Albrecht Dürer, Navis Stultorum (in S. Brant, Narrenschiff - 1497)
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lunedì 3 novembre 2014

CoCoCo 2014-10: Senso di responsabilità e senso di umanità

Ritengo molto grave quanto è stato dichiarato, dopo la sentenza in appello sulla morte di Stefano Cucchi, da Gianni Tonelli, segretario del sindacato di polizia Sap: «Bisogna finirla di scaricare sui servitori dello Stato le responsabilità dei singoli. Se uno disprezza la propria salute e conduce una vita dissoluta, ne paga le conseguenze». Parole inquietanti che finiscono per generare un senso di perplessità e anche di paura, proprio perché pronunciate da un servitore di quello stesso Stato di cui anche io in modo diverso sono un servitore.
Al di là dello sgomento generato dalla sentenza, che non mi permetto di commentare, ma che non avendo dato soluzione al caso rappresenta un obiettivo fallimento delle istanze di giustizia che reggono uno stato democratico, i termini del commento sopra riportato sono doppiamente inaccettabili.
In un grottesco tentativo di sollevare sempre e comunque da qualsiasi addebito i servitori dello Stato, si afferma la presunta responsabilità di chi è stato invece, con tutta evidenza, vittima di una violenza inumana. Contro simili storture va ribadito con forza che il principio della responsabilità individuale continua a valere per tutti: anche chi eserciti violenza su chi è in stato di fermo non può e non deve sottrarsi ai rigori della legge. Ciò a tutela dei cittadini, ma anche e soprattutto della assoluta maggioranza dei tutori dell'ordine che operano con coscienza e professionalità, e che non meritano di essere lesi nell'immagine da eventuali comportamenti illegali di qualche appartenente alla categoria: esattamente come avviene per tutte le altre categorie professionali. È dunque una ben squallida difesa, quella di chi dice in sostanza che quella tragica fine Stefano Cucchi se l'è andata a cercare. Giustificare in qualche modo la morte di chi si sarebbe messo su una “cattiva strada”, nel momento in cui questo delitto rimane impunito, è un'aberrazione che suscita sdegno e orrore in chi ha, non dico una solida coscienza democratica, ma almeno un poco di sensibilità umana.

giovedì 26 settembre 2013

Quanta (vergognosa) pochezza!

COLPO DI STATO? A volte il servilismo dà alla testa...
Schifani e Brunetta: "La definizione di 'colpo di Stato' non è inquietante ma è invece assolutamente realistica e pienamente condivisibile". Tutto perché un politico corrotto è stato giudicato colpevole dopo tre gradi di giudizio (e innumerevoli prescrizioni in processi bloccati con leggi ad personam).
Le dichiarazioni di queste ore sono una perfetta autovalutazione del livello umano, morale e politico di parte non esigua, purtroppo, della nostra classe dirigente. Una completa mancanza di dignità che ci espone una volta di più al disprezzo dei paesi civili, ove lo stato di diritto è considerato cosa sacra, non "cosa nostra".
Questa o è la solita farsa, o è grossolana, colpevole, eversiva (questa sì) ignoranza istituzionale, che si dovrebbe aver vergogna a mostrare, e che invece si ostenta con l'arroganza di un gregge impazzito.

giovedì 5 settembre 2013

Ricattatori "in nome del popolo" e della "democrazia"?

Ma tutti gli Italiani, e gli elettori, saranno davvero senza vergogna come coloro che passano settimane e settimane a ribadire che un condannato in terzo grado non deve decadere dal parlamento perché "votato da 10 milioni di Italiani", e a ricattare un paese in estrema difficoltà con la minaccia di far saltare il governo?
Beh, sì, lo dico chiaro: in effetti, quando ho votato B., intendevo chiedere esattamente che venisse legalizzata la corruzione, favoriti l'evasione fiscale ed il falso in bilancio, e magari raccomandati il lenocinio, la prostituzione ed il prossenetismo.
Sono il popolo sovrano, non potete toccare i miei beniamini, non è democratico.
E non raccontatemi che le leggi vanno applicate per tutti, che viviamo in uno stato di diritto, perché non capisco il concetto.

mercoledì 14 agosto 2013

Professionisti dell'oltraggio alla certezza della pena

A proposito delle inverenconde richieste che i più accreditati azzeccagarbugli stanno formulando per annullare gli effetti di una sentenza giunta al terzo grado di giudizio: perché non osano estendere i portenti della loro scienza giuridica (quella che va sempre in senso opposto alla certezza del diritto) vincendo il ritegno e andando oltre?
Grazie a loro, i notiziari potrebbero, un giorno non lontano, diffondere annunci del seguente tenore.
Pare che per gli Italiani (solo per loro, forse neppure per tutti) sia stato finalmente attuato il procedimento per sfuggire alla morte, quando verrà il momento.
Si articola in due opzioni: 1) si chiede ed ottiene "la grazia", meglio se con strepito di tifosi; 2) si presenta ricorso al TAR, di cui è garantita l'azione paralizzante.
Per il momento non è chiaro se si ottenga effettivamente l'immortalità, oppure soltanto un rinvio sufficientemente lungo da ottenere l'"agibilità" a continuare una meschina esistenza.

sabato 3 agosto 2013

Minacce contro la giustizia

«O la politica è capace di trovare delle soluzioni capaci di ripristinare un normale equilibrio fra i poteri dello Stato - ha detto oggi Sandro Bondi dopo la condanna definitiva del suo capo Berlusconi - [...] oppure l'Italia rischia davvero una forma di guerra civile dagli esiti imprevedibili per tutti».
Davvero molto comodo minacciare in questo modo, specie dopo che per anni si è cercato in tutti i modi di alterare il "normale equilibrio" con caterve di leggi ad personam, peraltro incidentalmente utili anche a bancarottieri e mafiosi vari.
Italia mia, benché 'l parlar sia indarno a le piaghe mortali che nel bel corpo tuo sí spesse veggio, "le soluzioni" sono ben chiare agli occhi degli onesti. Corrispondono al semplice rispetto della legge, con la conseguente assunzione di responsabilità da parte dei condannati.
Oltre ad una seria riflessione politica su cosa siamo diventati.
Ma come rinunciare alla menzogna sistematica, all'uso della politica come mezzo di saccheggio del paese, e anche ad abbondanti dosi di cialtroneria e servilismo?
Questo nel nostro paese si è dimostrato impossibile, quindi avanti così: grida guerresche e minacce di scontri civili da parte di chi rivela quanto sia in realtà provvisto di senso civico e di rispetto per la giustizia.

venerdì 22 maggio 2009

I perseguitati

Gli studenti hanno il diritto di criticare le valutazioni date dagli insegnanti? Certamente, almeno tanto quanto gli imputati che nel nostro paese sono liberi di criticare i giudici dei propri processi. Ma proviamo a immaginare: e se qualche studente un po' scapestrato andasse oltre, cominciando anche a denunciare complotti orditi dai docenti nei suoi confronti? Definendosi perseguitato da coloro che applicano le regole a suo sfavore? Dichiarando ingiusta la stessa possibilità di un'eventuale bocciatura? Pieni di comprensione per le sue disgrazie, non vorremmo magari concedergli di riscrivere le norme a suo piacimento, di scegliersi un collegio di valutazione più compiacente, di fare e disfare l'istituzione scolastica come più gli aggrada? O piuttosto non saremmo portati a considerare tale atteggiamento come un misero trucco per coprire le proprie effettive manchevolezze e responsabilità?
Spero che le ennesime, recenti piazzate dell'“uomo più perseguitato d'Italia” (come lo ha definito un suo sostenitore), volte a gettare fango sulla magistratura e insieme a svuotare il Parlamento di una piena legittimità, in quanto “inutile e controproducente”, non inducano simili progetti nella mente di qualche nostro futuro allievo. La possibilità di abusi di potere, ovviamente, non si può mai escludere. Ma quando, ogni volta che ci vien dato torto da chi ha le competenze professionali per farlo, con una rigorosa applicazione delle procedure, gridiamo al tentativo di “farci fuori”, è forse più plausibile pensare ad un grossolano tentativo di sviare l'attenzione e di delegittimare chi è preposto al giudizio. Come farebbe un qualsiasi Gianburrasca, ammiccando al “popolo” in campagna elettorale: ce l'hanno con me, che dopotutto sono “uno di voi”.
Sia ben chiaro, peraltro, che in questi frangenti la tesi della sua innocenza mi ha definitivamente conquistato, ma per tutt'altre ragioni. Quest'uomo infatti l'ha più volte dichiarata con solenni giuramenti sulla testa dei propri figli. Ora, dato che non si è mai visto spalancarsi alcun abisso infernale per inghiottire i poveretti, ogni cittadino di buon senso concluderà con me che questo è un argomento ben più conclusivo di quelli che si esaminano nelle aule di giustizia...

martedì 1 luglio 2008

Berlusconi come Socrate v 2.0: punto e daccapo

Già nell’estate del 2002 accoglievo con qualche perplessità la notizia che l’Apologia di Socrate venisse rappresentata in varie città italiane a cura di Marcello Dell’Utri, e fosse stata proposta anche ad un corso di formazione di Forza Italia a Gubbio. In un primo tempo mi era venuto in mente che forse un più opportuno testo classico di riferimento sarebbe stato l’Encomio di Elena di Gorgia. Su una posizione antitetica a quella di Socrate, i sofisti infatti sapevano come trarre d’impaccio, con le loro argomentazioni, anche gli imputati meno difendibili...
Ma presto mi sono riavuto dall’ingenuo stupore, pensando che i semi gettati nell’animo dei convenuti, per giunta in una terra di lupi convertiti, avrebbero prodotto di certo buoni frutti col passare del tempo. Oggi, a distanza di sei anni, e di fronte a norme “blocca processi”, non ne sono più sicuro, anzi mi confermo nell’opinione che – fossimo in un paese normale – questi tentativi scivolerebbero nella farsa, nel disgusto generale. Invece sono serissimamente sostenuti con effetti tragici, più che comici, per chi abbia un minimo senso comune della giustizia. L’esito del voto di aprile (sacro, intangibile, e una volta tanto a prova di brogli) porta alla logica conclusione che questo in Italia non è merce molto diffusa, o è comunque barattato con il primo piatto di lenticchie.
Quello però che appariva più interessante nell’operazione culturale era la manifesta volontà di istituire un paragone tra la figura del filosofo ateniese, primo grande “perseguitato politico” della storia, e gli imputati nei noti processi in corso (forse ancora per poco). Tanto più che lo stesso Dell’Utri – nel frattempo condannato – dichiarava di stare “bevendo la sua cicuta goccia a goccia”.
Un parallelismo toccante, non c’è dubbio, che ieri come oggi fa nascere istintivamente il desiderio di difendere i “buoni” dalle prepotenze dei “cattivi” magistrati. Poiché di animi generosi in Parlamento se ne trovano in quantità (ivi portati da una legge giusta e santa), ecco che si spiega la fioritura di iniziative legislative in soccorso dei perseguitati nello scorso mandato del centrodestra, che non si può dubitare destinata a ripetresi al presente. Ma, contrariamente alle sospettose opinioni di un’opposizione per principio menzognera, si deve notare che questi raffinati intellettuali, sia pure al servizio del Principe, vogliono conformarsi allo spirito socratico. Lo fanno, ovviamente, a modo loro.
Cosa fa, infatti, il filosofo, di fronte alla possibilità di sottrarsi alla condanna con qualche sotterfugio? Immagina che le Leggi, personificate, gli rivolgerebbero un amaro rimprovero quale responsabile della loro dissoluzione e, insieme, anche della distruzione dei legami che reggono lo stato (Critone, 48b-51c). Ciò che il Greco antico individua immediatamente come male esecrabile e colpa che non può trovare perdono.
Dunque la legge va rispettata anche quando ti condanna: atteggiamento considerato nobile, nessuno ne dubita, anche agli occhi degli attuali governanti. Tuttavia essi devono ritenerlo ormai desueto, o almeno palesemente inadeguato a risolvere le necessità del popolo italiano e di un’epoca come la nostra, contrassegnata – come usa dirsi – dalla complessità. Servono strategie più raffinate, che sarebbero apparse incomprensibili alla mentalità ancora primitiva degli antichi. Pare perciò opportuno a questi politici cambiare le leggi che regolano i comportamenti e gli stessi processi, sinceramente convinti della specchiata bontà delle proprie azioni, che possono così diventare il nuovo parametro a cui conformare le regole: soprattutto in tema di conduzione dei processi, di snellimento delle procedure, di affari e di bilanci, cose rispetto alle quali il povero Socrate manifestamente era ignorante...
Temo però che quest’ultimo, con la sua fastidiosa insistenza, sarebbe andato più a fondo della questione. In ultima analisi, gli ardenti sostenitori di una “giustizia più giusta per tutti”, che si adoperano in Parlamento per promulgare leggi atte ad evitare tanti imbarazzi al loro leader, sono fermamente convinti di volere il suo bene. Anzi, di questo amore sono pronti a dare ripetute e sonore manifestazioni in ogni pubblica occasione.
Ecco così emersa la questione: evitare i processi è davvero un bene per Berlusconi (così come per chiunque altro)? La domanda certamente non è oziosa, almeno nel nostro paese, dove il non rispondere delle proprie azioni e “farla franca”, quando possibile, è considerato secondo i casi una positiva manifestazione di fortuna o di abilità personale.
L’anacronistico Socrate ha in verità compianto uomini provvisti di simili attitudini. Ritenuti all’esterno “realizzati” e felici, sembra invece che costoro siano le persone interiormente più miserevoli, in quanto deteriorano in modo irreparabile la propria dignità umana. Perciò risolvere in questa maniera i casi personali fa molto più male che bene ai presunti beneficiati, per tacere del danno arrecato all’ethos civile (Gorgia, 466a-472c).
Inoltre chi compie il male, e non si ravvede, perché non riconosce il proprio errore o anela a sottrarsi alle sue conseguenze con ogni mezzo, ha già in questa sua permanenza nell’errore il più severo dei castighi. Il suo è il destino più infelice: l’illusione offerta dall’ignoranza del bene. Com’è stato affermato in un altro contesto, non senza punti di contatto con la sapienza socratica, “cosa serve a un uomo guadagnare il mondo intero, se perde la sua anima”? Volere veramente il bene di qualcuno (come ad esempio un amico, un figlio) non può significare augurargli di eludere la responsabilità delle sue azioni; semmai dovrebbe essere il contrario. Chi – affetto a sua volta dal male – odiasse infatti un nemico, dovrebbe auspicare precisamente questo. Materia di riflessione, credo, anche per i partecipanti ai prossimi, rinnovati, girotondi...