la politica cominci a lavorare con autentico senso di responsabilità sui problemi. A cominciare dalla conoscenza degli stessi, per la quale incontri come quello di cui si minaccia la soppressione sono invece i benvenuti.
domenica 10 aprile 2011
La gara per respingere i profughi
Anche in Consiglio Comunale a Como si sono affacciate voci allarmate per respingere ogni ipotesi di accoglienza dei profughi nella nostra città. Non nei termini, comprensibili, del dubbio sull’agibilità di determinate strutture, bensì della minaccia di una sollevazione popolare tra gli abitanti dei quartieri interessati, di cui ci si propone come campioni. È iniziata la campagna elettorale, si penserà. E aggiungerei: nel peggiore dei modi. Ho provato una pena profonda nell’ascoltare lo spirito battagliero, degno di migliore causa, di chi neppure prova a sentire ragioni e si preoccupa solo di apparire il primo ad intestarsi un rifiuto preconcetto nei confronti di quei disgraziati, il cui destino tragico è sotto gli occhi di tutti.
Dichiarazioni, tanto nel piccolo di Como quanto nelle alte sfere ministeriali, che evidenziano un chiaro scopo: quello di compiacere gli istinti peggiori delle folle, di prospettare soluzioni semplicistiche e grossolane a problemi complessi, nel nome del rifiuto dell’umanità comune, dell’esaltazione degli egoismi, della negazione delle responsabilità. Prospettando il sogno irrealistico, ma suggestivo per le menti timorose, di potersi eternamente arroccare a difesa dei propri privilegi, escludendo i più deboli e presentandoli come una massa di criminali pronti a invaderci.
Le frasi che ci è toccato udire (föra di ball!) non sono estemporanee, ma vengono studiate con la cura di provocare il massimo danno possibile alla coscienza civile, la cui erosione da molto tempo non è più sotterranea, nascosta, ma è impunemente affiorata alla superficie, senza che neppure se ne provi vergogna, ma anzi rivendicando orgogliosamente un proprio diritto a dire frasi malvagie; fesserie, sì, ma che avvelenano giorno dopo giorno la coscienza dei cittadini. Tanto il capo “può permettersi di dire quello che vuole perché è il capo. Il capo è il capo e non si discute” (P. Stiffoni, senatore della Lega).
È un’opera di lungo termine, non è iniziata da ora, e da tempo ne vediamo i frutti perversi. Una volta scoperto che l’esaltazione del male ha un tornaconto elettorale, nessuno li trattiene più, ogni sparata è buona: non esitano a definire, con compiaciuto disprezzo, l’attaccamento ai valori più alti della civiltà occidentale “buonismo”. Sono arrivati ad esaltare la “cattiveria” come rozzo stile di gestione dei problemi e delle emergenze, e in effetti non è possibile fare altrimenti.
Come insegna S. Agostino, se non ci sforziamo di praticare la bontà, opera di per sé non semplice, impegnativa, che comporta sacrifici, non è che rimaniamo fermi dove siamo. Semplicemente scivoliamo indietro, regrediamo ad uno stato inferiore alla nostra dignità di esseri razionali. Ci adattiamo al male, lo facciamo divenire la nostra condizione abituale, diventiamo incapaci di riconoscere i nostri doveri di solidarietà umana e cristiana. Ha un bel dire la Cei che “serve una nuova stagione di inclusione sociale”, quando chi sta al potere naviga nella direzione diametralmente opposta. Peccato che, insieme, anche tutto il Paese scivoli inevitabilmente nel declino, avendo smarrito le proprie energie spirituali prima ancora che la competitività economica.
Poi, ipocritamente siamo anche capaci di sparare balle sull’opportunità di aiutare i profughi “a casa loro”. Ci rendiamo conto? Un governo che ha sistematicamente decurtato proprio le risorse per le organizzazioni non governative, riducendole al lumicino, dovrebbe avere la minima credibilità per realizzare un’operazione tanto complessa e impegnativa? Un esecutivo che scientemente evita di impiegare le risorse europee per il controllo delle migrazioni (come l’agenzia Frontex), per poter mantener alta l’emergenza senza dover sottostare ad obblighi comuni? La realtà è che si è unicamente preoccupati di spostare i problemi fuori dalla vista, utilizzandoli per speculazioni politiche e testimoniando dell’incapacità di risolvere pure quelli di casa propria nel segno del bene comune.
Questo veleno ha raggiunto pure Como, penetrando in profondità nel cuore di quanti si affannano a negare che esistano strutture per l’accoglienza dei profughi sul nostro territorio. Fatto grave, perché esprime, all’indomani delle celebrazioni dell’Unità, la negazione di una solidarietà rivolta in primis ai nostri concittadini italiani che sono in questo momento alle prese con l’emergenza sulla loro isola. A Como non ci sono posti? Sarebbe dovere di un’amministrazione capace di affrontare i problemi il predisporli: stiamo parlando di qualche decina di persone, non di una fiumana incontrollabile. Ma è evidente che gli egoismi, la logica del tornaconto, il conformarsi alla pancia dell’elettorato (concepito forse come peggiore di quello che è) portano in fondo proprio a questo: l’incapacità della gestione lungimirante e, alla fine, anche la perdita del controllo della gestione ordinaria.
Dichiarazioni, tanto nel piccolo di Como quanto nelle alte sfere ministeriali, che evidenziano un chiaro scopo: quello di compiacere gli istinti peggiori delle folle, di prospettare soluzioni semplicistiche e grossolane a problemi complessi, nel nome del rifiuto dell’umanità comune, dell’esaltazione degli egoismi, della negazione delle responsabilità. Prospettando il sogno irrealistico, ma suggestivo per le menti timorose, di potersi eternamente arroccare a difesa dei propri privilegi, escludendo i più deboli e presentandoli come una massa di criminali pronti a invaderci.
Le frasi che ci è toccato udire (föra di ball!) non sono estemporanee, ma vengono studiate con la cura di provocare il massimo danno possibile alla coscienza civile, la cui erosione da molto tempo non è più sotterranea, nascosta, ma è impunemente affiorata alla superficie, senza che neppure se ne provi vergogna, ma anzi rivendicando orgogliosamente un proprio diritto a dire frasi malvagie; fesserie, sì, ma che avvelenano giorno dopo giorno la coscienza dei cittadini. Tanto il capo “può permettersi di dire quello che vuole perché è il capo. Il capo è il capo e non si discute” (P. Stiffoni, senatore della Lega).
È un’opera di lungo termine, non è iniziata da ora, e da tempo ne vediamo i frutti perversi. Una volta scoperto che l’esaltazione del male ha un tornaconto elettorale, nessuno li trattiene più, ogni sparata è buona: non esitano a definire, con compiaciuto disprezzo, l’attaccamento ai valori più alti della civiltà occidentale “buonismo”. Sono arrivati ad esaltare la “cattiveria” come rozzo stile di gestione dei problemi e delle emergenze, e in effetti non è possibile fare altrimenti.
Come insegna S. Agostino, se non ci sforziamo di praticare la bontà, opera di per sé non semplice, impegnativa, che comporta sacrifici, non è che rimaniamo fermi dove siamo. Semplicemente scivoliamo indietro, regrediamo ad uno stato inferiore alla nostra dignità di esseri razionali. Ci adattiamo al male, lo facciamo divenire la nostra condizione abituale, diventiamo incapaci di riconoscere i nostri doveri di solidarietà umana e cristiana. Ha un bel dire la Cei che “serve una nuova stagione di inclusione sociale”, quando chi sta al potere naviga nella direzione diametralmente opposta. Peccato che, insieme, anche tutto il Paese scivoli inevitabilmente nel declino, avendo smarrito le proprie energie spirituali prima ancora che la competitività economica.
Poi, ipocritamente siamo anche capaci di sparare balle sull’opportunità di aiutare i profughi “a casa loro”. Ci rendiamo conto? Un governo che ha sistematicamente decurtato proprio le risorse per le organizzazioni non governative, riducendole al lumicino, dovrebbe avere la minima credibilità per realizzare un’operazione tanto complessa e impegnativa? Un esecutivo che scientemente evita di impiegare le risorse europee per il controllo delle migrazioni (come l’agenzia Frontex), per poter mantener alta l’emergenza senza dover sottostare ad obblighi comuni? La realtà è che si è unicamente preoccupati di spostare i problemi fuori dalla vista, utilizzandoli per speculazioni politiche e testimoniando dell’incapacità di risolvere pure quelli di casa propria nel segno del bene comune.
Questo veleno ha raggiunto pure Como, penetrando in profondità nel cuore di quanti si affannano a negare che esistano strutture per l’accoglienza dei profughi sul nostro territorio. Fatto grave, perché esprime, all’indomani delle celebrazioni dell’Unità, la negazione di una solidarietà rivolta in primis ai nostri concittadini italiani che sono in questo momento alle prese con l’emergenza sulla loro isola. A Como non ci sono posti? Sarebbe dovere di un’amministrazione capace di affrontare i problemi il predisporli: stiamo parlando di qualche decina di persone, non di una fiumana incontrollabile. Ma è evidente che gli egoismi, la logica del tornaconto, il conformarsi alla pancia dell’elettorato (concepito forse come peggiore di quello che è) portano in fondo proprio a questo: l’incapacità della gestione lungimirante e, alla fine, anche la perdita del controllo della gestione ordinaria.
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