Albrecht Dürer, Navis Stultorum (in S. Brant, Narrenschiff - 1497)

mercoledì 29 ottobre 2008

Il complotto del mentitori

All’origine dei facinorosi, i mentitori: Berlusconi ci spiega così il fatto altrimenti incomprensibile che una “riforma” scolastica a base di tagli alla spesa come quella che lui si è fatto oggi approvare non sembri incontrare il favore della popolazione scolastica. Quale maleficio impedisce al popolo di apprezzare la verità, ossia che tutto quanto egli propone è vero, giusto, sacrosanto, e andrebbe approvato senza neppure discutere? Solo la menzogna sparsa a piene mani da “cattivi maestri”, i suoi oppositori politici in primis, sostenuti dal complotto perennemente ordito ai suoi danni dai mezzi di informazione. Il quale è in sé un altro dogma rivelato dalla sua bocca incapace di pronunciare la benché minima bugia, e quindi lo accogliamo con un reverente atto di… Fede.
Chi ha memoria rivede immutato il copione del Berlusconi 2002, quando appunto egli si decideva a svelare agli Italiani che l’opposizione, ieri come oggi: 1) non sa assolutamente fare il proprio mestiere; 2) manca completamente di quel fair play che invece vediamo con assiduità e profitto applicare ogni giorno in ambiente calcistico; 3) soprattutto, non sapendo far valere ragioni che non ha (è un noto postulato euclideo), essa deve ricorrere sistematicamente alla menzogna. Criticando lui e la sua azione di governo, naturalmente.
Già allora mi veniva in mente una celebre storiella, quella del filosofo cretese Epimenide che andava in giro affermando: «Tutti i Cretesi mentono». Enunciazione singolare, come subito si vede, perché il mentitore che dice di raccontare bugie risulterebbe, allo stesso tempo, mentire e dire la verità, in maniera del tutto contraddittoria. Le complesse implicazioni del paradosso hanno a lungo occupato la mente dei logici dei secoli passati, da Aristotele a Russell e Tarski.
Anche se sembra fare il “piangina”, l’attuale premier lamentandosi non brandisce una spuntata arma polemica, ma espone un (per lui) acutissimo ragionamento. Il suo assunto, in termini logici, suona più o meno così: «Io - che per definizione dico sempre la verità - affermo che chi mi critica o mi si oppone, per questo stesso fatto, mente». È ovvio che questa frase non sarebbe degna della minima considerazione se a pronunciarla fossero un mentitore incallito o un bimbo capriccioso. Ma un gran numero di italiani la prende per vera, e dunque dovrà pure valere la premessa: chi la pronuncia è un uomo che dice sempre la verità. Basta guardarlo (adoranti) in volto per capire che è così. In prima fila, molti politici del centro-destra e una moltitidine di giornalisti che il padrone, quando si lagna dell’informazione, sembra bizzarramente trascurare, negandone l’opera costante e certosina, quasi che Libero, Il Giornale, La Padania – per limitarci ai più acuti, sereni ed obiettivi – neppure esistessero. L’ansia di illuminare le folle, ammettiamolo, rende talvolta il capo un po’ ingrato.
Se questo non bastasse, sappiamo che da qualche anno in Italia si è felicemente affermato il sacrosanto principio dell’autocertificazione: in proposito è conclusiva la dichiarazione del soggetto, e tanto basta. Già da tempo, esponendosi in prima persona, il Cavaliere ebbe ad attestare l’inviolabilità di questo metodo. Chi infatti ha potuto rimanere insensibile davanti alla pietra miliare dell’onestà politica, il famoso giuramento compiuto “sulla testa dei suoi figli”? I suddetti risultano ancora felicemente in possesso della parte anatomica tirata in ballo, ergo

sabato 25 ottobre 2008

Facinorosi

Assistiamo dunque ad un'autentica invasione di facinorosi: parola di presidente del consiglio, prontamente seguito da emulatori in sedicesimo, grati della consolante chiave di lettura. Come quel genitore del liceo scientifico di Como, che tuona contro gli “insegnanti che hanno permesso che la scuola cadesse nelle mani di pochi facinorosi per motivazioni biecamente strumentali”, negando carattere di spontaneità alla - per il momento unica - occupazione realizzata nella nostra città.
D'altra parte, è noto che nella scuola le ragioni di preoccupazione e di protesta sono biecamente strumentali: non è chi non veda che il potenziamento dell'offerta formativa e il miglioramento della qualità passano attraverso generose... sforbiciate. Sono genitore anch'io: e probabilmente l'anno prossimo mio figlio si troverà con un orario ridotto di ben cinque (!) ore settimanali. Dovrà cullarsi nell'illusione di saperne comunque di più, unicamente confidando nella parola del duo Berlusconi-Gelmini? Come genitore e cittadino che paga le tasse, mi sembra piuttosto che così facendo si rompa un contratto educativo che lo Stato aveva stipulato nei confronti miei e di mio figlio.
Gli esempi si potrebbero moltiplicare, dato che questi neoliberisti d'accatto sono davvero convinti in cuor loro che “affamare l'animale” lo sproni ad essere più efficiente ed aggressivo: peccato non si rendano conto che il bestione-scuola è già da tempo agli stremi, privo da decenni di qualsiasi investimento serio, e reso costoso unicamente dalla mole inevitabile degli stipendi. Vogliono eliminare gli sprechi? Si accomodino, ma solo se sono in grado di farlo in maniera selettiva e mirata, non facendo di tutte l'erbe un fascio, con consapevolezza e perspicacia degne di uno scimpanzé giunto per caso nella stanza dei bottoni.
Il dialogo con l'utenza? È praticato in modo unidirezionale (dopo che ho deciso ti ascolto, e poi continuo sulla mia strada come prima), come una noiosa formalità; chi si ostina a voler discutere l'operato del capo è pertanto un “bieco facinoroso”.
Corollario di questa visione è anche che tutti coloro i quali descrivono le proteste sono bollati come suoi complici, com'è il caso della Rai, definita mistificatrice della realtà e addirittura additata agli industriali come ente da boicottare, in quanto “inserisce gli spot dentro programmi dove si diffonde solo panico e sfiducia”. Presumo che l'alternativa, quanto agli spot, sia quella di ingrassare Mediaset come avvenne nella precedente esperienza governativa. Per stampa e televisione, invece, i lacché sono già corsi ai ripari da giorni: l'informazione prona e genuflessa, infatti, non manca di dare conto sì delle agitazioni “facinorose” in tono di disgusto, ma le contornano immancabilmente di nutrite dichiarazioni di dissidenti, che incarnerebbero la cosiddetta “maggioranza silenziosa”. Provate a leggere qualcuno di questi fogli servili, e vi renderete conto che la proporzione “magica”, la regola aurea, varca di gran lunga la soglia del 50%: la maggioranza silenziosa, del resto, meriterà almeno i due terzi, come testimoniano i sondaggi fatti in casa.
Se c'è un segno di speranza in questo squallore, viene da dichiarazioni come quelle di una studentessa romana in televisione, fatta mentre respingeva l'attribuzione di casacche politiche di ogni colore: “quel signore credeva di averci rincretinito per anni con le sue televisioni e i programmi spazzatura. Invece stiamo mostrando di avere la testa per ragionare da soli”.
Il problema è che nel vocabolario dei nuovi signorotti i termini “pensatori liberi”, “spiriti critici” non esistono più; non sanno tradurli altrimenti che con “facinorosi”.

mercoledì 8 ottobre 2008

Il regime? Naturalmente non esiste

Ecco il mantra che conservatori, moderati, riformatori (e però anche diversi figuri poco raccomandabili) legittimamente recitano in ogni occasione in cui l'attendibilità di un'informazione schierata viene messa in discussione dai suoi stessi silenzi, parzialità, ammiccamenti, inginocchiamenti...
Ma è vero, in effetti la libertà di informazione non è conculcata nel nostro paese. Perché non ce n'è è bisogno. I responsabili degli spazi più importanti sul piano della diffusione, a cominciare dai telegiornali, non sentono infatti il bisogno di tutelare l'obiettività e l'equilibrio: perché dovrebbero, se il pubblico trangugia di tutto? È assai più conveniente inchinarsi al padrone di turno: o meglio, al Padrone, soprattutto quando è il suo turno. L'ossequio non si mostra solo nella sovrabbondanza dell'ostensione del capo e dei suoi esaltatori, ma soprattutto nell'attenuazione delle presenze degli oppositori: gente che sgradevolmente incrina l'immagine di consenso e di fiducia, e per mestiere parla male del Principe. Insomma, se non l'etica professionale, tutelano almeno l'estetica soft della nuova era dell'assenso, professando una sottomissione servile probabilmente neppure richiesta.
Tutto come sempre: Franza o Spagna, purché se magna - ma con una certa, sospetta preferenza per una delle due parti, come la storia dell'ultimo decennio insegna. Evviva dunque la deontologia professionale.
Se qualcuno dubitasse della fondatezza delle osservazioni sopra riportate, lo invito a leggere quanto Aldo Grasso nella sua rubrica “A fil di rete” (Corriere, 6 ottobre) riporta presentando i semplici dati. I freddi numeri, non le interpretazioni maliziose.
L’opposizione è data per dispersa nei principali tg nazionali. Un tempo si ragionava sulla faziosità, sui «panini», sull’equilibrio dell’informazione. Ora siamo oltre: perché a leggere la classifica delle presenze nei notiziari si scopre che l’opposizione sembra essersi dileguata. "In classifica stacca tutti Silvio Berlusconi, che a settembre totalizza oltre 110 minuti di «parola» nei sette tg nazionali. Il presidente del Consiglio guida normalmente questa classifica, era così anche con Prodi (sebbene Berlusconi ha maggiore capacità di «far notizia»). È quel che segue che è anomalo: il leader dell’opposizione di solito è a un’incollatura. E invece Veltroni si ferma a 44 minuti «di parola», meno della metà (di cui 33 solo nei tg Rai, con una scarsa attenzione nei tg Mediaset). Dopo di lui il vuoto. C’è il presidente Napolitano, il presidente Fini (le cariche istituzionali), Roberto Maroni, Maurizio Sacconi, Maurizio Gasparri, Giulio Tremonti. Poi Pier Ferdinando Casini e Antonio Di Pietro, ma del Pd nulla fino al quindicesimo posto di Pierluigi Bersani."
Grasso, che non è tenero col PD, sostiene che i numeri riflettono oggettivamente un vuoto percepito in questa fase del rapporto politica/tv. Ma senza ingenuità, gli stessi dati confermano che un partito debole in questo momento, ma non silente, un partito che forse non ha ancora trovato le ricette giuste, ma che non ha abbandonato l'iniziativa politica, che parla, commenta, interviene (almeno a leggere gli atti parlamentari e i documenti pubblicati sui siti) può essere opportunamente "silenziato" con la tattica del "minimo indispensabile". Non può trattarsi solo della mediocrità dei dirigenti: avete visto che facce, che eloquio, che profondità di ragionamento nella maggior parte dei soloni del centrodestra che si contrappongono loro. Piuttosto, è che i silenzi pilotati aiutano molto, definiscono un'immagine che non ci si stacca più di dosso.
Non è difficile comprendere questa strategia per un comasco, che è abituato da sempre ai comportamenti della stampa locale. Ma se fossi nei panni degli Italiani, assisterei con preoccupazione al dilagare in tutto il paese di un (auto)controllo opportunistico dell'informazione per le masse, di un conformismo deteriore, della più totale assenza di spirito critico. Mi devo correggere, quest'ultima non è afatto totale, perché è considerato meritorio esercitarla nei confronti di chi è più debole, e magari se lo merita anche. Ma l'esercizio condotto a senso unico rivela la statura professionale di chi lo compie.