Albrecht Dürer, Navis Stultorum (in S. Brant, Narrenschiff - 1497)

venerdì 22 maggio 2009

I perseguitati

Gli studenti hanno il diritto di criticare le valutazioni date dagli insegnanti? Certamente, almeno tanto quanto gli imputati che nel nostro paese sono liberi di criticare i giudici dei propri processi. Ma proviamo a immaginare: e se qualche studente un po' scapestrato andasse oltre, cominciando anche a denunciare complotti orditi dai docenti nei suoi confronti? Definendosi perseguitato da coloro che applicano le regole a suo sfavore? Dichiarando ingiusta la stessa possibilità di un'eventuale bocciatura? Pieni di comprensione per le sue disgrazie, non vorremmo magari concedergli di riscrivere le norme a suo piacimento, di scegliersi un collegio di valutazione più compiacente, di fare e disfare l'istituzione scolastica come più gli aggrada? O piuttosto non saremmo portati a considerare tale atteggiamento come un misero trucco per coprire le proprie effettive manchevolezze e responsabilità?
Spero che le ennesime, recenti piazzate dell'“uomo più perseguitato d'Italia” (come lo ha definito un suo sostenitore), volte a gettare fango sulla magistratura e insieme a svuotare il Parlamento di una piena legittimità, in quanto “inutile e controproducente”, non inducano simili progetti nella mente di qualche nostro futuro allievo. La possibilità di abusi di potere, ovviamente, non si può mai escludere. Ma quando, ogni volta che ci vien dato torto da chi ha le competenze professionali per farlo, con una rigorosa applicazione delle procedure, gridiamo al tentativo di “farci fuori”, è forse più plausibile pensare ad un grossolano tentativo di sviare l'attenzione e di delegittimare chi è preposto al giudizio. Come farebbe un qualsiasi Gianburrasca, ammiccando al “popolo” in campagna elettorale: ce l'hanno con me, che dopotutto sono “uno di voi”.
Sia ben chiaro, peraltro, che in questi frangenti la tesi della sua innocenza mi ha definitivamente conquistato, ma per tutt'altre ragioni. Quest'uomo infatti l'ha più volte dichiarata con solenni giuramenti sulla testa dei propri figli. Ora, dato che non si è mai visto spalancarsi alcun abisso infernale per inghiottire i poveretti, ogni cittadino di buon senso concluderà con me che questo è un argomento ben più conclusivo di quelli che si esaminano nelle aule di giustizia...

domenica 10 maggio 2009

Il peso delle parole

Posti separati per i milanesi sui mezzi pubblici locali, ha chiesto il leghista Salvini. Che poi corregge il tiro, convalidando l'interpretazione berlusconiana: si trattava “solo” di una battuta. Anche a Como, peraltro, si sono presentati volenterosi interpreti di questa linea, tra cui un assessore che ha chiosato: è una provocazione opportuna, per far capire alla gente il grave problema rappresentato dalla presenza degli immigrati tra noi. Sono dunque esagerati i timori di chi ha interpretato queste parole come l'indicazione di un crescente razzismo diffuso nella società italiana? Occorre accettarle come elementi normali della dialettica fra le parti?
Tutto dipende dal valore che diamo alle parole, in particolare dall'abitudine a considerarle funzionali al consueto, benché logoro, teatrino della politica. Il quale però è in grado di influenzare la mentalità collettiva, creando una sorta di assuefazione a sparate di volta in volta più grossolane e proterve. Tra l'altro, negli anni ci è toccato sentire di proiettili pronti per i magistrati, di decine di migliaia di bergamaschi armati pronti ad entrare in azione, di un uso improprio ed offensivo del tricolore, senza considerare una infinita serie di istigazioni, se non alla violenza diretta, quantomeno alla “cattiveria”.
Sempre più spesso si lancia il sasso, si valutano le reazioni, si ammicca in modo compiacente alle sensibilità più rozze, poi ci si giustifica dicendo che si voleva suscitare un dibattito o che erano semplici battute.
Com'è possibile considerare queste frasi come garbate provocazioni, destinate magari a stimolare nel Paese una riflessione costruttiva, facendo crescere la nostra coscienza civile e la cultura del diritto? Se le parole sono “leggere”, pronte ad assumere ogni significato e a piegarsi a qualsiasi uso, se i politici sono autorizzati a dire qualunque assurdità in nome della conquista del consenso, se è ottima cosa stimolare paure ed istinti atavici al posto del ragionamento, allora nulla da dire, continuino pure su questo registro, che ha dimostrato di saper produrre splendidi risultati in passato. Quale storico infatti negherebbe che Hitler sia asceso al potere anche per la popolarità di certe sue parole d'ordine? E come non considerare il sano attaccamento alla “tradizione degli avi” da parte del Ku Klux Klan negli USA e dei segregazionisti in generale? Gente, per inciso, che sapeva bene come si mettono in atto le “provocazioni”. Con i risultati che tutti conosciamo.