
Albrecht Dürer, Navis Stultorum (in S. Brant, Narrenschiff - 1497)
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lunedì 8 aprile 2013
CoCoCo 2013-6: Motivazioni (sconcertanti) di una sentenza
Il processo sul concorso truccato per un posto di agente della polizia locale a Como ha causato un grave discredito all'amministrazione comunale ed è stato viziato da un «paradosso»: a quanto pare, chi è venuto meno al dovere di mantenere il segreto a cui era tenuto, rivelando in anticipo le tracce d'esame, non è stato mai neppure imputato. I giudici di Como sono stati durissimi nel motivare la sentenza dello scorso gennaio, ora depositata e quindi accessibile alla valutazione dei cittadini di Como. Nella motivazione essi hanno dichiarato che un'inchiesta accidentata «ha sortito effetti paradossali, per i quali i soggetti a carico dei quali sono emersi indizi di reità come i primi e principali responsabili della fuga di notizie», ossia due assessori della passata amministrazione «non risultano imputati in questo processo», in quanto «si sono avvalsi della facoltà di non rispondere, ineccepibile e insindacabile da un punto di vista processuale - scrive il Collegio - ma hanno così determinato una incolmabile zona d’ombra nell’accertamento della verità», tanto più grave in base «al ruolo da essi ricoperto di rappresentanti delle istituzioni che avrebbe forse richiesto una maggiore collaborazione e trasparenza».
Fin qui la citazione delle motivazioni.
Esprimo in questa sede tutto il mio sconcerto e la mia tristezza per la luce negativa che simili fatti gettano sulle istituzioni; inoltre non so se rassegnarmi o meno al fatto che in Italia chi viene coinvolto da queste situazioni, al di là degli aspetti formali e procedurali che saranno anche stati rispettati, non sappia o non voglia mai trarre le debite conseguenze politiche.
Fin qui la citazione delle motivazioni.
Esprimo in questa sede tutto il mio sconcerto e la mia tristezza per la luce negativa che simili fatti gettano sulle istituzioni; inoltre non so se rassegnarmi o meno al fatto che in Italia chi viene coinvolto da queste situazioni, al di là degli aspetti formali e procedurali che saranno anche stati rispettati, non sappia o non voglia mai trarre le debite conseguenze politiche.
giovedì 5 aprile 2012
Elezioni a Como e buon senso latitante
"Il buon senso è la cosa meglio ripartita nel mondo: ciascuno, infatti, pensa di esserne ben provvisto". L'aforisma di Cartesio torna alla mente nel momento in cui si contempla il panorama davvero inusuale delle liste che si presentano a Como alle prossime elezioni. Hanno raggiunto la cifra di 24, con 16 candidati sindaci, solo un paio dei quali ha un'alleanza di liste a suo sostegno. Sembra il trionfo dell'individualismo politico.
È un segnale incoraggiante o preoccupante? È assai probabile che il fallimento totale dell'amministrazione uscente abbia stimolato la volontà di tante persone ad impegnarsi direttamente, e questo, in astratto, sarebbe un bene per la democrazia e la partecipazione, pur prescindendo dalle competenze effettive di ciascuno.
Ma quali possibilità concrete hanno tali liste di arrivare al governo della città? Perché non hanno saputo convergere, almeno a gruppi, su di un progetto comune, rafforzando così le probabilità di essere rappresentate in consiglio?
Temo che la risposta stia soprattutto nel male, sempre più diffuso in questi anni, dei personalismi senza freno. La stagione appena conclusa ne è stata ricca, culminando infine nella clamorosa spaccatura che ha riguardato l'ex partito di maggioranza. Si è dunque imparato qualcosa dal passato? Pare proprio di no.
Semplifichiamone gli esiti: se 10 liste raccogliessero ciascuna il 2,5% dei consensi, queste resterebbero tutte escluse dall'assemblea, col risultato che un quarto dell'elettorato non sarebbe minimamente rappresentato. Ciascuno naturalmente pensa e spera: "capiterà agli altri, ma non a me". Ma è saggio tutto ciò? E se anche molte di queste liste ce la facessero ad entrare, per il rotto della cuffia, quale sarebbe il quadro risultante? L'opposizione divisa in innumerevoli gruppi di un solo membro, ciascuno dei quali, per ottenere visibilità, prenderebbe la parola su tutto, moltiplicherebbe le istanze e gli ordini del giorno, rendendo lo svolgimento dei lavori più difficoltoso che mai?
Forse, se il buon senso dei candidati non ha avuto il sopravvento nella fase di costruzione dei progetti, toccherà affidarsi a quello degli elettori, sperando che almeno loro vogliano confermare l'assunto cartesiano.
È un segnale incoraggiante o preoccupante? È assai probabile che il fallimento totale dell'amministrazione uscente abbia stimolato la volontà di tante persone ad impegnarsi direttamente, e questo, in astratto, sarebbe un bene per la democrazia e la partecipazione, pur prescindendo dalle competenze effettive di ciascuno.
Ma quali possibilità concrete hanno tali liste di arrivare al governo della città? Perché non hanno saputo convergere, almeno a gruppi, su di un progetto comune, rafforzando così le probabilità di essere rappresentate in consiglio?
Temo che la risposta stia soprattutto nel male, sempre più diffuso in questi anni, dei personalismi senza freno. La stagione appena conclusa ne è stata ricca, culminando infine nella clamorosa spaccatura che ha riguardato l'ex partito di maggioranza. Si è dunque imparato qualcosa dal passato? Pare proprio di no.
Semplifichiamone gli esiti: se 10 liste raccogliessero ciascuna il 2,5% dei consensi, queste resterebbero tutte escluse dall'assemblea, col risultato che un quarto dell'elettorato non sarebbe minimamente rappresentato. Ciascuno naturalmente pensa e spera: "capiterà agli altri, ma non a me". Ma è saggio tutto ciò? E se anche molte di queste liste ce la facessero ad entrare, per il rotto della cuffia, quale sarebbe il quadro risultante? L'opposizione divisa in innumerevoli gruppi di un solo membro, ciascuno dei quali, per ottenere visibilità, prenderebbe la parola su tutto, moltiplicherebbe le istanze e gli ordini del giorno, rendendo lo svolgimento dei lavori più difficoltoso che mai?
Forse, se il buon senso dei candidati non ha avuto il sopravvento nella fase di costruzione dei progetti, toccherà affidarsi a quello degli elettori, sperando che almeno loro vogliano confermare l'assunto cartesiano.
domenica 18 dicembre 2011
Corporazioni, politici e panzane
Evviva le corporazioni! Sappiamo che è solo per la rigidità anticoncorrenziale delle procedure per possedere un taxi che le nostre strade sono sicure, e le tariffe convenienti. Solo grazie al cartello “farmacia” siamo certi che la nostra salute non sia messa a repentaglio, come avverrebbe invece nella grande distribuzione, pur in presenza di un professionista laureato. Ma lì non c'è l'insegna, il bollo, l'investitura da parte di quegli Ordini che, quasi fossero la cavalleria medioevale, attestino la purezza delle intenzioni e la conformità ai loro dettami, incassando al contempo il meritato balzello dalle nostre tasche.
Se ne è accorto pure il capo del governo, cui tanti mettono i bastoni tra le ruote: le liberalizzazioni in Italia le vogliono tutti, ma solo sulla carta. Le lobbies sono attivissime, non volendo rinunciare alle rendite di posizione: ammettono solo una concorrenza finta, e per affossare quella vera foraggiano politici che canzonano il popolo raccontando di “rivoluzioni liberali” mentre consolidano oligopoli e caste. Alla faccia delle uguali possibilità per tutti, e anche di quel mercato che dichiarano di idolatrare, mentre lo vincolano soltanto alla legge del più forte.
È solo un caso, allora, che il governo “dei professori” sia particolarmente inviso a gente che non sembra aver dimestichezza con la competenza e lo studio approfondito dei problemi? Vi è infatti un manipolo di parlamentari, vera casta nella casta, che compie una protesta sguaiata contro le riforme, semplicemente in base al calcolo che, se c'è da pagare per gli sbagli di tanti anni, la cosa non può certo piacere alla gente. Per un lunghissimo periodo, al governo, non hanno fatto alcunché per ristrutturare equamente il sistema, preferendo ricorrere a parole magiche che spostavano sempre in là le soluzioni. E quindi anche oggi sperano. Non nella ripresa dell'Italia, di cui poco gli importa: sperano che le poltrone gli vengano ancora una volta garantite dalle chiacchiere a vuoto e dalle urla scomposte che piacciono ai tanti “furbi” amanti delle risposte semplicistiche. Ancora non si sono resi conto che il tempo delle farse è finito, e che dietro l'angolo ci attende la tragedia?
Se ne è accorto pure il capo del governo, cui tanti mettono i bastoni tra le ruote: le liberalizzazioni in Italia le vogliono tutti, ma solo sulla carta. Le lobbies sono attivissime, non volendo rinunciare alle rendite di posizione: ammettono solo una concorrenza finta, e per affossare quella vera foraggiano politici che canzonano il popolo raccontando di “rivoluzioni liberali” mentre consolidano oligopoli e caste. Alla faccia delle uguali possibilità per tutti, e anche di quel mercato che dichiarano di idolatrare, mentre lo vincolano soltanto alla legge del più forte.
È solo un caso, allora, che il governo “dei professori” sia particolarmente inviso a gente che non sembra aver dimestichezza con la competenza e lo studio approfondito dei problemi? Vi è infatti un manipolo di parlamentari, vera casta nella casta, che compie una protesta sguaiata contro le riforme, semplicemente in base al calcolo che, se c'è da pagare per gli sbagli di tanti anni, la cosa non può certo piacere alla gente. Per un lunghissimo periodo, al governo, non hanno fatto alcunché per ristrutturare equamente il sistema, preferendo ricorrere a parole magiche che spostavano sempre in là le soluzioni. E quindi anche oggi sperano. Non nella ripresa dell'Italia, di cui poco gli importa: sperano che le poltrone gli vengano ancora una volta garantite dalle chiacchiere a vuoto e dalle urla scomposte che piacciono ai tanti “furbi” amanti delle risposte semplicistiche. Ancora non si sono resi conto che il tempo delle farse è finito, e che dietro l'angolo ci attende la tragedia?
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martedì 8 novembre 2011
Colpi di stato
In questi giorni convulsi, in cui se ne sentono davvero di tutti i colori, prende la parola anche un alto esponente del governo per dichiarare che l'ipotesi di una maggioranza allargata o di un governo tecnico equivale “a un colpo di stato”. Parere rispettabilissimo, ma da quale pulpito viene questa predica? Non c'è stata forse, in questo sciagurato ventennio, una forza politica che ha di volta in volta minacciato la secessione attentando all'unità del Paese, evocato torme di Bergamaschi armati pronti a colpire lo stato, esibito metaforici proiettili pronti per certi magistrati, affermato che con il tricolore ci si pulisce non diremo cosa, e cento altre volgarità come proprio peculiare armamentario dialettico? Politici, peraltro, tanto ribelli da sottomettersi sempre agli interessi particolari di chi ha governato senza mantenere alcuna delle roboanti promesse elettorali, e però ha impinguato enormemente i propri patrimoni e le proprie posizioni dominanti, alla faccia dei ceti medi e popolari?
E non dobbiamo proprio a questo esimio politico la più immonda legge elettorale della storia repubblicana, che promuove in parlamento i servi più fedeli dei capi di partito? Ora si arriva persino a negare la crisi, con la più classica faccia di tolla, perché la gente va ancora al ristorante e in vacanza. Ma come pensare di uscirne, con personaggi di tale qualità, incapaci di realizzare le necessarie riforme, impopolari e troppo impegnative per la loro limitata visione, gente che sinora ha solo cercato di restare a galla considerando i cittadini dei creduli babbei?
E non dobbiamo proprio a questo esimio politico la più immonda legge elettorale della storia repubblicana, che promuove in parlamento i servi più fedeli dei capi di partito? Ora si arriva persino a negare la crisi, con la più classica faccia di tolla, perché la gente va ancora al ristorante e in vacanza. Ma come pensare di uscirne, con personaggi di tale qualità, incapaci di realizzare le necessarie riforme, impopolari e troppo impegnative per la loro limitata visione, gente che sinora ha solo cercato di restare a galla considerando i cittadini dei creduli babbei?
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mercoledì 1 dicembre 2010
TeleLetizia
Il recente completamento del passaggio al digitale terrestre ci ha messo a disposizione una quantità di nuovi canali. Aumenterà anche la qualità dell'offerta? Qualche dubbio può sorgere assistendo alle trasmissioni di una rete che porta il nome di Milano 2015, con chiaro riferimento al prossimo Expo. Speriamo che non sia anche finanziata coi soldi di Expo, ossia con i nostri, perché i programmi cui ho assistito sono stupefacenti, a tratti esilaranti, ma alla fine lasciano addosso una certa tristezza. Quasi tutto ruota attorno alla figura del sindaco Moratti, comprensibilmente protesa a ravvivare un'immagine appannata con una strategia comunicativa di vecchio stampo. La si vede girare di qua e di là, stringendo mani e dicendo le consuete banalità dei politici quando recitano la parte di quelli che stanno vicino alla gente. Ho così potuto assistere all'incontro con i nonni della cascina San Paolo, ove la Moratti balla con loro e con grande spontaneità non si trattiene davanti al calciobalilla, segnando addirittura un goal. Davvero emozionante, almeno quanto il tenore dei dialoghi: buongiorno, buongiorno (ripetuto per lunghi minuti, in fondo è un reality), quale onore, come ti chiami, che bella sciura... un vero spasso! E i famosi “tempi televisivi” di cui tanto si parla?
Gli spettatori milanesi, che hanno potuto bearsi di questo spettacolo sin da luglio, riferiscono di aver assistito ad interviste “scomode” di giornalisti agguerriti: “ci dica, cosa lascerà a Milano dopo il suo mandato?” E poi: il sindaco sui mezzi pubblici, il sindaco nei cantieri di Paolo Sarpi, il sindaco che parla con una negoziante cinese, il sindaco in giro per la notte bianca dello shopping, il sindaco che aiuta un extracomunitario telefonando col suo cellulare ad un assessore e passandoglielo (!), il sindaco che parla di sicurezza, il sindaco che fa una gita in barca, che ride, che si indigna, che stringe le mani.
Come potrebbe una simile emittente restare sul mercato e raccogliere pubblicità? E infatti non le serve: la proprietà sarebbe di una onlus vicina al sindaco, presieduta da Franco Camera, da sempre uomo di fiducia della famiglia Moratti, che ha acquistato per un anno la possibilità di trasmettere su un canale di Telenova. Un anno. Giusto la durata della prossima campagna elettorale, anche se il neodirettore Roberto Poletti si meraviglia: “Molti giornalisti chiamano Milano 2015 “TeleLetizia” non so perché, dal momento che è una televisione che non è di proprietà del sindaco ma di un’associazione formata da imprenditori milanesi, alcuni dei quali vicini al sindaco”.
Una grande conquista della libertà di espressione, dunque: chissà che non suggerisca un nuovo stile comunicativo anche al sindaco di Como. Dopo la rinuncia agli incontri del martedì con la stampa, potrebbe magari inaugurare con un reality personale una nuova “operazione simpatia”.
Gli spettatori milanesi, che hanno potuto bearsi di questo spettacolo sin da luglio, riferiscono di aver assistito ad interviste “scomode” di giornalisti agguerriti: “ci dica, cosa lascerà a Milano dopo il suo mandato?” E poi: il sindaco sui mezzi pubblici, il sindaco nei cantieri di Paolo Sarpi, il sindaco che parla con una negoziante cinese, il sindaco in giro per la notte bianca dello shopping, il sindaco che aiuta un extracomunitario telefonando col suo cellulare ad un assessore e passandoglielo (!), il sindaco che parla di sicurezza, il sindaco che fa una gita in barca, che ride, che si indigna, che stringe le mani.
Come potrebbe una simile emittente restare sul mercato e raccogliere pubblicità? E infatti non le serve: la proprietà sarebbe di una onlus vicina al sindaco, presieduta da Franco Camera, da sempre uomo di fiducia della famiglia Moratti, che ha acquistato per un anno la possibilità di trasmettere su un canale di Telenova. Un anno. Giusto la durata della prossima campagna elettorale, anche se il neodirettore Roberto Poletti si meraviglia: “Molti giornalisti chiamano Milano 2015 “TeleLetizia” non so perché, dal momento che è una televisione che non è di proprietà del sindaco ma di un’associazione formata da imprenditori milanesi, alcuni dei quali vicini al sindaco”.
Una grande conquista della libertà di espressione, dunque: chissà che non suggerisca un nuovo stile comunicativo anche al sindaco di Como. Dopo la rinuncia agli incontri del martedì con la stampa, potrebbe magari inaugurare con un reality personale una nuova “operazione simpatia”.
domenica 10 maggio 2009
Il peso delle parole
Posti separati per i milanesi sui mezzi pubblici locali, ha chiesto il leghista Salvini. Che poi corregge il tiro, convalidando l'interpretazione berlusconiana: si trattava “solo” di una battuta. Anche a Como, peraltro, si sono presentati volenterosi interpreti di questa linea, tra cui un assessore che ha chiosato: è una provocazione opportuna, per far capire alla gente il grave problema rappresentato dalla presenza degli immigrati tra noi. Sono dunque esagerati i timori di chi ha interpretato queste parole come l'indicazione di un crescente razzismo diffuso nella società italiana? Occorre accettarle come elementi normali della dialettica fra le parti?
Tutto dipende dal valore che diamo alle parole, in particolare dall'abitudine a considerarle funzionali al consueto, benché logoro, teatrino della politica. Il quale però è in grado di influenzare la mentalità collettiva, creando una sorta di assuefazione a sparate di volta in volta più grossolane e proterve. Tra l'altro, negli anni ci è toccato sentire di proiettili pronti per i magistrati, di decine di migliaia di bergamaschi armati pronti ad entrare in azione, di un uso improprio ed offensivo del tricolore, senza considerare una infinita serie di istigazioni, se non alla violenza diretta, quantomeno alla “cattiveria”.
Sempre più spesso si lancia il sasso, si valutano le reazioni, si ammicca in modo compiacente alle sensibilità più rozze, poi ci si giustifica dicendo che si voleva suscitare un dibattito o che erano semplici battute.
Com'è possibile considerare queste frasi come garbate provocazioni, destinate magari a stimolare nel Paese una riflessione costruttiva, facendo crescere la nostra coscienza civile e la cultura del diritto? Se le parole sono “leggere”, pronte ad assumere ogni significato e a piegarsi a qualsiasi uso, se i politici sono autorizzati a dire qualunque assurdità in nome della conquista del consenso, se è ottima cosa stimolare paure ed istinti atavici al posto del ragionamento, allora nulla da dire, continuino pure su questo registro, che ha dimostrato di saper produrre splendidi risultati in passato. Quale storico infatti negherebbe che Hitler sia asceso al potere anche per la popolarità di certe sue parole d'ordine? E come non considerare il sano attaccamento alla “tradizione degli avi” da parte del Ku Klux Klan negli USA e dei segregazionisti in generale? Gente, per inciso, che sapeva bene come si mettono in atto le “provocazioni”. Con i risultati che tutti conosciamo.
Tutto dipende dal valore che diamo alle parole, in particolare dall'abitudine a considerarle funzionali al consueto, benché logoro, teatrino della politica. Il quale però è in grado di influenzare la mentalità collettiva, creando una sorta di assuefazione a sparate di volta in volta più grossolane e proterve. Tra l'altro, negli anni ci è toccato sentire di proiettili pronti per i magistrati, di decine di migliaia di bergamaschi armati pronti ad entrare in azione, di un uso improprio ed offensivo del tricolore, senza considerare una infinita serie di istigazioni, se non alla violenza diretta, quantomeno alla “cattiveria”.
Sempre più spesso si lancia il sasso, si valutano le reazioni, si ammicca in modo compiacente alle sensibilità più rozze, poi ci si giustifica dicendo che si voleva suscitare un dibattito o che erano semplici battute.
Com'è possibile considerare queste frasi come garbate provocazioni, destinate magari a stimolare nel Paese una riflessione costruttiva, facendo crescere la nostra coscienza civile e la cultura del diritto? Se le parole sono “leggere”, pronte ad assumere ogni significato e a piegarsi a qualsiasi uso, se i politici sono autorizzati a dire qualunque assurdità in nome della conquista del consenso, se è ottima cosa stimolare paure ed istinti atavici al posto del ragionamento, allora nulla da dire, continuino pure su questo registro, che ha dimostrato di saper produrre splendidi risultati in passato. Quale storico infatti negherebbe che Hitler sia asceso al potere anche per la popolarità di certe sue parole d'ordine? E come non considerare il sano attaccamento alla “tradizione degli avi” da parte del Ku Klux Klan negli USA e dei segregazionisti in generale? Gente, per inciso, che sapeva bene come si mettono in atto le “provocazioni”. Con i risultati che tutti conosciamo.
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