Albrecht Dürer, Navis Stultorum (in S. Brant, Narrenschiff - 1497)

lunedì 8 novembre 2010

CoCoCo4 - Mozione di sfiducia al Sindaco - Intervento

1. So che può sembrare ingeneroso, in un momento difficile, che l'opposizione punti alla caduta del governo locale. Qualcuno, addirittura, nel dibattito di questi giorni, cerca di contrabbandare la presa d'atto del triste epilogo di una maggioranza che la nostra mozione costringe a considerare, come se fosse un atto di disaffezione alla città. Non è così, ovviamente, anche se di certo lo considero un passo grave. Per indole mi sentirei tendenzialmente portato a lavorare per costruire, per realizzare intese, anziché per abbattere, cercando “di conseguire le cose che contribuiscono alla pace e alla reciproca edificazione” (Rm 14, 19); e tuttavia non posso non chiedermi spassionatamente se il bene comune sia ancora perseguibile in queste condizioni, oppure se l'interesse della città non richieda a me e a tutti i presenti una scelta differente e coraggiosa.

Ci sono momenti in cui anche l'atteggiamento più conciliante e costruttivo deve arrendersi di fronte all'evidenza. L'evidenza che pone davanti ai miei occhi, in rapida successione, il “muro” a lago. La Ticosa. Il degrado urbano. La progressiva e costante riduzione dei servizi resi ai cittadini. Il continuo esplodere di dissidi interni alla maggioranza, forse legati a faide intestine, ma certamente dipendenti anche da uno stile di governo che non ha saputo sviluppare sinergie, ed ha al contrario indebolito la necessaria coesione fino a farla svanire.
Insomma, tappa dopo tappa, questa amministrazione potrebbe ripetere (e alla fine porre come proprio epitaffio) la più celebre frase dell'ex primo ministro russo Cernomyrdin, recentemente scomparso, che commentava una sua fallita riforma monetaria: "Avremmo voluto il meglio, è andata come al solito".

Di fronte a tale sfacelo non mi è sembrato casuale neppure il ricorso di alcuni degli interessati, in questi giorni, a controversi commenti a sostegno delle battute aberranti del presidente del consiglio: qualunque cosa è utile a creare occasioni diversive, a distogliere l'attenzione dai fallimenti, a far parlare d'altro, insomma. In sé, peraltro, le squallide vicende di questi mesi non meriterebbero particolari commenti, salvo, forse, richiamare l'epitome profetica di Giorgio Gaber che, già nel 1972, illustrava l'affermarsi di un soggetto in grado di far uso della propria libertà solo nella maniera più grossolana e misera ["sempre libero e vitale, fa l’amore come fosse un animale,/ incosciente come un uomo compiaciuto della propria libertà"]. Ma di questo, appunto, non mette neppure conto parlare oltre.

2. Una grande varietà di dichiarazioni ha comunque caratterizzato questi giorni - il consueto “polverone” politico che, come gli oroscopi o il gossip, tutti deprecano ma in tanti praticano, anche perché i giornali devono pur essere riempiti - producendo con non pochi enunciati e commenti un senso generale di evasività, di scarsa chiarezza. Proprio per questo non dobbiamo perdere di vista i tanti elementi reali di questa crisi, ed in particolare il suo fattore scatenante, che è d'altronde l'ultimo di una lunga serie. Così, di fronte alla rinuncia unilaterale e pretestuosa di Multi alla ricostruzione dell'area “Ticosa”,

I. Voglio esprimere il mio disappunto e la mia solidarietà alla nostra città umiliata, ferita per l'ennesima volta dalla combinazione tra decisioni improvvide e calcoli speculativi. Non certo perché attività ed edificazioni debbano essere condotte con spirito disinteressato dagli operatori che cercano legittimi margini di profitto, ma perché una sana amministrazione ha il dovere di predisporre le condizioni per cui le attività economiche vadano anche a beneficio di tutta la comunità.
Vorrei esporre questa partecipazione, ma purtroppo non posso farlo per tramite vostro.
Come infatti esprimere solidarietà a chi in questo momento ha la rappresentanza istituzionale della città, se è un'amministrazione che palesemente ha trascurato questo impegno?

II. Voglio domandare un chiaro impegno e una immediata soluzione a questo ennesimo pasticcio, che non è proprio un fulmine a ciel sereno. Da quando esplose la vicenda dell'amianto si è capito che il clamore dei festeggiamenti e dei fuochi d'artificio copriva in realtà l'improvvisazione e l'approssimazione, proprio dal punto di vista delle competenze tecniche e della capacità di previsione. I pretesti invocati da Multi si fondano esattamente sul protrarsi e l'acuirsi dell'indecisione politica di una maggioranza che ha tutti i numeri per governare, che li ha ottenuti millantando una superiore efficienza - di cui peraltro nessuno ha visto le prove in questi anni - ma che non ha saputo minimamente gestirli nella prospettiva dell'interesse comune.
Per questo avrei voluto chiedervi una soluzione e una prospettiva, ma come posso ragionevolmente farlo? Come aspettarsi soluzioni credibili e convincenti dopo tutte le ripetute prove di incapacità progettuale e le risposte dilatorie di fronte ai guasti provocati, come anche nel caso del “muro a lago” e dei “concorsi di idee”?

III. Avrei voluto, lo ripeto, portare una parola di incoraggiamento e di esortazione a riprendere il lavoro di fronte alla difficoltà, sforzandosi di far fronte comune, nell'interesse di Como, per superare questo momento critico. Credetemi, non gioisco affatto dei danni che si stanno determinando, destinati ad influire immancabilmente su una città in chiaro declino, bloccandone le prospettive di rilancio. Tutti gli impegni vanno rivolti a sanare queste contraddizioni apertesi negli ultimi anni, con priorità assoluta.
Ma, in coscienza, non posso neppure formulare questo appello. Non ora. Non in queste condizioni.
Chi infatti assumerebbe la guida di questo sforzo comune? Gli stessi che hanno prodotto il disastro sotto i nostri occhi? Rifiutandosi per giunta di riconoscere le loro responsabilità spinti dai calcoli elettorali, e anzi pretendendo, come hanno sempre fatto, di aver avuto ragione in ogni circostanza?

3. Purtroppo l'amore della verità in questo momento ci impone di denunciare pubblicamente che, se si è giunti a questa situazione, le responsabilità di questa amministrazione sono pesantissime. Le ragioni che causano un male difficilmente possono essere utilizzate come rimedio, sia pure in casi disperati. Sarebbe drammatico ostinarsi in un atteggiamento mutuato dall'epoca Thatcher, quel “fattore TINA” – there is no alternative – che dietro un apparente decisionismo aggiunge solo problemi a problemi. Per chi non fonda le proprie speranze su un vantaggio personale, le alternative si trovano: sarebbe bene per questa città uscire dall'inerzia e imparare a sperimentarle.

Non arrivo al punto di dire che le colpe stiano tutte da una parte. Non sarebbe opportuno, almeno nel caso di una vicenda complessa come quella Multi, e posso persino provare una certa comprensione umana (chiaramente non politica) nei confronti di un Sindaco che si è visto preannunciare, e poi crollare addosso, una decisione gravissima per il nostro futuro di cittadini. Ma proprio la ripetizione di questo copione - nelle scelte cui si è dato corso, perché bisognerebbe fare un bilancio inclusivo anche di quelle che sono rimaste sulla carta, come la metrotramvia - mi spinge a rintenere ormai giunto il tempo di terminare un'esperienza amministrativa fallimentare, il cui protrarsi farà più male alla città di quanto non ne farebbe il riportare la parola alle urne.

Nella vita delle persone, arrivano momenti in cui è opportuno, se non necessario, tracciare un bilancio delle proprie azioni, e soprattutto delle conseguenze che queste hanno determinato. Valutare con occhi limpidi se la rotta che si è tracciata conduce in una direzione costruttiva o se, viceversa, destina noi e coloro che da noi dipendono al naufragio. Signor Sindaco, questo è uno di quei momenti. Se ha veramente a cuore le sorti della città, rimetta il suo mandato. Dia a Como la possibilità di ripartire in un'altra direzione, con nuove forze, con nuovi mezzi. Sia Lei ad evitare a questo dibattito di concludersi con la conferma di una fiducia posticcia, che connoterebbe di ulteriore ipocrisia il periodo terminale, improduttivo e paralizzante della sua esperienza amministrativa. In questo senso il suo non sarebbe un gesto di rinuncia, di abbandono, né tantomeno di viltà. La situazione è bloccata; Lei ha la possibilità di fare uscire la città da questo stallo. Lo faccia, in nome del bene comune. Glielo chiede, serenamente, uno che è pronto, per queste stesse ragioni, a vedere concluso il proprio mandato di consigliere iniziato solo un mese fa.