Albrecht Dürer, Navis Stultorum (in S. Brant, Narrenschiff - 1497)
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giovedì 20 aprile 2017

Salvini a Como: contro il principio di realtà e contro la logica

È un esercizio vano, analizzare le esternazioni di un politicante? Probabilmente sì. Abituati come sono a farsi applaudire da masse acritiche, certi personaggi girano il Paese proponendo slogan senza grande fondamento nella realtà effettuale, ma capaci di suscitare emozioni utili a condizionare le menti deboli. Quando però vengono a casa tua a farlo, la grossolanità della cosa ti colpisce più direttamente, anche se sai che è pura propaganda slegata dai fatti. Il capo della Lega plana su Como per la campagna elettorale del “suo” candidato sindaco. Più “suo” che dell’intero centrodestra, a giudicare dall’attivismo confusionario ma chiassoso con cui la Lega cerca di accreditarsi come una soluzione per la città, pur arrivando da cinque anni di opposizione totalmente inconcludente, in pratica poco più che schiamazzi contro le presunte “invasioni” straniere.
Salvini ovviamente deve coprire le profonde debolezze progettuali della sua fazione politica, e perciò parte all’attacco, con dei punti davvero qualificanti (seguono citazioni testuali):
  1. La città è tornata indietro invece di andare avanti […] la sicurezza è peggiorata in maniera impressionante […] sembra un quarto mondo.
  2. Non voglio parlare degli altri (sic) ma certamente la scelta di un candidato che appare estraneo al mondo del centrosinistra sembra dire che questi partiti si vergognano di loro stessi.
  3. Sanno di non aver fatto niente e arrivano questi pseudo imprenditori che saltellano da destra a sinistra e avendo i soldi pensano di convincere i comaschi a dimenticare gli ultimi cinque anni.
  4. Nel 2012 siamo stati puniti giustamente, ma ne sono seguiti anni di niente
  5. Abbiamo una squadra rinnovata al 99%, idee chiare e un candidato che tutti conoscono.
  6. II fatto che non abbia un'esperienza politica può anche rivelarsi utile se, come sta avvenendo, è circondato da alcune persone che invece conoscono la realtà dell'amministrazione.
C’è una sola frase vera tra le sei. L’avete trovata? È l’ultima: infatti l’inesperienza politica non è necessariamente un male, anzi può consentire un rinnovamento e una prospettiva di rilancio per una realtà cittadina che deve affrontare i suoi tanti problemi, sempre che sia accompagnato da una squadra esperta. Incidentalmente l’affermazione è valida anche per il competitor del centrosinistra, che a giudizio di chi scrive ha una visione assai più interessante e lungimirante rispetto alla parte avversa, la quale mira di fatto a una cosa sola (sempre Salvini dixit): “riprendersi” la città, un termine che è rivelatore dello spirito di servizio alla base del progetto.
Peccato però che il punto 6 entri in rotta di collisione logica con il 5: Salvini rivela qui la propria (prevedibile) inadeguatezza matematica, dato che un rinnovamento al 99% dovrebbe eliminare in pratica la totalità della vecchia classe dirigente della destra comasca. Questa, al contrario, ha pilotato l’operazione di designazione del candidato dall’alto, con accordi politici di vertice; inoltre molti suoi esponenti già ammiccano dai manifesti elettorali e finiranno per riempire anche le liste, dato che il voto di quell’area conta poco sul coinvolgimento della “base” e molto invece sul patronaggio politico. È prevedibile che l'effettiva capacità di accreditamento nei confronti delle categorie sociali determinerà gli esiti del confronto tra i due veri contendenti nella competizione comasca, comprimari a parte; anche se la destra ha il problema di dover fornire qualche concreta garanzia di rinnovamento, nel segno della competenza, ed è qui che incontra reali problemi ad andare oltre il mugugno. Sarà sufficiente, per chi ha condotto l'opposizione nel modo più inconcludente (con l'unico esito di costringere il consiglio comunale a sedute-fiume anche per l'approvazione dei provvedimenti più semplici), convincere l'area moderata di possedere le capacità millantate (ma già allora esaurite) nell'era-Bruni e tragicamente risoltesi nelle voragini e nella paralisi della macchina comunale che Lucini ha poi faticosamente cercato di rimettere in moto?
Quanto agli altri punti, si tratta né più né meno che di un consueto rosario di falsità ed esagerazioni inanellate l'una sull’altra: alla sconfitta elettorale sarebbero seguiti anni “di niente” dell’amministrazione cittadina, cosa che i Comaschi sanno (e vedono) non essere affatto vera. PGT, Trevitex, Villa Olmo, raccolta differenziata, rete di sostegno sociale strenuamente difesa, riqualificazione di aree importanti nel centro e in periferia, promozione del turismo con numeri record, ecc. ecc. stanno a dimostrarlo. Non c’è ovviamente peggior cieco di chi non vuol vedere, e quindi riconosciamo inutile l’impresa di contrastare la propaganda negativa con la quale del resto le destre europee cercano sempre di influenzare l’opinione pubblica. Lasciamoli al loro catastrofismo farlocco, senza ovviamente nasconderci le molte questioni lasciate aperte dalla giunta uscente che andranno riportate nell'agenda politica dei prossimi anni.
Se le capacità logiche e il rispetto della realtà latitano, la finezza espressiva di questo piazzista del nulla invece merita un minimo di considerazione. Risulta quasi divertente, e anche un po' patetico, che un parlamentare europeo mai conosciuto per particolare produttività, essendo invece totalmente impegnato a girare l’Italia sputando sentenze contro gli avversari politici, dia dello “pseudo imprenditore” a chi ha una non breve storia di successi professionali, questa sì, in grado di certificare qualche capacità che possa essere messa a servizio della città.
Che “coi soldi” si possa far dimenticare qualcosa ai Comaschi è un'altra palese assurdità, anche perché come detto non c'è nulla da nascondere sul recente passato amministrativo, che andrebbe solo conosciuto meglio. Tante realizzazioni (alcune non adeguatamente comunicate), qualche errore e varie opere in corso richiedono di essere valutate per quello che sono, non per le calunnie interessate di una parte.
Che i partiti del centrosinistra, in particolare il Partito Democratico, debbano vergognarsi di qualcosa è una vera e propria scemenza, da respingere al mittente; che essi debbano riflettere su eventuali errori per correggerli è senz'altro opportuno, ma tra questi non rientra certo l'avere selezionato il proprio candidato con la partecipazione popolare delle primarie, né la disponibilità al dialogo con tutte le forze politiche europeiste, non xenofobe e antirazziste, interessate a rilanciare la città nei prossimi dieci anni, e nemmeno l'avere promosso la partecipazione di circa duecento cittadini nella redazione del programma che è in corso in questi giorni.
Queste sono differenze autentiche, da rivendicare e sulle quali invitare tutta la cittadinanza a una riflessione e a una scelta ponderata: da un lato c'è una politica intesa come partecipazione, aperta all'ascolto e alla progettazione del futuro della città. Dall'altro, come Salvini è venuto a insegnarci, soprattutto polemiche inconcludenti, determinate dalla volontà di ricostruire meccanismi di potere logori e antiquati, ispirati a visioni parziali e divisive e da un “professionismo della paura” che sta producendo disastri (autentici) per la convivenza civile in Europa. E Como è molto, molto più avanzata di come una destra reazionaria (e, nonostante qualche camuffamento, per nulla moderata) la vuole rappresentare.


giovedì 5 aprile 2012

Elezioni a Como e buon senso latitante

"Il buon senso è la cosa meglio ripartita nel mondo: ciascuno, infatti, pensa di esserne ben provvisto". L'aforisma di Cartesio torna alla mente nel momento in cui si contempla il panorama davvero inusuale delle liste che si presentano a Como alle prossime elezioni. Hanno raggiunto la cifra di 24, con 16 candidati sindaci, solo un paio dei quali ha un'alleanza di liste a suo sostegno. Sembra il trionfo dell'individualismo politico.
È un segnale incoraggiante o preoccupante? È assai probabile che il fallimento totale dell'amministrazione uscente abbia stimolato la volontà di tante persone ad impegnarsi direttamente, e questo, in astratto, sarebbe un bene per la democrazia e la partecipazione, pur prescindendo dalle competenze effettive di ciascuno.
Ma quali possibilità concrete hanno tali liste di arrivare al governo della città? Perché non hanno saputo convergere, almeno a gruppi, su di un progetto comune, rafforzando così le probabilità di essere rappresentate in consiglio?
Temo che la risposta stia soprattutto nel male, sempre più diffuso in questi anni, dei personalismi senza freno. La stagione appena conclusa ne è stata ricca, culminando infine nella clamorosa spaccatura che ha riguardato l'ex partito di maggioranza. Si è dunque imparato qualcosa dal passato? Pare proprio di no.
Semplifichiamone gli esiti: se 10 liste raccogliessero ciascuna il 2,5% dei consensi, queste resterebbero tutte escluse dall'assemblea, col risultato che un quarto dell'elettorato non sarebbe minimamente rappresentato. Ciascuno naturalmente pensa e spera: "capiterà agli altri, ma non a me". Ma è saggio tutto ciò? E se anche molte di queste liste ce la facessero ad entrare, per il rotto della cuffia, quale sarebbe il quadro risultante? L'opposizione divisa in innumerevoli gruppi di un solo membro, ciascuno dei quali, per ottenere visibilità, prenderebbe la parola su tutto, moltiplicherebbe le istanze e gli ordini del giorno, rendendo lo svolgimento dei lavori più difficoltoso che mai?
Forse, se il buon senso dei candidati non ha avuto il sopravvento nella fase di costruzione dei progetti, toccherà affidarsi a quello degli elettori, sperando che almeno loro vogliano confermare l'assunto cartesiano.

mercoledì 28 marzo 2012

Personalismi di qua e di là

Pietro Vierchowod protesta, dopo la recente presentazione della lista civica a sostegno di Mario Lucini: «perchè chi ha perso le primarie si sente in dovere di fare una personale lista in appoggio al candidato ufficiale? Non sarebbe meglio che questi signori facessero la campagna elettorale per il proprio candidato, senza cercare consensi personali? La risposta si trova nel fatto che questi candidati cercano solo di far valere il proprio potere in sede di nomine in Consiglio Comunale. [...] i cittadini si renderanno conto del gioco che stanno facendo questi signori, vecchi nomi della vecchia politica che hanno rovinato Como».

Sarà anche così. Però: perché altre forze vive della città, ma con un seguito prevedibilmente modesto, sentono il bisogno di fare la propria lista personale, senza aver avviato per tempo un percorso di confronto e di condivisione sulle cose da fare, dando per scontato che "questi signori" sono tutti "vecchi" senza neppure essersi fermati a parlare? Neppure io sono particolarmente entusiasta del proliferare di liste, specie dopo un processo che aveva una sua chiara logica, come le primarie, e difatti mi candido nella lista PD, per quanto personalmente mi costi. Tuttavia la democrazia è anche e soprattutto questo: cittadini liberi che fanno le loro scelte in base alla loro coscienza (almeno per alcuni è così) e si sottopongono al giudizio di un elettorato libero. Per evitare di confondere quest'ultimo, sarebbe forse stato bene che tutti i soggetti (ripeto, tutti) avessero saputo avviare un percorso di semplificazione e di integrazione mettendo da parte il vero male di questi anni: i personalismi, l'incapacità di ascoltarsi. Se così non è stato, necessariamente la parola passa alle urne. Buona fortuna a tutti quelli che hanno davvero a cuore il bene della città.

lunedì 19 marzo 2012

Como non crederà alle panzane [?]

«Mосква слезам не верит» («Mosca non crede alle lacrime»). Il famoso detto russo viene alla mente leggendo il resoconto fatto da un quotidiano locale della serata di presentazione dei lavori per il programma del centosinistra. La prevedibilissima delusione è sintetizzata nel titolo: “La Como luciniana che bandisce sogni e colpi di scena”.
Eh, già. Niente fuochi d'artificio. Forse, di fronte ad una realtà durissima, che l'opposizione denunciava e preannunciava da anni (ma allora era tacciata di disfattismo), comincerà una buona volta una nuova era per la città? «Como non crede alle balle», potrebbe ormai essere il nuovo slogan.

martedì 14 febbraio 2012

Como: guardare al futuro

C'è un punto in particolare, nella lettera di Gianstefano Buzzi recentemente ospitata dalla “Provincia”, che è da accogliere e condividere in pieno, e cioè il richiamo al senso di responsabilità individuale e collettiva necessario a salvare la città da una decadenza senza prospettive.
Quello che più importa è il futuro e la capacità di attivare le migliori energie sui temi dello sviluppo, non c'è dubbio. E il fatto che appaiano sulla scena tante ipotesi di liste più o meno “civiche” è anche il segnale di un possibile slancio di partecipazione diffusa, di una volontà di cambiare che è condivisa dalla maggior parte dei Comaschi. Con un rischio, lo dico subito: quello di produrre frammentazione, di disperdere energie o addirittura di contrapporre in modo poco produttivo le esperienze e le capacità di molti, scimmiottando a volte i lati peggiori della politica nazionale: gazzarre, cortine fumogene, esaltazione di problemi minuti oltre la loro reale portata, ideologie tirate in ballo a sproposito, eccetera. Purtroppo le campagne elettorali rischiano di accentuare aspetti deteriori della legittima competizione, e di vanificare gli appelli alla collaborazione tra quanti sono sinceramente animati dal desiderio di fare qualcosa di buono per la loro comunità, pur provenendo magari da prospettive differenti. E dovrebbe essere l'impegno di tutti i candidati quello di condurre il confronto sempre sul piano della proposta, mai della rissa.
Sinceramente mi auguro che ci possa essere la capacità di tutti i soggetti, oltre che di mettersi in gioco, anche di voler trovare un modo di confrontarsi che possa vicendevolmente arricchire le proposte, e porre le basi di una possibile sinergia futura, senza necessariamente annullare le differenze. Giustamente è stato detto che il futuro Consiglio comunale non dovrà avere una natura frammentaria, non ridursi a teatro di quei personalismi piccoli e grandi i quali hanno sin qui nuociuto gravemente alla politica comasca, e che dovrà recuperare un alto profilo istituzionale. Aggiungo che l'Amministrazione dovrà esprimere visibilmente e nei fatti – non solo a parole – una capacità di relazione costante con tutte le forze sane e attive della città, con le esigenze primarie dei cittadini e con un associazionismo che è tra noi ancora vitale e propositivo.
Le energie a Como ci sono, e in tanti, ogni giorno, ne facciamo esperienza. Ma occorre sapere non respingerle e non mortificarle. Per questo la via maestra per costruire relazioni, non solo tra partiti ed esperienze civiche, ma con tutte le componenti della città è rappresentata dell'ascolto, dalla disponibilità all'incontro, ad accogliere il punto di vista dell'altro per confrontarlo con le proprie visioni e per elaborare progetti quanto più possibile condivisi.
Personalmente, ritengo un segnale incoraggiante il fatto che Mario Lucini, avendo iniziato per tempo un cammino di proposta alla città, non intenda tirarsi indietro di fronte al confronto con nessuno. Ed il confronto tra le decine e decine di persone che stanno partecipando ai gruppi di lavoro sul programma mi sembra il segno di un metodo di partecipazione che si potrà non condividere, ma è almeno più genuino e più significativo di molte ricette calate dall'alto.
Sono certo che una simile disponibilità non potrà se non favorire l'incontro tra le forze economiche, professionali, sociali e culturali della nostra città. Sempre che si tratti non di “alleanze strategiche”, ma di una condivisione di percorsi. Di rivolgere lo sguardo alle soluzioni, e non alle poltrone.

sabato 2 luglio 2011

Lamentarsi o agire?

Sono sempre più frequenti le lettere e i discorsi che testimoniano la profonda insoddisfazione dei cittadini per l'amministrazione comasca, le cui cause sono sotto gli occhi di tutti. Non di rado, la conclusione si riassume in una previsione comprensibile, ma inquietante: la prossima volta, queste persone non si recheranno a votare.
In democrazia, un tale atteggiamento è certamente rispettabile. Ma è anche razionale? Se voglio dare una lezione a chi ha governato male, non posso farlo semplicemente disertando le urne: infatti, questo non gli impedirebbe affatto di essere rieletto e di continuare come prima. I mugugni, da soli, non gli saranno graditi, ma non producono alcuna conseguenza pratica sul suo operato.
Perché allora si dovrebbe rinunciare a priori a sperimentare un'alternativa? È ovvio che non ci siano garanzie totali di un buongoverno futuro semplicemente cambiando gli uomini, ma forse qualcuna in più rispetto a chi ha profondamente deluso. Come posso essere assolutamente sicuro che in città non vi siano altre energie, altre competenze, altri programmi, capaci magari di lavorare per un suo rilancio? Forse credendo ancora alla propaganda interessata di coloro che ho visto portare la città al degrado? Concedendo loro la possibilità di essere riconfermati al potere dai loro clienti e dalle loro “truppe cammellate”, anche se non più da me? Sarebbe proprio un bel modo di punirli per l'incapacità di cui hanno fatto mostra!

martedì 31 maggio 2011

L'alternanza come arma

Sembra dunque che dovremo “pregare il buon Dio” perché ci protegga dalle catastrofi che, a dire di qualcuno, i risultati delle urne produrranno. Che paura! Ma in realtà, questo voto non è stato l’espressione di una delusione diffusa? Da parte sia di strati popolari, sia borghesi, che evidentemente si sono stufati di sentir promettere cambiamenti miracolosi, trovandosi poi di fronte a mere enunciazioni, a rinvii e a manovre ossessive per tutelare interessi particolarissimi, anche e soprattutto processuali, che con il bene del Paese avevano poco a che fare?
Non si è avuta l’impressione che la riconferma fosse stata chiesta, da alcune parti, soprattutto per continuare a spartirsi poltrone e affari, per tutelare interessi non sempre trasparenti? Per gestire tutto come prima, infischiandosene dei numerosi errori, anche se (a parole) tardivamente riconosciuti?
In fondo, la sostanza della democrazia è tutta qui: se mi hai deluso, se non hai mantenuto gli impegni, ti rimando a casa. Da cittadino, non posso pretendere l’assoluta perfezione degli amministratori, ma un minimo di onestà e di qualità sì. E ho un’arma, quella dell’alternanza di governo, che è la forma meno inefficace di controllo e insieme, per un politico, il migliore stimolo a cambiare registro, in meglio qualora ne sia capace.
Un’arma pacifica che i cittadini dovrebbero sempre preferire all’acquiescenza, al sonno, all’indifferenza, alle morte ideologie, valutando i candidati più che le alleanze. Nel loro esclusivo interesse.

domenica 24 aprile 2011

Una poltrona non basta?

Ogni volta, si spera che il tasso di malcostume della politica italiana diminuisca almeno di un poco. E invece no. Anche alle prossime amministrative assisteremo al fenomeno delle candidature ad incarichi multipli, le quali, se non in linea di diritto, sono sicuramente incompatibili con il rispetto del buon senso e dell'intelligenza dell'elettorato. Come potrebbe un presidente del consiglio in carica garantire che trascorrerà, da eletto, qualche minuto almeno nel consiglio comunale al quale sfacciatamente si propone? E se lo fa nel capoluogo della nostra regione, dicendoci addirittura che si tratta di “un onore per la città e per la Lombardia intera”, i milanesi dovrebbero sentirsi presi in giro in misura maggiore o minore rispetto agli altri cittadini italiani? Il fatto che egli si sia presentato ubiquamente già innumerevoli volte, senza mai mantenere le promesse, non lo squalifica abbastanza? E gli elettori votano un candidato in base alla sua presunta capacità di lavorare per la comunità che lo sceglie, oppure in base alla simpatia, ai metri di manifesti, al numero di altre poltrone occupate, ai miti di cui si circonda?
Evidentemente, le prove elettorali sono sempre più diventate un (costoso) test sugli standard minimi di intelligenza del cittadino italiano, il quale, se non capisce un'incongruenza tanto gigantesca, è veramente pronto a bersi ogni sorta di fandonie. Forse è la condizione ideale per ogni dominatore di pecoroni, ma è altresì un preoccupante segnale di allarme per ogni democrazia sana.
Non consola che anche qualche altra parte politica presenti tipi disinvolti, come l’attuale consigliere regionale Cevenini a Bologna che, per quanto conosciuto come persona seria, figura tuttavia come capolista al Comune e non avverte il bisogno di annunciare un'opzione per l'una o l'altra poltrona. Senza rendersi conto che, in questi casi, mal comune non è certamente mezzo gaudio.

giovedì 4 marzo 2010

Liste, pasticci e arroganza

Dopo che per più volte, nelle precedenti elezioni, le regole di presentazione delle liste non sembravano aver creato problemi, una certa politica scopre improvvisamente che queste sono ingombranti “orpelli” e che uccidono la democrazia, determinando l'esclusione di coloro che non sono stati capaci di consegnare gli elenchi nei tempi e modi previsti dalla legge. Da notare, per inciso, che tali leggi sono state volute non da altri che dalla politica stessa, e che non sembra segno di particolare intelligenza rivolgere l'accusa di complottare a chi, semplicemente, ha il compito – anzi, l'obbligo - di farle rispettare.
Assistiamo addirittura al paradosso di chi contesta la competenza di una commissione, e nel contempo le intima con accenti non proprio cortesi di procedere ad una nuova verifica delle firme delle altre liste. Compaiono infine anche altri personaggi che, con grande senso della misura e del ruolo istituzionale ricoperto, si dicono “pronti a tutto” (ci è consentito di provare qualche brivido?).
Certo, si ha il diritto di convocare le piazze, non si capisce se per manifestare più il proprio sconforto o il proprio dissenso, ma è con simili azioni che si trasforma il torto in ragione?
È sensato auspicare che si trovi una soluzione politica condivisa a un tale pasticcio, ma non si può fare a meno di notare che i toni usati dagli esponenti del ceto politico coinvolti sono improntati non all'autocritica, quanto all'arroganza e allo scaricabarile. Il fine non è forse quello di celare, ancorché goffamente, un'evidente incompetenza, tanto più grave se manifestata da professionisti della politica? Non si cerca poi con ogni mezzo di non pagare le serie conseguenze del proprio errore, diversamente da quanto capita ai comuni cittadini?
Non sono, insomma, le forme di un copione ben noto (anche troppo!) a noi comaschi, come ha dimostrato tra l'altro la recente gestione del “muro della vergogna” lungo il nostro lago?

sabato 4 aprile 2009

Evviva il protagonismo

Bisogna riconoscerlo: Berlusconi ha vinto un'altra volta. Se non già sul piano dei risultati elettorali, su quello del metodo. È noto che egli intende presentarsi capolista in molti, forse tutti i collegi alle elezioni europee, pur nella certezza di non poter svolgere il mandato nel parlamento dell'Unione neppure per un giorno. Il principio, che agli ingenui come il sottoscritto appare incontestabile, per cui candidarsi in questo modo equivale ad una distorsione del sistema democratico, ad una presa in giro degli elettori (si tratti di candidati di destra o di sinistra) è però contestato anche da due paladini dell'antiberlusconismo, che mostrano di essere fin troppo simili all'oggetto delle loro reprimende.
Di Pietro e Vendola, certi come sono di non poter passare a Strasburgo o a Bruxelles più di un week-end turistico, non per questo si astengono dall'annunciare a loro volta la propria candidatura, prima ancora di formulare programmi o scelte strategiche. A leggere le motivazioni di Vendola, poi, c'è da restare di stucco: questi esalta la “personalizzazione” e l'”americanizzazione” della politica ed afferma che “il tema delle incompatibilità non può pregiudicare le prerogative della politica”, che le contestazioni sono “incomprensibili” e che lui è uscito dalla sua vecchia casa comunista proprio “per non rimanere prigioniero di un mondo in consunzione”.
Bel rinnovamento, non c'è che dire. Se questi marpioni della politica, di sinistra e di destra, non hanno la decenza di capire la portata della questione e di agire di conseguenza, significa che si permettono tranquillamente di considerare l'elettore un imbecille, beninteso nel senso letterale di “debole di comprendonio”. Saremo capaci noi cittadini, tramite l'esercizio consapevole della nostra scelta, di dimostrare con i fatti di non essere così malridotti?