Albrecht Dürer, Navis Stultorum (in S. Brant, Narrenschiff - 1497)

lunedì 24 luglio 2017

Se sai, parla; altrimenti ti conviene tacere. Sì, figuriamoci...

Di fronte alle tante manifestazioni antivacciniste, nonché alla sequela interminabile di bufale diffuse sui social media, vengono spesso diffuse ammonizioni basate sul puro buon senso, riassumibili nello schema "se sai, parla; altrimenti ti conviene tacere". Ovviamente il "sapere" è inteso in senso forte: avrai fatto un corso di studi approfondito, sviluppato una competenza specifica, svolto attività professionale riconosciuta in quell'ambito, eccetera.
Lo schema purtroppo non funziona, perché molti si convincono di essere nel giusto a priori, escludendo quindi la possibilità del "non ho ancora capito", "devo ancora studiare", "ci sono scienziati che dedicano tutta la vita a questi argomenti" (non io).
"Ho capito" allora equivale a "provo una forte emozione" che genera il convincimento; non a caso spesso questo si accompagna con un serie di "buone ragioni" a giustificare l'opposizione agli esperti certificati (complottismo, dietrologie, poteri forti...). Particolarmente insidioso il supposto "esercizio del dubbio" - sacrosanta caratteristica della razionalità evoluta - invocato però unidirezionalmente, cioè contro la tesi opposta, non per mettere in discussione criticamente magari anche la mia fede. Quella no, è difesa dalla "libertà di scelta", quella che ti consentirebbe di scegliere per i tuoi figli il destino di potenziale veicolo di epidemie o di curare le loro malattie con il rituale dell'acqua fresca.
Perché di questo, in fondo, si tratta: di fedi che si basano su valutazioni non razionali; cosa buona e giusta se si parla dell'imponderabile, dell'aldilà o anche delle squadre di calcio, ma non ammissibile in ambito di valutazioni espresse dalla comunità scientifica. Qui le tesi eventualmente vengono messe in discussione da chi ha una preparazione adeguata e prove sperimentalmente verificabili, non dall'uomo della strada. Il quale, senza troppo accorgersene, tanto più si dibatte e si agita, tanto più porta "argomenti", tanto più manifesta la propria ignoranza e superstizione. Il fatto che stia tentando di fare "massa critica", beh, un po' preoccupa. La storia ci insegna che viene utilizzato politicamente da persone altrettanto ignoranti (infatti, "sono uno di voi"), dotate del talento di sfruttare l'irrazionalità altrui per costruire consenso. Anche a costo di distruggere le precarie conquiste del pensiero razionale.

giovedì 15 giugno 2017

Verantwortung

In un ballottaggio elettorale, inevitabilmente, la scelta viene polarizzata in modo da deludere una parte consistente dell'elettorato, a partire da chi aveva puntato con convinzione su un altro candidato rispetto ai due contendenti rimasti. È comprensibile quindi la tentazione, per molti, di evitare il voto successivo in nome di una maggiore coerenza, della distanza politica più o meno marcata dai candidati, ecc. Quando addirittura non si scade nell'appiattimento di tutte le posizioni, in parte evidenziata anche dell'astensionismo del primo turno: "sono tutti uguali" (se, bontà loro, non sono anche "tutti ladri" et similia). Questa peraltro è una posizione rivelatrice; dato che chi possiede un minimo di capacità logiche si accorge che un'equivalenza assoluta è impossibile, l'astenersi da ogni valutazione diventa solo una scorciatoia per evitare di trovarsi coinvolti in qualcosa di lontano dalle proprie aspirazioni.
Ma è davvero saggio non tener conto delle conseguenze delle proprie scelte? Se le alternative non sono equivalenti, perché astenersi, col rischio concreto di favorire qualcosa che, se attentamente considerato, può risultare peggiore, a volte molto peggiore? Naturalmente secondo una propria valutazione, del tutto personale: ed è questo il punto. In nome di quale principio dovrei rinunciare a valutare e quindi a scegliere di conseguenza? Non finisco per abdicare ad una delle caratteristiche che più profondamente mi qualificano come persona dotata di raziocinio?
Per quanto ci possa trasmettere una sensazione di superiorità morale, la non-scelta rischia di celare un autoinganno. Certo, votando per una parte come "male minore" dovrei subire il peso di una scelta sgradita; certo, dovrei farmi carico di qualcosa che condivido solo in parte, o molto poco. Ma, posto che nulla mi vieta di essere critico anche mentre faccio una scelta di voto lontana dai miei ideali, riaffermo almeno l'intelligenza (in senso etimologico, la comprensione adeguata) della negatività maggiore dell'alternativa che escludo. Cosa c'è di più rispettoso della mia capacità di intendere? Perché dovrei sentirmi sminuito dal saper valutare consapevolmente le conseguenze del voto in un senso o nell'altro? Proprio perché ho la certezza di non essere infallibile, non è forse più prudente assumere una prospettiva di responsabilità per il futuro della mia comunità?
La lingua tedesca esprime col termine Verantwortung questa situazione onerosa, di portare un peso che in senso figurato esprime assieme consapevolezza e responsabilità. Pensare concretamente al futuro, allora, valorizzare le istanze che anche solo parzialmente sento più affini alle mie è perdere tempo, oppure investire in una opzione che renderà meno insopportabile lo scenario politico dei prossimi cinque anni? Non c'è speranza di vedere realizzato qualcosa di buono, sia pure in modo incompleto? E soprattutto, di evitare scelte pesantemente negative per l'idea di città che ho in mente? Le istanze sociali contro l'individualismo, l'apertura alla mondialità contro le chiusure particolaristiche: davvero tutto viene reso equivalente con l'affermazione dell'uno o dell'altro dei contendenti? In fondo sottrarsi alla responsabilità ora invocata (perché “non c'è differenza”) non è forse un'affermazione, ancorché elaborata, di indifferenza? Appunto, il non voler vedere le alternative, che sempre permangono e mi interrogano, anche se sono meno marcate, meno nette di quanto auspicherei.
Posso anche non voler affrontare questa scelta, non portare questo peso: ma il giudizio che esprimo, oltre che sui politici non sufficientemente “belli e buoni”, non finisce per essere anche un giudizio sulla mia forza e sulla mia capacità di interpretare gli eventi?

giovedì 20 aprile 2017

Salvini a Como: contro il principio di realtà e contro la logica

È un esercizio vano, analizzare le esternazioni di un politicante? Probabilmente sì. Abituati come sono a farsi applaudire da masse acritiche, certi personaggi girano il Paese proponendo slogan senza grande fondamento nella realtà effettuale, ma capaci di suscitare emozioni utili a condizionare le menti deboli. Quando però vengono a casa tua a farlo, la grossolanità della cosa ti colpisce più direttamente, anche se sai che è pura propaganda slegata dai fatti. Il capo della Lega plana su Como per la campagna elettorale del “suo” candidato sindaco. Più “suo” che dell’intero centrodestra, a giudicare dall’attivismo confusionario ma chiassoso con cui la Lega cerca di accreditarsi come una soluzione per la città, pur arrivando da cinque anni di opposizione totalmente inconcludente, in pratica poco più che schiamazzi contro le presunte “invasioni” straniere.
Salvini ovviamente deve coprire le profonde debolezze progettuali della sua fazione politica, e perciò parte all’attacco, con dei punti davvero qualificanti (seguono citazioni testuali):
  1. La città è tornata indietro invece di andare avanti […] la sicurezza è peggiorata in maniera impressionante […] sembra un quarto mondo.
  2. Non voglio parlare degli altri (sic) ma certamente la scelta di un candidato che appare estraneo al mondo del centrosinistra sembra dire che questi partiti si vergognano di loro stessi.
  3. Sanno di non aver fatto niente e arrivano questi pseudo imprenditori che saltellano da destra a sinistra e avendo i soldi pensano di convincere i comaschi a dimenticare gli ultimi cinque anni.
  4. Nel 2012 siamo stati puniti giustamente, ma ne sono seguiti anni di niente
  5. Abbiamo una squadra rinnovata al 99%, idee chiare e un candidato che tutti conoscono.
  6. II fatto che non abbia un'esperienza politica può anche rivelarsi utile se, come sta avvenendo, è circondato da alcune persone che invece conoscono la realtà dell'amministrazione.
C’è una sola frase vera tra le sei. L’avete trovata? È l’ultima: infatti l’inesperienza politica non è necessariamente un male, anzi può consentire un rinnovamento e una prospettiva di rilancio per una realtà cittadina che deve affrontare i suoi tanti problemi, sempre che sia accompagnato da una squadra esperta. Incidentalmente l’affermazione è valida anche per il competitor del centrosinistra, che a giudizio di chi scrive ha una visione assai più interessante e lungimirante rispetto alla parte avversa, la quale mira di fatto a una cosa sola (sempre Salvini dixit): “riprendersi” la città, un termine che è rivelatore dello spirito di servizio alla base del progetto.
Peccato però che il punto 6 entri in rotta di collisione logica con il 5: Salvini rivela qui la propria (prevedibile) inadeguatezza matematica, dato che un rinnovamento al 99% dovrebbe eliminare in pratica la totalità della vecchia classe dirigente della destra comasca. Questa, al contrario, ha pilotato l’operazione di designazione del candidato dall’alto, con accordi politici di vertice; inoltre molti suoi esponenti già ammiccano dai manifesti elettorali e finiranno per riempire anche le liste, dato che il voto di quell’area conta poco sul coinvolgimento della “base” e molto invece sul patronaggio politico. È prevedibile che l'effettiva capacità di accreditamento nei confronti delle categorie sociali determinerà gli esiti del confronto tra i due veri contendenti nella competizione comasca, comprimari a parte; anche se la destra ha il problema di dover fornire qualche concreta garanzia di rinnovamento, nel segno della competenza, ed è qui che incontra reali problemi ad andare oltre il mugugno. Sarà sufficiente, per chi ha condotto l'opposizione nel modo più inconcludente (con l'unico esito di costringere il consiglio comunale a sedute-fiume anche per l'approvazione dei provvedimenti più semplici), convincere l'area moderata di possedere le capacità millantate (ma già allora esaurite) nell'era-Bruni e tragicamente risoltesi nelle voragini e nella paralisi della macchina comunale che Lucini ha poi faticosamente cercato di rimettere in moto?
Quanto agli altri punti, si tratta né più né meno che di un consueto rosario di falsità ed esagerazioni inanellate l'una sull’altra: alla sconfitta elettorale sarebbero seguiti anni “di niente” dell’amministrazione cittadina, cosa che i Comaschi sanno (e vedono) non essere affatto vera. PGT, Trevitex, Villa Olmo, raccolta differenziata, rete di sostegno sociale strenuamente difesa, riqualificazione di aree importanti nel centro e in periferia, promozione del turismo con numeri record, ecc. ecc. stanno a dimostrarlo. Non c’è ovviamente peggior cieco di chi non vuol vedere, e quindi riconosciamo inutile l’impresa di contrastare la propaganda negativa con la quale del resto le destre europee cercano sempre di influenzare l’opinione pubblica. Lasciamoli al loro catastrofismo farlocco, senza ovviamente nasconderci le molte questioni lasciate aperte dalla giunta uscente che andranno riportate nell'agenda politica dei prossimi anni.
Se le capacità logiche e il rispetto della realtà latitano, la finezza espressiva di questo piazzista del nulla invece merita un minimo di considerazione. Risulta quasi divertente, e anche un po' patetico, che un parlamentare europeo mai conosciuto per particolare produttività, essendo invece totalmente impegnato a girare l’Italia sputando sentenze contro gli avversari politici, dia dello “pseudo imprenditore” a chi ha una non breve storia di successi professionali, questa sì, in grado di certificare qualche capacità che possa essere messa a servizio della città.
Che “coi soldi” si possa far dimenticare qualcosa ai Comaschi è un'altra palese assurdità, anche perché come detto non c'è nulla da nascondere sul recente passato amministrativo, che andrebbe solo conosciuto meglio. Tante realizzazioni (alcune non adeguatamente comunicate), qualche errore e varie opere in corso richiedono di essere valutate per quello che sono, non per le calunnie interessate di una parte.
Che i partiti del centrosinistra, in particolare il Partito Democratico, debbano vergognarsi di qualcosa è una vera e propria scemenza, da respingere al mittente; che essi debbano riflettere su eventuali errori per correggerli è senz'altro opportuno, ma tra questi non rientra certo l'avere selezionato il proprio candidato con la partecipazione popolare delle primarie, né la disponibilità al dialogo con tutte le forze politiche europeiste, non xenofobe e antirazziste, interessate a rilanciare la città nei prossimi dieci anni, e nemmeno l'avere promosso la partecipazione di circa duecento cittadini nella redazione del programma che è in corso in questi giorni.
Queste sono differenze autentiche, da rivendicare e sulle quali invitare tutta la cittadinanza a una riflessione e a una scelta ponderata: da un lato c'è una politica intesa come partecipazione, aperta all'ascolto e alla progettazione del futuro della città. Dall'altro, come Salvini è venuto a insegnarci, soprattutto polemiche inconcludenti, determinate dalla volontà di ricostruire meccanismi di potere logori e antiquati, ispirati a visioni parziali e divisive e da un “professionismo della paura” che sta producendo disastri (autentici) per la convivenza civile in Europa. E Como è molto, molto più avanzata di come una destra reazionaria (e, nonostante qualche camuffamento, per nulla moderata) la vuole rappresentare.


lunedì 13 marzo 2017

CoCoCo 2017-1: Legittima difesa e speculazioni politiche

In questi giorni si parla molto, ed è comprensibile, della vicenda del ristoratore di Casaletto Lodigiano, Mario Cattaneo, che in una colluttazione ha sparato con un fucile, regolarmente detenuto, a un ladro che tentava di introdursi nel locale, chiuso a quell’ora, insieme ad altri tre complici. È verosimile che il fatto sia avvenuto in modo accidentale e che il responsabile dell'omicidio sia il primo ad essere sconvolto da conseguenze non previste nel momento in cui si dotava di un'arma per il sopralluogo. È comprensibile altresì la solidarietà degli amici e dei conoscenti.
Ma chi deve accertare la verità? La magistratura o la politica?
In un paese civile la questione non sarebbe nemmeno da porsi. Qualunque giudizio deve partire dall'accertamento rigoroso dei fatti. Se risultassero circostanze penalmente rilevanti si celebrerà un processo, altrimenti no. Questo per chiunque sia dotato di un minimo di cultura giuridica. Evidentemente però vi è un lato della politica, quello di gran lunga meno nobile, della speculazione sulle paure e sulle disgrazie altrui, che non si tira indietro neanche in questo caso.
«Il ristoratore che ha reagito alla rapina è indagato per omicidio volontario. Siamo in un mondo al contrario» ha scritto sul suo profilo Facebook il presidente della Regione Lombardia. Cosa vuol dire? Che non si devono fare indagini? Che tutte le volte che sembrano presentarsi le caratteristiche potenziali di una legittima difesa non bisogna fare alcun accertamento? O forse che è lecito prendere le armi e sparare ogni volta che ci si sente minacciati, legittimando così un clima da Far West? Il mondo al contrario non è forse quello in cui i politici fingono di dimenticare i più elementari fondamenti del nostro sistema giuridico?
Sappiamo tutti perché queste uscite, e altre ancora più rozze, si susseguano ogni volta che avviene un episodio simile. Non è solidarietà umana, è speculazione politica di bassa lega, nel tentativo di far apparire sempre più insicuro e violento un Paese che invece non lo è, statistiche alla mano. Facendo crescere un clima di contrapposizione utile solo a mediocri professionisti della politica che però non
sono solo innocui ciarlatani. Seminano odio, sobillano i deboli e i più sprovveduti, favorendo lo sviluppo di un clima di terrore che accomuna impropriamente i piccoli fatti quotidiani e i grandi scenari globali.
Bisogna dirlo, che questa subcultura ha un nome e una collocazione politica, alla faccia di coloro che sproloquiano sull'inesistenza di destra e sinistra, senza sapere quello che dicono. Questa che avanza non è forse tutta la Destra, ma è Destra allo stato puro. È una Destra che
peraltro sembra oggi avanzare in Occidente, sminuendo nei fatti i principi di tolleranza e di accoglienza su cui avevamo iniziato a costruire la nostra casa comune dopo il dramma del secondo conflitto mondiale. Una Destra che ha molto poco di liberale e promuove invece l'intolleranza a tutto campo, spesso nascondendosi dietro considerazioni ipocrite sulla nostra sicurezza minacciata e che non sarebbe adeguatamente tutelata. Una Destra che a livello mondiale mostra il suo volto inquietante e regressivo, anche nella cronaca recentissima. I muri minacciati e le dichiarazioni divisive, se non razziste, del nuovo presidente degli Stati Uniti d'America. O l'inaccettabile soppressione della separazione dei poteri e del sistema di controlli ed equilibri istituzionali voluto dal presidente Erdogan con una svolta autoritaria che gli darà ancora più poteri, una volta confermata da un imminente plebiscito.
È chiaro, tuttavia, che ogni gesto che mina e indebolisce la coesione dei progressisti, di chi si batte per la difesa dei diritti dell'uomo, oggettivamente
non fa che rafforzare questa destra e indebolire la tenuta dello stato democratico. Sono scenari storici che si sono già profilati in passato, pur in contesti radicalmente diversi e che auspichiamo irripetibili, ma che caricano di responsabilità le scelte politiche dell'oggi, soprattutto di chi ha veramente a cuore una democrazia inclusiva e tollerante.

giovedì 26 gennaio 2017

Piano del traffico e pregiudizi infondati


A volte, quando leggi un articolo, ti chiedi se le dichiarazioni che vedi riportate siano state effettivamente espresse nei termini che hai sott'occhio, tanto sono sfasate. Per me oggi è il caso di quanto viene pubblicato a nome del presidente di Acus sul Piano del traffico: «È un Piano dimezzato, non ha più senso portarlo avanti [...] è un'altra cosa rispetto a quello messo a punto da Polinomia […] Se le linee guida del Piano erano la pedonalizzazione del lungolago, il girone a doppio senso di marcia e le piste ciclopedonali e se queste linee guida sono state accantonate, allora viene a cadere l'intero Piano». Completa il presidente di Confartigianato Imprese negando la correttezza «che un'amministrazione in scadenza di mandato» possa prendere decisioni così importanti.
Ma c'è qualcosa di fondato in questi assunti, o è solo la sagra del partito preso?
Purtroppo, alla luce dei fatti, mi tocca propendere per la seconda ipotesi. E c'è un aspetto particolarmente fastidioso in questo stile argomentativo. Se la giunta decidesse senza ascoltare nessuno, la si accuserebbe di uno stile dittatoriale. Se invece la giunta non solo ascolta per mesi le osservazioni e proposte condotte sulla base del più ampio e articolato studio che mai sia stato intrapreso sul problema del traffico in città, ma integra, corregge e modula buona parte delle ipotesi sulla base dei risultati di questo ascolto, allora si sentenzia che il piano ne esce “dimezzato” e inutile.
E no. Finiamola una buona volta con queste assurdità. Davvero non si vuole capire che le linee guida non sono quelle che si dichiara per scopi di comodo (estrapolando alcune delle possibili soluzioni studiate e poi ridimensionate), ma “solo” la complessiva razionalizzazione delle problematiche innumerevoli e complesse del traffico cittadino? Cosa sfugge, nel considerare che sono state vagliate tutte le ipotesi percorribili alla luce di competenze tecniche qualificate, generando un lavoro che comporta passaggi per gradi differenziati e successivi, con misure propedeutiche ad altre, e con una progressiva verifica degli effetti? Quale altro metodo seguire? Forse quello delle proposte “spot” di cui qualcuno può essere legittimamente convinto, ma che sembrano ben meno consapevoli degli effetti generati nei comparti circostanti?
È poi corretto dimenticare che il Pgtu è parte integrante del programma di governo, per realizzare il quale l'attuale maggioranza e il Sindaco Lucini sono stati eletti?
Con quale senso di responsabilità si giudica ancora rinviabile un piano del traffico palesemente necessario, viste le trasformazioni che la città ha subito negli ultimi quindici anni e la completa inadempienza delle giunte precedenti nell'aggiornarlo, come sarebbe stato imposto dalla legge?
Quale rispetto si manifesta – certo dall'alto di una rappresentanza di organizzazioni che conteranno svariate migliaia di iscritti – per quei cittadini e quelle associazioni che sono stati protagonisti di un percorso di redazione condotto (ed è una novità profonda nella storia politica della città) con una modalità ampiamente e autenticamente partecipativa?
Un'amministrazione in scadenza di mandato consegna alla città l'elaborazione che ha promesso di realizzare. È un fatto politico di rilievo, che può spiacere agli avversari, ma che dimostra serietà e coerenza. Tanto che, se anche per ragioni tecniche non si arrivasse al voto in consiglio entro la fine del mandato, di certo questa opera potrebbe essere immediatamente implementata da chi arriverà dopo.
Questa capacità di guardare alla soluzione dei problemi al di là delle polemiche spicciole mi conferma una volta di più come questa amministrazione abbia avuto a cuore la qualità della vita e la sicurezza dei cittadini prima di ogni tornaconto elettorale. E non credo siano pochi i cittadini che lo hanno compreso.