Albrecht Dürer, Navis Stultorum (in S. Brant, Narrenschiff - 1497)

domenica 10 aprile 2011

La gara per respingere i profughi

Anche in Consiglio Comunale a Como si sono affacciate voci allarmate per respingere ogni ipotesi di accoglienza dei profughi nella nostra città. Non nei termini, comprensibili, del dubbio sull’agibilità di determinate strutture, bensì della minaccia di una sollevazione popolare tra gli abitanti dei quartieri interessati, di cui ci si propone come campioni. È iniziata la campagna elettorale, si penserà. E aggiungerei: nel peggiore dei modi. Ho provato una pena profonda nell’ascoltare lo spirito battagliero, degno di migliore causa, di chi neppure prova a sentire ragioni e si preoccupa solo di apparire il primo ad intestarsi un rifiuto preconcetto nei confronti di quei disgraziati, il cui destino tragico è sotto gli occhi di tutti.
Dichiarazioni, tanto nel piccolo di Como quanto nelle alte sfere ministeriali, che evidenziano un chiaro scopo: quello di compiacere gli istinti peggiori delle folle, di prospettare soluzioni semplicistiche e grossolane a problemi complessi, nel nome del rifiuto dell’umanità comune, dell’esaltazione degli egoismi, della negazione delle responsabilità. Prospettando il sogno irrealistico, ma suggestivo per le menti timorose, di potersi eternamente arroccare a difesa dei propri privilegi, escludendo i più deboli e presentandoli come una massa di criminali pronti a invaderci.
Le frasi che ci è toccato udire (föra di ball!) non sono estemporanee, ma vengono studiate con la cura di provocare il massimo danno possibile alla coscienza civile, la cui erosione da molto tempo non è più sotterranea, nascosta, ma è impunemente affiorata alla superficie, senza che neppure se ne provi vergogna, ma anzi rivendicando orgogliosamente un proprio diritto a dire frasi malvagie; fesserie, sì, ma che avvelenano giorno dopo giorno la coscienza dei cittadini. Tanto il capo “può permettersi di dire quello che vuole perché è il capo. Il capo è il capo e non si discute” (P. Stiffoni, senatore della Lega).
È un’opera di lungo termine, non è iniziata da ora, e da tempo ne vediamo i frutti perversi. Una volta scoperto che l’esaltazione del male ha un tornaconto elettorale, nessuno li trattiene più, ogni sparata è buona: non esitano a definire, con compiaciuto disprezzo, l’attaccamento ai valori più alti della civiltà occidentale “buonismo”. Sono arrivati ad esaltare la “cattiveria” come rozzo stile di gestione dei problemi e delle emergenze, e in effetti non è possibile fare altrimenti.
Come insegna S. Agostino, se non ci sforziamo di praticare la bontà, opera di per sé non semplice, impegnativa, che comporta sacrifici, non è che rimaniamo fermi dove siamo. Semplicemente scivoliamo indietro, regrediamo ad uno stato inferiore alla nostra dignità di esseri razionali. Ci adattiamo al male, lo facciamo divenire la nostra condizione abituale, diventiamo incapaci di riconoscere i nostri doveri di solidarietà umana e cristiana. Ha un bel dire la Cei che “serve una nuova stagione di inclusione sociale”, quando chi sta al potere naviga nella direzione diametralmente opposta. Peccato che, insieme, anche tutto il Paese scivoli inevitabilmente nel declino, avendo smarrito le proprie energie spirituali prima ancora che la competitività economica.
Poi, ipocritamente siamo anche capaci di sparare balle sull’opportunità di aiutare i profughi “a casa loro”. Ci rendiamo conto? Un governo che ha sistematicamente decurtato proprio le risorse per le organizzazioni non governative, riducendole al lumicino, dovrebbe avere la minima credibilità per realizzare un’operazione tanto complessa e impegnativa? Un esecutivo che scientemente evita di impiegare le risorse europee per il controllo delle migrazioni (come l’agenzia Frontex), per poter mantener alta l’emergenza senza dover sottostare ad obblighi comuni? La realtà è che si è unicamente preoccupati di spostare i problemi fuori dalla vista, utilizzandoli per speculazioni politiche e testimoniando dell’incapacità di risolvere pure quelli di casa propria nel segno del bene comune.
Questo veleno ha raggiunto pure Como, penetrando in profondità nel cuore di quanti si affannano a negare che esistano strutture per l’accoglienza dei profughi sul nostro territorio. Fatto grave, perché esprime, all’indomani delle celebrazioni dell’Unità, la negazione di una solidarietà rivolta in primis ai nostri concittadini italiani che sono in questo momento alle prese con l’emergenza sulla loro isola. A Como non ci sono posti? Sarebbe dovere di un’amministrazione capace di affrontare i problemi il predisporli: stiamo parlando di qualche decina di persone, non di una fiumana incontrollabile. Ma è evidente che gli egoismi, la logica del tornaconto, il conformarsi alla pancia dell’elettorato (concepito forse come peggiore di quello che è) portano in fondo proprio a questo: l’incapacità della gestione lungimirante e, alla fine, anche la perdita del controllo della gestione ordinaria.