Albrecht Dürer, Navis Stultorum (in S. Brant, Narrenschiff - 1497)
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martedì 30 ottobre 2018

Como, la cattiva amministrazione che si dimostra anche inutile


RICAPITOLANDO.

1. Dati di fatto
L'amministrazione di centrodestra, secondo quanto dichiara oggi una consigliera di maggioranza:
- riduce la sicurezza a un mero fatto di polizia, senza capire la complessità del fenomeno
- nega strumenti che eliminano il disagio oltre il degrado
- finge di non vedere la possibilità di infiltrazioni malavitose
- è sorda alle competenze presenti nel consiglio comunale quando sottopongono i problemi
- toglie panchine e wifi per creare disagio agli stranieri (e ai comaschi no?)
- ha realizzato un autentico monumento allo spreco (Infopoint in affitto)
- emette ordinanze per il decoro natalizio assolutamente inutili
- le applica in maniera becera e ottiene con le stesse figuracce nazionali per la città
- sanifica il portico di San Francesco con modalità inutilmente vessatorie
- impedisce sistematicamente di attuare i lavori socialmente utili per i migranti che farebbero capire le vie di una possibile integrazione (non sia mai!)
- evita di trovare soluzioni al problema dei barboni, scaricando tutto il peso sulle associazioni di volontariato che si devono arrangiare
- nega una Commissione speciale su questi problemi (chiesta all'interno della maggioranza, non come provocazione dell'opposizione)
- nega la ricostituzione della Consulta dei servizi sociali.

2. Un parere personale
Da cittadini, dobbiamo ringraziare chi ha posto le questioni con questa evidenza palmare.
Sappiamo che ci sono molti altri segni di insensibilità sociale che vengono lanciati come "messaggi" per far capire che chi comanda lo fa a muso duro, evidenziando peraltro con un risibile "cattivismo" l'egemonia leghista sull'intera compagine.
Ma anche tutti gli altri temi centrali del rilancio della città sono trattati con una straordinaria e incomprensibile inerzia. Tutto è paralizzato. Il sindaco in sostanza continua a ripetere che non si aspettava una tale complessità.
Questa maggioranza ha così sancito il proprio completo fallimento politico, prima ancora che amministrativo.
Se ai Comaschi sta bene che per qualche anno ancora Como prosegua nel degrado di una mera funzione di "vetrina" della politica regressiva di un leghismo delle piccinerie, tutto OK.
Altrimenti, con un minimo di decenza, si prenda responsabilmente atto di questa inadeguatezza e ci si liberi da questo malgoverno.

lunedì 13 marzo 2017

CoCoCo 2017-1: Legittima difesa e speculazioni politiche

In questi giorni si parla molto, ed è comprensibile, della vicenda del ristoratore di Casaletto Lodigiano, Mario Cattaneo, che in una colluttazione ha sparato con un fucile, regolarmente detenuto, a un ladro che tentava di introdursi nel locale, chiuso a quell’ora, insieme ad altri tre complici. È verosimile che il fatto sia avvenuto in modo accidentale e che il responsabile dell'omicidio sia il primo ad essere sconvolto da conseguenze non previste nel momento in cui si dotava di un'arma per il sopralluogo. È comprensibile altresì la solidarietà degli amici e dei conoscenti.
Ma chi deve accertare la verità? La magistratura o la politica?
In un paese civile la questione non sarebbe nemmeno da porsi. Qualunque giudizio deve partire dall'accertamento rigoroso dei fatti. Se risultassero circostanze penalmente rilevanti si celebrerà un processo, altrimenti no. Questo per chiunque sia dotato di un minimo di cultura giuridica. Evidentemente però vi è un lato della politica, quello di gran lunga meno nobile, della speculazione sulle paure e sulle disgrazie altrui, che non si tira indietro neanche in questo caso.
«Il ristoratore che ha reagito alla rapina è indagato per omicidio volontario. Siamo in un mondo al contrario» ha scritto sul suo profilo Facebook il presidente della Regione Lombardia. Cosa vuol dire? Che non si devono fare indagini? Che tutte le volte che sembrano presentarsi le caratteristiche potenziali di una legittima difesa non bisogna fare alcun accertamento? O forse che è lecito prendere le armi e sparare ogni volta che ci si sente minacciati, legittimando così un clima da Far West? Il mondo al contrario non è forse quello in cui i politici fingono di dimenticare i più elementari fondamenti del nostro sistema giuridico?
Sappiamo tutti perché queste uscite, e altre ancora più rozze, si susseguano ogni volta che avviene un episodio simile. Non è solidarietà umana, è speculazione politica di bassa lega, nel tentativo di far apparire sempre più insicuro e violento un Paese che invece non lo è, statistiche alla mano. Facendo crescere un clima di contrapposizione utile solo a mediocri professionisti della politica che però non
sono solo innocui ciarlatani. Seminano odio, sobillano i deboli e i più sprovveduti, favorendo lo sviluppo di un clima di terrore che accomuna impropriamente i piccoli fatti quotidiani e i grandi scenari globali.
Bisogna dirlo, che questa subcultura ha un nome e una collocazione politica, alla faccia di coloro che sproloquiano sull'inesistenza di destra e sinistra, senza sapere quello che dicono. Questa che avanza non è forse tutta la Destra, ma è Destra allo stato puro. È una Destra che
peraltro sembra oggi avanzare in Occidente, sminuendo nei fatti i principi di tolleranza e di accoglienza su cui avevamo iniziato a costruire la nostra casa comune dopo il dramma del secondo conflitto mondiale. Una Destra che ha molto poco di liberale e promuove invece l'intolleranza a tutto campo, spesso nascondendosi dietro considerazioni ipocrite sulla nostra sicurezza minacciata e che non sarebbe adeguatamente tutelata. Una Destra che a livello mondiale mostra il suo volto inquietante e regressivo, anche nella cronaca recentissima. I muri minacciati e le dichiarazioni divisive, se non razziste, del nuovo presidente degli Stati Uniti d'America. O l'inaccettabile soppressione della separazione dei poteri e del sistema di controlli ed equilibri istituzionali voluto dal presidente Erdogan con una svolta autoritaria che gli darà ancora più poteri, una volta confermata da un imminente plebiscito.
È chiaro, tuttavia, che ogni gesto che mina e indebolisce la coesione dei progressisti, di chi si batte per la difesa dei diritti dell'uomo, oggettivamente
non fa che rafforzare questa destra e indebolire la tenuta dello stato democratico. Sono scenari storici che si sono già profilati in passato, pur in contesti radicalmente diversi e che auspichiamo irripetibili, ma che caricano di responsabilità le scelte politiche dell'oggi, soprattutto di chi ha veramente a cuore una democrazia inclusiva e tollerante.

giovedì 28 maggio 2015

Ancora su intolleranza e comprensione dell'altro

Una breve replica a chi in questi giorni ha inteso manifestare, su Facebook e in altre sedi, il proprio legittimo dissenso dal mio punto di vista, dicendosi preoccupato di posizioni che giudica più o meno "razziste" e discriminatorie, che non dovebbero perciò avere diritto di cittadinanza. 
Posso apprezzare la vostra passione e ritengo che non abbiate intenzione di giustificare chi – in assoluta minoranza – sabato ha cercato lo scontro. Credo però sia un punto su cui riflettere. Da dove nasce questo accanimento contro coloro le cui posizioni non comprendiamo? Siamo sicuri che tenere accesi i toni sia il modo migliore per valorizzare le nostre buone ragioni? Ovviamente non trovi nel mio discorso una condanna di alcuna manifestazione di segno contrario, favorevole cioè all’affermazione del disegno di legge in questione.
Il punto controverso sta evidentemente nel tentativo neanche troppo velato di demonizzare chi dissente e di farne, di fatto, un bersaglio, equiparando tout court la sua posizione a ben note ed esecrabili ostentazioni di razzismo o altre attività aberranti sul piano dei principi costituzionali. Ma i giudici di questa attribuzione, guarda caso, siamo sempre noi.
A me sembra quanto meno opinabile e non molto democratico. Se si fosse tanto sicuri che la presenza nelle piazze delle “Sentinelle” rapresenti un incitamento all’odio (cioè l’unica fattispecie di reato attinente che il nostro ordinamento prevede) si porti il caso davanti a una corte di giustizia. Purtroppo, da gandhiano (carente) e obiettore di coscienza, a me sembra piuttosto di veder trasparire una tentazione sempre presente in noi, me compreso, e che mi sforzo di combattere, quella di ergerci a giudici degli altri, di delegittimare la posizione avversaria individuando un nemico in chi, semplicemente, non riesce a considerare le cose nella nostra prospettiva.
Il dibattito sulle leggi vede fisiologicamente posizioni favorevoli e contrarie: mi sembra l’essenza stessa della democrazia. Se sono certo delle mie buone ragioni, vado incontro alla sfida armato unicamente di esse. Preferisco non cercare scorciatoie che possano ledere l’essenza della libertà di espressione. Mi sembra addirittura controproducente, per un movimento che mira ad estendere l’esercizio dei diritti per le persone che si sono trovate in passato anche pesantemente discriminate, imbracciare armi (quelle della repressione, della censura, se non addirittura dello scontro fisico) che sono state utilizzate proprio per esercitare una odiosa discriminazione.
Se penso alla lotta per l’indipendenza dell’India, soprattutto all’insegnamento della sua luminosa guida, non ho dubbi rispetto alla maggiore efficacia delle battaglie condotte all’insegna della comprensione dell’altro, e comunque nella tolleranza verso ciò che, eventualmente, considero un errore. Meglio, verso colui che secondo me è in errore. Ma anche per chi non condividesse, ripeto che abbiamo la Costituzione repubblicana e le leggi a cui eventualmente appellarsi se ritenete il confronto delle idee uno sforzo inutile. Io semplicemente non riesco a considerarlo tale.

lunedì 25 maggio 2015

CoCoCo 2015-5: Intolleranza e libertà di espressione

Occorre guardare con qualche preoccupazione ad episodi come quelli verificatisi in città sabato scorso, a margine di una delle varie manifestazioni delle cosiddette "Sentinelle in piedi" che, a modo loro, esprimono dissenso contro un disegno di legge, in discussione al Parlamento, riguardante le unioni civili fra persone dello stesso sesso.
A scanso di equivoci, dichiaro subito che non condivido questa posizione, di cui apprezzo solo la modalità assolutamente non violenta che ne caratterizza l'espressione, non i contenuti. Ma si tratta innegabilmente dell'esercizio di un diritto costituzionalmente garantito, che non possiamo presumere di voler negare o vietare perché esprime posizioni che non ci aggradano. Può darsi che le intenzioni della trentina di ragazzi che ha provato a raggiungere piazza Grimoldi passando a fianco delle bancarelle del mercatino dei portici Plinio e che è stato allontanto dalle forze dell'ordine, proseguendo poi con cori e striscioni, non fossero particolarmente bellicose. Tuttavia vedo un forte rischio per l'ordiamento democratico, se si comincia a discriminare la libertà di espressione degli altri in base alle proprie convinzioni personali. Un conto è la provocazione di chi si richiama, più o meno velatamente, a ideologie totalitarie e razziste, che non può essere accettata proprio perché mira a sovvertire i valori costituzionali; ben altra cosa è presumere di potersi rapportare aggressivamente o in maniera censoria contro chi manifesta pacificamente idee diverse dalle nostre.
Va certamente ribadito e condiviso l'assunto che i diritti civili vadano sempre meglio compresi ed applicati per tutti, conformemente all'art. 3 della Costituzione, per il quale appunto “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Nel caso in questione, si tratta ovviamente di mantenere fermo anche l'altro principio inossidabile dell'art. 21, che “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.”
È francamente insensato che si richiedano prese di posizione liberticide a questo consiglio, come è avvenuto in un intervento della scorsa settimana nel quale, con grande facilità ed altrettanta superficialità, si voleva estendere la ferma posizione antifascista che il Consiglio stesso ha ribadito con una recente mozione a nuovi divieti contro chi esprime posizioni discutibili, come ve ne sono in ogni dibattito su testi di legge, semplicemente perché esprimono una visione del mondo da noi non condivisa.
È risaputa, e viene talora citata anche nei nostri lavori consiliari, la frase attribuita a Voltaire: “Non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu lo possa dire”. Il grande illuminista in realtà non l'ha mai scritta né pronunciata; si tratta di un equivoco generato dall'eccesso di libertà interpretativa di una scrittrice inglese in un volume del 1906.
Infatt Evelyn Beatrice Hall compendiò il pensiero dell'autore del Trattato sulla tolleranza in questa frase: «I disapprove of what you say, but I will defend to the death your right to say it.» (The Friends of Voltaire, 1906, riprendendola anche nel successivo Voltaire In His Letters (1919). Per chiudere la storia di questa falsa citazione, Charles Wirz, Conservatore de "l'Institut et Musée Voltaire" di Ginevra, ricordava nel 1994, che Miss Evelyn Beatrice Hall, mise, a torto, tra virgolette questa citazione in due opere da lei dedicate all’autore di « Candido», e riconobbe espressamente che la citazione in questione non era autografa di Voltaire in una sua lettera del 9 maggio 1939.
Ad ogni modo, prendiamola pure come un indicatore opportuno del nostro attuale senso di civiltà, di inclusività democratica e, appunto, di tolleranza, esattamente come espressa da molti nella recente e drammatica vicenda che ha portato ad affermare la propria solidarietà nei confronti delle vittime del massacro al giornale satirico Charlie Hebdo. Non facciamo quindi due pesi e due misure, secondo l'occasione del momento. Ovviamente possiamo sempre manifestare il nostro “dissenso al dissenso”, ribadire con la forza delle argomentazioni il sostegno ad un disegno di legge che intende estendere i diritti dei cittadini, indipendentemente dal loro orientamento sessuale. Ma non chiedeteci, per favore, di reprimere i dissidenti. Non create ad arte presunti nemici della democrazia in cittadini della Repubblica che attuano un loro diritto inalienabile. Il rischio, come si è visto, è di indicare bersagli per una nuova intolleranza. Vi prego caldamente, fermatevi qui. Non costringete la nostra coscienza democratica a dove dire, un giorno, “sono una sentinella in piedi” per solidarizzare con chi rischia di essere vittima di aggressioni che con l'autentico confronto politico hanno poco a che vedere.

lunedì 20 aprile 2015

CoCoCo 2015-3: Chiacchiere e intolleranza sono più utili della formazione al lavoro?

L'emergenza umanitaria legata all'arrivo di nuove ondate di profughi sul nostro territorio non può che destare preoccupazione e una mobilitazione anche politica, di cui cogliamo i segnali contrastanti. Giustamente, con le parole del Presidente Mattarella «l'Italia invoca da tempo un intervento deciso dell'Unione europea per fermare questa continua perdita di vite umane nel Mediterraneo, culla della nostra civiltà». Spiace però constatare che una speculazione politca di infimo livello sta riprendendo fiato, un giorno sì e l'altro pure, tentando di alimentare un'irrazionalità collettiva e paure nuove ed antiche, stavolta anche con la deplorevole “variazione sul tema” di prendersela con chi si rimbocca quotidianamente le maniche per affrontare l'emergenza.
In questo caso il bersaglio comasco è la Caritas, oggetto di un attacco tanto demagogico quanto sconsiderato da parte del deputato leghista Molteni, che sarebbe colpevole di promuovere «anche corsi di formazione, digiardinaggio, di cucina, di panificazione, percorsi di inserimento lavorativo, mediazione culturale, corsi di lingua, assistenza sanitaria gratuita». Questo sarebbe lo "scandalo" di un presunto sistema discriminatorio di aiuti, che riprende la semplicistica contrapposizione di "noi" e "loro" nella speranza di raccattare i voti di quanti, a ragione o torto, si sentono marginalizzati o semplicemente impauriti dalle trasformazioni sociali in atto.
L'intento dei parolai nazionali e nostrani, però, è chiaro. I problemi sul territorio non vanno affrontati, ma lasciati aggravare, per poter continuare a lucrare in termini elettorali.
Chi lavora per l'integrazione, per dare alle persone che la guerra o la disperazione fanno approdare ai nostri lidi una prospettiva che alla fine li renda utili alla collettività che li ospita, va colpevolizzato. Chi mostra un senso concreto di responsabilità nei confronti del suo prossimo, anche per attenuare il disagio sociale complessivo, deve essere accusato di "buonismo", perché si rifiuta di cedere alla logica delle contrapposizioni sterili e inconcludenti, utili peraltro solo ad alimentare la rabbia dei disagiati e a far salire il clima di intolleranza.
Capisco che sentir parlare di "formazione" sconcerti taluni, per le prospettive di composizione armoniosa delle conflittualità che apre, di inserimento produttivo nelle nostre comunità, ben oltre le logiche dell'assistenzialismo. Mi chiedo però quanto sia utile, a queste nostre comunità, far cagnara, levare alto il grido dell'"invasione", suscitare paure e risentimenti, e soprattutto, ripeto, prendersela con chi fa concretamente qualcosa di buono per gli altri: italiani e non.
La massima impostura di questi pseudoragionamenti ipocriti sta nel nascondere l'opera costante e preziosa che la stessa Caritas svolge da sempre nei confronti di ogni forma di povertà, certo senza stare a indagare sui dati anagrafici e però includendo tutti gli italiani veramente bisognosi.
Forse questa azione meritoria non basterà da sola a risolvere gli enormi problemi che lo scenario internazionale ribalta addosso alla comunità nazionale e a quella locale. Ma di certo le parole a vanvera dei politicanti che si impancano a “professionisti della paura” possono servire solo ad aggravarli, al solo scopo di raccattare qualche voto in più. Ma spero francamente che gli Italiani non seguano questa deriva degenerativa, di reale imbarbarimento della politica che avvelena il nostro paese e mina la nostra credibilità di Paese: quella deriva che, per citare ancora il Presidente Mattarella, rischia solo di farci «smarrire la nostra umanità».

giovedì 26 gennaio 2012

CoCoCo48 - Vergognoso attacco al Presidente della Repubblica

Intervengo brevemente per esprimere il mio sconcerto di fronte alle dichiarazioni che un amministratore locale, il sindaco di un paese del bresciano, si è permesso di rivolgere al Capo dello Stato, attaccandolo con una tale mancanza di decoro umano e soprattutto istituzionale, da venirne completamente squalificato.
Già responsabile di atti discutibili, ha inteso reagire ad una legittima scelta del Presidente, che evidentemente intendeva sottolineare l'importanza del riconoscimento della dignità della persona umana in tutte le condizioni, affermando che “Gli adrensi si devono vergognare di avere un presidente della Repubblica che ha dato questa onorificenza”, e ancora, “Le onorificenze, quando sono assegnate a cani e porci, fanno divenire ingiustamente porci o cani anche chi le ha meritate”.
A parte la sintassi non proprio lineare, è vistosa la volontà di offendere, non certo di ragionare sui contenuti, ed eventualmente presentare un punto di vista alternativo, come la democrazia consente.
Non si tratta qui della libertà di valutare, ed eventualmente criticare, gli atti di una personalità politica, sia pure di quella interpretata con supremo senso della responsabilità del proprio ruolo dal Presidente Napolitano; qui si tratta semplicemente dell'espressione scomposta di toni e di forme inaccettabili per la loro violenza e volgarità, che squalificano peraltro solo chi li utilizza.
Riflette però un costume che troppi politici ormai praticano, una degenerazione costante che imbarbarisce la discussione politica e la degrada ad alterco di personaggi biasimevoli, dei quali è meglio smettere di parlare. È ora di finirla!
Sono perciò certo, nel condannare con la massima fermezza questo episodio increscioso, che offende assieme alla massima autorità politica anche tutti noi, nella nostra qualità di amministratori e di cittadini della Repubblica Italiana, sensibili ai principi di solidarietà richiamati dal dettato costituzionale, di interpretare il sentimento anche di tutti gli altri consiglieri. Esprimo insieme piena solidarietà al Capo dello Stato per questa aggressione che, sebbene la forma in cui è stata espressa non giunga all'offesa fisica, non risulta meno grave, soprattutto considerando da dove proviene.

giovedì 31 marzo 2011

CoCoCo 17 - Como non accoglie? ("Föra di ball" e i veleni ideologici)

Föra di ball. Come al solito, la politica italiana sa mostrare il suo peggio, con la consueta mescolanza di invettive, frasi ad effetto intrise di volgarità e violenza, non di rado temperate da dichiarazioni successive, che intanto però hanno raggiunto il loro scopo: quello di compiacere gli istinti peggiori delle folle, di prospettare soluzioni semplicistiche e grossolane a problemi complessi, nel nome del rifiuto dell’umanità comune, dell’esaltazione degli egoismi, della negazione delle responsabilità. Prospettando il sogno irrealistico, ma suggestivo per le menti deboli, di potersi eternamente arroccare a difesa dei propri privilegi, escludendo i più deboli e presentandoli come una massa di criminali pronti ad invaderci.
Non sono frasi estemporanee, ma sono studiate con la cura di provocare il massimo danno possibile alla coscienza civile, la cui erosione non è ormai da molto tempo sotterranea, nascosta, ma è impunemente affiorata alla superficie, senza che neppure se ne provi vergogna, ma anzi rivendicando orgogliosamente un proprio diritto a dire frasi malvagie; fesserie, sì, ma che avvelenano giorno dopo giorno la coscienza dei cittadini. Tanto il capo “può permettersi di dire quello che vuole perché è il capo. Il capo è il capo e non si discute”. (P. Stiffoni, senatore della Lega).
È un’opera di lungo termine, non è iniziata da ora, e da tempo ne vediamo i frutti perversi. Una volta scoperto che l’esaltazione del male ha un tornaconto elettorale, nessuno li trattiene più, ogni sparata è buona: non esitano a definire, con compiaciuto disprezzo, l’attaccamento ai valori più alti della civiltà occidentale “buonismo”. Sono arrivati ad esaltare la “cattiveria” come rozzo stile di gestione dei problemi e delle emergenze, e in effetti non è possibile fare altrimenti.
Come insegna S. Agostino, se non ci sforziamo di praticare la bontà, opera di per sé non semplice, impegnativa, non priva di sacrifici, non è che rimaniamo fermi dove siamo. Semplicemente scivoliamo indietro, regrediamo ad uno stato inferiore alla nostra dignità di esseri razionali. Ci adattiamo al male, lo facciamo diventare la nostra condizione abituale, diventiamo incapaci di riconoscere i nostri doveri di solidarietà umana e cristiana. Ha un bel dire la Cei che “serve una nuova stagione di inclusione sociale”, quando chi sta al potere naviga nella direzione diametralmente opposta. Peccato che, insieme, anche tutto il Paese scivoli inevitabilmente nel declino, avendo smarrito le proprie energie spirituali prima ancora che la competitività economica.
Poi, ipocritamente siamo anche capaci di sparare balle sull’opportunità di aiutare i profughi “a casa loro”. Ci rendiamo conto? Un governo che ha sistematicamente decurtato proprio le risorse per le organizzazioni non governative, riducendole al lumicino, dovrebbe avere la minima credibilità per realizzare un’operazione tanto complessa e impegnativa? La realtà è che si è unicamente preoccupati di spostare il problema fuori dalla vista, incapaci come si è di risolvere pure gli altri, quelli di casa propria, nel segno del bene comune. In questo processo, va riconosciuto, opera anche un’ipocrisia non molto dissimile da parte di quei politicanti dei paesi comunitari, che con la loro azione stanno contribuendo ad affossare anche quella grande aspirazione all’unità di azione europea, sola condizione per non finire marginalizzati dalle altre potenze mondiali, ora fortemente in crisi.
Veniamo a noi: questo veleno ha raggiunto pure Como, penetrando in profondità nel cuore di quanti si affannano a negare che esistano strutture per l’accoglienza dei profughi sul nostro territorio. Fatto grave, perché esprime, all’indomani delle celebrazioni dell’Unità, la negazione di una solidarietà rivolta in primis ai nostri concittadini italiani che sono in questo momento alle prese con l’emergenza sulla loro isola. A Como non ci sono posti? Sarebbe dovere di un’amministrazione capace di affrontare i problemi il predisporli: stiamo parlando di qualche decina di persone, non di una fiumana incontrollabile. Ma è evidente che gli egoismi, la logica del tornaconto, il conformarsi alla pancia dell’elettorato (concepito forse come peggiore di quello che è) portano in fondo proprio a questo: l’incapacità della gestione lungimirante e, alla fine, anche la perdita del controllo della gestione ordinaria. Io sto chiedendo ora all’Amministrazione di dare un segno concreto che contraddica questa logica perversa, individuando sul territorio comunale un luogo per l’accoglienza anche di un piccolo numero di persone. Se lo faceste, otterreste certamente tutto l’appoggio dei rappresentanti del PD. Ma occorre coraggio. Potete dire di averlo?
Comunico in conclusione che il nostro gruppo si riserva di valutare ulteriori passi formali alla luce delle prossime decisioni che la giunta vorrà assumere meno su questo tema, così come in considerazione delle determinazioni della Regione e della Prefettura per l'ospitalità dei rifugiati nella nostra provincia.

domenica 23 gennaio 2011

Libri al rogo

Cosa può spingere un amministratore pubblico a promuovere iniziative tanto inutili quanto funeste? Perché infangare l'immagine dell'ente che si rappresenta con un grossolano oltraggio all'articolo 21 della nostra Costituzione che, sarà bene ricordarlo, recita: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”? È quanto vorremmo chiedere all’assessore provinciale alla cultura di Venezia e a quello regionale veneto che, spalleggiati da alcuni colleghi di centrodestra, hanno intimato a biblioteche e scuole di mettere al bando (in quanto “cattivi esempi”) i libri di numerosi autori firmatari di un appello del 2004 che prendeva spunto dal caso di Cesare Battisti per discutere di terrorismo, degli “anni di piombo” e delle leggi relative, tra i quali Saviano.
Trovo davvero deplorevole il fatto che Battisti non stia scontando la pena nelle patrie galere, e mi auguro che si trovi presto una soluzione per fargli espiare la condanna definitiva. Ma non mi sognerei mai di invocare misure persecutorie nei confronti di chi la pensa diversamente da me, attuando procedure tipiche dei periodi più oscuri della storia passata. A quale cultura fa riferimento chi mette al bando libri che ritiene “diseducativi”, oltretutto non per il loro contenuto ma perché le convinzioni degli autori non corrispondono a quelle di chi detiene il potere? Peserà di più la formazione giovanile da nostalgico del Ventennio o la smania di garantirsi un po' di visibilità, tipica di tanti politicanti vanesi? In Italia è inutile sperare nelle dimissioni, o almeno nel pentimento, di chi rappresenta in maniera tanto indegna le istituzioni pubbliche: speriamo almeno che chi ha avuto la disgrazia di eleggerli apra gli occhi e li valuti per quello che sono.