
Albrecht Dürer, Navis Stultorum (in S. Brant, Narrenschiff - 1497)
lunedì 8 novembre 2010
CoCoCo4 - Mozione di sfiducia al Sindaco - Intervento
1. So che può sembrare ingeneroso, in un momento difficile, che l'opposizione punti alla caduta del governo locale. Qualcuno, addirittura, nel dibattito di questi giorni, cerca di contrabbandare la presa d'atto del triste epilogo di una maggioranza che la nostra mozione costringe a considerare, come se fosse un atto di disaffezione alla città. Non è così, ovviamente, anche se di certo lo considero un passo grave. Per indole mi sentirei tendenzialmente portato a lavorare per costruire, per realizzare intese, anziché per abbattere, cercando “di conseguire le cose che contribuiscono alla pace e alla reciproca edificazione” (Rm 14, 19); e tuttavia non posso non chiedermi spassionatamente se il bene comune sia ancora perseguibile in queste condizioni, oppure se l'interesse della città non richieda a me e a tutti i presenti una scelta differente e coraggiosa.
Ci sono momenti in cui anche l'atteggiamento più conciliante e costruttivo deve arrendersi di fronte all'evidenza. L'evidenza che pone davanti ai miei occhi, in rapida successione, il “muro” a lago. La Ticosa. Il degrado urbano. La progressiva e costante riduzione dei servizi resi ai cittadini. Il continuo esplodere di dissidi interni alla maggioranza, forse legati a faide intestine, ma certamente dipendenti anche da uno stile di governo che non ha saputo sviluppare sinergie, ed ha al contrario indebolito la necessaria coesione fino a farla svanire.
Insomma, tappa dopo tappa, questa amministrazione potrebbe ripetere (e alla fine porre come proprio epitaffio) la più celebre frase dell'ex primo ministro russo Cernomyrdin, recentemente scomparso, che commentava una sua fallita riforma monetaria: "Avremmo voluto il meglio, è andata come al solito".
Di fronte a tale sfacelo non mi è sembrato casuale neppure il ricorso di alcuni degli interessati, in questi giorni, a controversi commenti a sostegno delle battute aberranti del presidente del consiglio: qualunque cosa è utile a creare occasioni diversive, a distogliere l'attenzione dai fallimenti, a far parlare d'altro, insomma. In sé, peraltro, le squallide vicende di questi mesi non meriterebbero particolari commenti, salvo, forse, richiamare l'epitome profetica di Giorgio Gaber che, già nel 1972, illustrava l'affermarsi di un soggetto in grado di far uso della propria libertà solo nella maniera più grossolana e misera ["sempre libero e vitale, fa l’amore come fosse un animale,/ incosciente come un uomo compiaciuto della propria libertà"]. Ma di questo, appunto, non mette neppure conto parlare oltre.
2. Una grande varietà di dichiarazioni ha comunque caratterizzato questi giorni - il consueto “polverone” politico che, come gli oroscopi o il gossip, tutti deprecano ma in tanti praticano, anche perché i giornali devono pur essere riempiti - producendo con non pochi enunciati e commenti un senso generale di evasività, di scarsa chiarezza. Proprio per questo non dobbiamo perdere di vista i tanti elementi reali di questa crisi, ed in particolare il suo fattore scatenante, che è d'altronde l'ultimo di una lunga serie. Così, di fronte alla rinuncia unilaterale e pretestuosa di Multi alla ricostruzione dell'area “Ticosa”,
I. Voglio esprimere il mio disappunto e la mia solidarietà alla nostra città umiliata, ferita per l'ennesima volta dalla combinazione tra decisioni improvvide e calcoli speculativi. Non certo perché attività ed edificazioni debbano essere condotte con spirito disinteressato dagli operatori che cercano legittimi margini di profitto, ma perché una sana amministrazione ha il dovere di predisporre le condizioni per cui le attività economiche vadano anche a beneficio di tutta la comunità.
Vorrei esporre questa partecipazione, ma purtroppo non posso farlo per tramite vostro.
Come infatti esprimere solidarietà a chi in questo momento ha la rappresentanza istituzionale della città, se è un'amministrazione che palesemente ha trascurato questo impegno?
II. Voglio domandare un chiaro impegno e una immediata soluzione a questo ennesimo pasticcio, che non è proprio un fulmine a ciel sereno. Da quando esplose la vicenda dell'amianto si è capito che il clamore dei festeggiamenti e dei fuochi d'artificio copriva in realtà l'improvvisazione e l'approssimazione, proprio dal punto di vista delle competenze tecniche e della capacità di previsione. I pretesti invocati da Multi si fondano esattamente sul protrarsi e l'acuirsi dell'indecisione politica di una maggioranza che ha tutti i numeri per governare, che li ha ottenuti millantando una superiore efficienza - di cui peraltro nessuno ha visto le prove in questi anni - ma che non ha saputo minimamente gestirli nella prospettiva dell'interesse comune.
Per questo avrei voluto chiedervi una soluzione e una prospettiva, ma come posso ragionevolmente farlo? Come aspettarsi soluzioni credibili e convincenti dopo tutte le ripetute prove di incapacità progettuale e le risposte dilatorie di fronte ai guasti provocati, come anche nel caso del “muro a lago” e dei “concorsi di idee”?
III. Avrei voluto, lo ripeto, portare una parola di incoraggiamento e di esortazione a riprendere il lavoro di fronte alla difficoltà, sforzandosi di far fronte comune, nell'interesse di Como, per superare questo momento critico. Credetemi, non gioisco affatto dei danni che si stanno determinando, destinati ad influire immancabilmente su una città in chiaro declino, bloccandone le prospettive di rilancio. Tutti gli impegni vanno rivolti a sanare queste contraddizioni apertesi negli ultimi anni, con priorità assoluta.
Ma, in coscienza, non posso neppure formulare questo appello. Non ora. Non in queste condizioni.
Chi infatti assumerebbe la guida di questo sforzo comune? Gli stessi che hanno prodotto il disastro sotto i nostri occhi? Rifiutandosi per giunta di riconoscere le loro responsabilità spinti dai calcoli elettorali, e anzi pretendendo, come hanno sempre fatto, di aver avuto ragione in ogni circostanza?
3. Purtroppo l'amore della verità in questo momento ci impone di denunciare pubblicamente che, se si è giunti a questa situazione, le responsabilità di questa amministrazione sono pesantissime. Le ragioni che causano un male difficilmente possono essere utilizzate come rimedio, sia pure in casi disperati. Sarebbe drammatico ostinarsi in un atteggiamento mutuato dall'epoca Thatcher, quel “fattore TINA” – there is no alternative – che dietro un apparente decisionismo aggiunge solo problemi a problemi. Per chi non fonda le proprie speranze su un vantaggio personale, le alternative si trovano: sarebbe bene per questa città uscire dall'inerzia e imparare a sperimentarle.
Non arrivo al punto di dire che le colpe stiano tutte da una parte. Non sarebbe opportuno, almeno nel caso di una vicenda complessa come quella Multi, e posso persino provare una certa comprensione umana (chiaramente non politica) nei confronti di un Sindaco che si è visto preannunciare, e poi crollare addosso, una decisione gravissima per il nostro futuro di cittadini. Ma proprio la ripetizione di questo copione - nelle scelte cui si è dato corso, perché bisognerebbe fare un bilancio inclusivo anche di quelle che sono rimaste sulla carta, come la metrotramvia - mi spinge a rintenere ormai giunto il tempo di terminare un'esperienza amministrativa fallimentare, il cui protrarsi farà più male alla città di quanto non ne farebbe il riportare la parola alle urne.
Nella vita delle persone, arrivano momenti in cui è opportuno, se non necessario, tracciare un bilancio delle proprie azioni, e soprattutto delle conseguenze che queste hanno determinato. Valutare con occhi limpidi se la rotta che si è tracciata conduce in una direzione costruttiva o se, viceversa, destina noi e coloro che da noi dipendono al naufragio. Signor Sindaco, questo è uno di quei momenti. Se ha veramente a cuore le sorti della città, rimetta il suo mandato. Dia a Como la possibilità di ripartire in un'altra direzione, con nuove forze, con nuovi mezzi. Sia Lei ad evitare a questo dibattito di concludersi con la conferma di una fiducia posticcia, che connoterebbe di ulteriore ipocrisia il periodo terminale, improduttivo e paralizzante della sua esperienza amministrativa. In questo senso il suo non sarebbe un gesto di rinuncia, di abbandono, né tantomeno di viltà. La situazione è bloccata; Lei ha la possibilità di fare uscire la città da questo stallo. Lo faccia, in nome del bene comune. Glielo chiede, serenamente, uno che è pronto, per queste stesse ragioni, a vedere concluso il proprio mandato di consigliere iniziato solo un mese fa.
Ci sono momenti in cui anche l'atteggiamento più conciliante e costruttivo deve arrendersi di fronte all'evidenza. L'evidenza che pone davanti ai miei occhi, in rapida successione, il “muro” a lago. La Ticosa. Il degrado urbano. La progressiva e costante riduzione dei servizi resi ai cittadini. Il continuo esplodere di dissidi interni alla maggioranza, forse legati a faide intestine, ma certamente dipendenti anche da uno stile di governo che non ha saputo sviluppare sinergie, ed ha al contrario indebolito la necessaria coesione fino a farla svanire.
Insomma, tappa dopo tappa, questa amministrazione potrebbe ripetere (e alla fine porre come proprio epitaffio) la più celebre frase dell'ex primo ministro russo Cernomyrdin, recentemente scomparso, che commentava una sua fallita riforma monetaria: "Avremmo voluto il meglio, è andata come al solito".
Di fronte a tale sfacelo non mi è sembrato casuale neppure il ricorso di alcuni degli interessati, in questi giorni, a controversi commenti a sostegno delle battute aberranti del presidente del consiglio: qualunque cosa è utile a creare occasioni diversive, a distogliere l'attenzione dai fallimenti, a far parlare d'altro, insomma. In sé, peraltro, le squallide vicende di questi mesi non meriterebbero particolari commenti, salvo, forse, richiamare l'epitome profetica di Giorgio Gaber che, già nel 1972, illustrava l'affermarsi di un soggetto in grado di far uso della propria libertà solo nella maniera più grossolana e misera ["sempre libero e vitale, fa l’amore come fosse un animale,/ incosciente come un uomo compiaciuto della propria libertà"]. Ma di questo, appunto, non mette neppure conto parlare oltre.
2. Una grande varietà di dichiarazioni ha comunque caratterizzato questi giorni - il consueto “polverone” politico che, come gli oroscopi o il gossip, tutti deprecano ma in tanti praticano, anche perché i giornali devono pur essere riempiti - producendo con non pochi enunciati e commenti un senso generale di evasività, di scarsa chiarezza. Proprio per questo non dobbiamo perdere di vista i tanti elementi reali di questa crisi, ed in particolare il suo fattore scatenante, che è d'altronde l'ultimo di una lunga serie. Così, di fronte alla rinuncia unilaterale e pretestuosa di Multi alla ricostruzione dell'area “Ticosa”,
I. Voglio esprimere il mio disappunto e la mia solidarietà alla nostra città umiliata, ferita per l'ennesima volta dalla combinazione tra decisioni improvvide e calcoli speculativi. Non certo perché attività ed edificazioni debbano essere condotte con spirito disinteressato dagli operatori che cercano legittimi margini di profitto, ma perché una sana amministrazione ha il dovere di predisporre le condizioni per cui le attività economiche vadano anche a beneficio di tutta la comunità.
Vorrei esporre questa partecipazione, ma purtroppo non posso farlo per tramite vostro.
Come infatti esprimere solidarietà a chi in questo momento ha la rappresentanza istituzionale della città, se è un'amministrazione che palesemente ha trascurato questo impegno?
II. Voglio domandare un chiaro impegno e una immediata soluzione a questo ennesimo pasticcio, che non è proprio un fulmine a ciel sereno. Da quando esplose la vicenda dell'amianto si è capito che il clamore dei festeggiamenti e dei fuochi d'artificio copriva in realtà l'improvvisazione e l'approssimazione, proprio dal punto di vista delle competenze tecniche e della capacità di previsione. I pretesti invocati da Multi si fondano esattamente sul protrarsi e l'acuirsi dell'indecisione politica di una maggioranza che ha tutti i numeri per governare, che li ha ottenuti millantando una superiore efficienza - di cui peraltro nessuno ha visto le prove in questi anni - ma che non ha saputo minimamente gestirli nella prospettiva dell'interesse comune.
Per questo avrei voluto chiedervi una soluzione e una prospettiva, ma come posso ragionevolmente farlo? Come aspettarsi soluzioni credibili e convincenti dopo tutte le ripetute prove di incapacità progettuale e le risposte dilatorie di fronte ai guasti provocati, come anche nel caso del “muro a lago” e dei “concorsi di idee”?
III. Avrei voluto, lo ripeto, portare una parola di incoraggiamento e di esortazione a riprendere il lavoro di fronte alla difficoltà, sforzandosi di far fronte comune, nell'interesse di Como, per superare questo momento critico. Credetemi, non gioisco affatto dei danni che si stanno determinando, destinati ad influire immancabilmente su una città in chiaro declino, bloccandone le prospettive di rilancio. Tutti gli impegni vanno rivolti a sanare queste contraddizioni apertesi negli ultimi anni, con priorità assoluta.
Ma, in coscienza, non posso neppure formulare questo appello. Non ora. Non in queste condizioni.
Chi infatti assumerebbe la guida di questo sforzo comune? Gli stessi che hanno prodotto il disastro sotto i nostri occhi? Rifiutandosi per giunta di riconoscere le loro responsabilità spinti dai calcoli elettorali, e anzi pretendendo, come hanno sempre fatto, di aver avuto ragione in ogni circostanza?
3. Purtroppo l'amore della verità in questo momento ci impone di denunciare pubblicamente che, se si è giunti a questa situazione, le responsabilità di questa amministrazione sono pesantissime. Le ragioni che causano un male difficilmente possono essere utilizzate come rimedio, sia pure in casi disperati. Sarebbe drammatico ostinarsi in un atteggiamento mutuato dall'epoca Thatcher, quel “fattore TINA” – there is no alternative – che dietro un apparente decisionismo aggiunge solo problemi a problemi. Per chi non fonda le proprie speranze su un vantaggio personale, le alternative si trovano: sarebbe bene per questa città uscire dall'inerzia e imparare a sperimentarle.
Non arrivo al punto di dire che le colpe stiano tutte da una parte. Non sarebbe opportuno, almeno nel caso di una vicenda complessa come quella Multi, e posso persino provare una certa comprensione umana (chiaramente non politica) nei confronti di un Sindaco che si è visto preannunciare, e poi crollare addosso, una decisione gravissima per il nostro futuro di cittadini. Ma proprio la ripetizione di questo copione - nelle scelte cui si è dato corso, perché bisognerebbe fare un bilancio inclusivo anche di quelle che sono rimaste sulla carta, come la metrotramvia - mi spinge a rintenere ormai giunto il tempo di terminare un'esperienza amministrativa fallimentare, il cui protrarsi farà più male alla città di quanto non ne farebbe il riportare la parola alle urne.
Nella vita delle persone, arrivano momenti in cui è opportuno, se non necessario, tracciare un bilancio delle proprie azioni, e soprattutto delle conseguenze che queste hanno determinato. Valutare con occhi limpidi se la rotta che si è tracciata conduce in una direzione costruttiva o se, viceversa, destina noi e coloro che da noi dipendono al naufragio. Signor Sindaco, questo è uno di quei momenti. Se ha veramente a cuore le sorti della città, rimetta il suo mandato. Dia a Como la possibilità di ripartire in un'altra direzione, con nuove forze, con nuovi mezzi. Sia Lei ad evitare a questo dibattito di concludersi con la conferma di una fiducia posticcia, che connoterebbe di ulteriore ipocrisia il periodo terminale, improduttivo e paralizzante della sua esperienza amministrativa. In questo senso il suo non sarebbe un gesto di rinuncia, di abbandono, né tantomeno di viltà. La situazione è bloccata; Lei ha la possibilità di fare uscire la città da questo stallo. Lo faccia, in nome del bene comune. Glielo chiede, serenamente, uno che è pronto, per queste stesse ragioni, a vedere concluso il proprio mandato di consigliere iniziato solo un mese fa.
giovedì 21 ottobre 2010
CoCoCo3 - Stumenti per le imprese: intervento sulla delibera di indirizzo
1. Devo dire anzitutto che fa piacere leggere nelle premesse di questa delibera il riconoscimento inequivoco che il Paese si trova in una condizione di crisi profonda, mai verificatasi in precedenza. Si tratta infatti di una sensazione che mi sembrava di provare guardando ai dati di fatto, pur sentendomi sempre in errore, dato che il governo nella sua infinita saggezza l'aveva pervicacemente negata per mesi.
2. Non mi è stato viceversa possibile notare il dichiarato “deciso intervento dell'autorità governativa” che avrebbe “di fatto scongiurato situazioni pesantissime”. Personalmente, oltre al ripetuto tentativo di nascondere la polvere sotto il tappeto e alle continue dichiarazioni rassicuranti sul fatto di “non essere come la Grecia” (ma non l'avevo mai pensato), ho sperimentato solo una politica di tagli pesanti, orientati tra l'altro a lesinare risorse sul futuro del paese e delle giovani generazioni, come stiamo vedendo drammaticamente negli ambiti della scuola e della ricerca.
3. A parte le premesse più o meno efficaci, tuttavia, lo spirito della delibera appare pienamente condivisibile. In questa fase economica è senz'altro prioritario che le imprese possano ricevere pagamenti puntuali e facciano a loro volta fronte ai loro impegni, generando così una circolazione virtuosa di risorse sul territorio. Perciò appare opportuna ogni iniziativa in loro favore, che sottoscriviamo pienamente. Vi è semmai da meravigliarsi che questo documento di indirizzo, protocollato il 9 febbraio, sia stato posto in discussione solamente oggi, visto il suo evidente carattere di urgenza. Auspichiamo che questo non sia il segnale che tutto si risolverà in mere attestazioni verbali, senza ricadute pratiche per l'effettivo sostegno delle imprese.
4. Mi sia consentito di aggiungere che, dal punto di vista della correttezza che dovrebbe sempre caratterizzare l'operato della pubblica amministrazione, risulta del tutto inaccettabile che gli impegni di spesa assunti nei confronti dei fornitori vengano disattesi o dilazionati in tempi eccessivamente lunghi. Si genera così un danno diretto all'economia del paese, che è insieme una vergogna e uno scandalo, che scredita le isitituzioni e non può venire giustificato da alcun “patto di stabilità”, imposto da un governo oltretutto inadempiente nei suoi doveri di trasferimento agli enti locali. Comodo, scaricare sui Comuni il peso delle proprie proprie strategie demagogiche, per presentarsi sorridenti agli elettori a dichiarare di non aver messo le mani nelle loro tasche!
5. Ogni misura che attenui questo peso gravante sulle attività produttive è comunque opportuna. Per questo, sia pure nella sua parzialità, la presente delibera è un segnale che va accolto e e sostenuto, una volta chiarite alcune espressioni dubbie e rimosse le premesse inadeguate, con il nostro voto favorevole.
2. Non mi è stato viceversa possibile notare il dichiarato “deciso intervento dell'autorità governativa” che avrebbe “di fatto scongiurato situazioni pesantissime”. Personalmente, oltre al ripetuto tentativo di nascondere la polvere sotto il tappeto e alle continue dichiarazioni rassicuranti sul fatto di “non essere come la Grecia” (ma non l'avevo mai pensato), ho sperimentato solo una politica di tagli pesanti, orientati tra l'altro a lesinare risorse sul futuro del paese e delle giovani generazioni, come stiamo vedendo drammaticamente negli ambiti della scuola e della ricerca.
3. A parte le premesse più o meno efficaci, tuttavia, lo spirito della delibera appare pienamente condivisibile. In questa fase economica è senz'altro prioritario che le imprese possano ricevere pagamenti puntuali e facciano a loro volta fronte ai loro impegni, generando così una circolazione virtuosa di risorse sul territorio. Perciò appare opportuna ogni iniziativa in loro favore, che sottoscriviamo pienamente. Vi è semmai da meravigliarsi che questo documento di indirizzo, protocollato il 9 febbraio, sia stato posto in discussione solamente oggi, visto il suo evidente carattere di urgenza. Auspichiamo che questo non sia il segnale che tutto si risolverà in mere attestazioni verbali, senza ricadute pratiche per l'effettivo sostegno delle imprese.
4. Mi sia consentito di aggiungere che, dal punto di vista della correttezza che dovrebbe sempre caratterizzare l'operato della pubblica amministrazione, risulta del tutto inaccettabile che gli impegni di spesa assunti nei confronti dei fornitori vengano disattesi o dilazionati in tempi eccessivamente lunghi. Si genera così un danno diretto all'economia del paese, che è insieme una vergogna e uno scandalo, che scredita le isitituzioni e non può venire giustificato da alcun “patto di stabilità”, imposto da un governo oltretutto inadempiente nei suoi doveri di trasferimento agli enti locali. Comodo, scaricare sui Comuni il peso delle proprie proprie strategie demagogiche, per presentarsi sorridenti agli elettori a dichiarare di non aver messo le mani nelle loro tasche!
5. Ogni misura che attenui questo peso gravante sulle attività produttive è comunque opportuna. Per questo, sia pure nella sua parzialità, la presente delibera è un segnale che va accolto e e sostenuto, una volta chiarite alcune espressioni dubbie e rimosse le premesse inadeguate, con il nostro voto favorevole.
martedì 19 ottobre 2010
CoCoCo2 - Interpellanza sulla comunicazione istituzionale del Comune attraverso il portale
[sintesi] Sottolineo l'importanza della rassegna stampa messa a disposizione sul portale del Comune di Como, che contribuisce alla trasparenza nei confronti dei cittadini.
In certa misura è un “biglietto da visita” che – a prescindere dalla qualità effettiva e dall’accuratezza dei contenuti – consente di mantenersi informati e di interpretare la realtà politica cittadina.
Per questo appare importante che questa comunicazione non sia viziata da difetti tecnici, soprattutto facilmente risolvibili.
Mi riferisco alla qualità dei files PDF messi a disposizione della cittadinanza, non tanto per la nitidezza grafica, che può risultare poco importante ed è comunque paragonabile a quella di una normale fotocopia, quanto per le imperfezioni a volte notevoli che il software OCR manifesta.
In particolare, in molti documenti:
- si rilevano svariati caratteri più o meno deformati o di altezze diseguali, con spessore e corpo differente
- talora le discrepanze con l'originale comportano alterazione delle parole e (raramente) del significato di alcune frasi
Un solo esempio: “Corno” per Como.
Tale situazione appare poco giustificabile, specie in relazione al fatto che la rassegna stampa cartacea consegnata ai consiglieri non presenta gli stessi difetti.
2) Inoltre va dato atto all'Amministrazione che le date di convocazione del Consiglio Comunale sono pubblicate in un'apposita sezione del sito. Tuttavia queste non risultano aggiornate con puntualità, a volte non lo sono del tutto. I cittadini possono avere utili indicazioni per presenziare ai nostri lavori, esercitando una facoltà che loro pienamente compete, ed è quindi necessario che gli aggiornamenti siano puntuali.
Chiedo dunque alla Presidenza di attivarsi per porre rimedio alla situazione che ho descritto.
In certa misura è un “biglietto da visita” che – a prescindere dalla qualità effettiva e dall’accuratezza dei contenuti – consente di mantenersi informati e di interpretare la realtà politica cittadina.
Per questo appare importante che questa comunicazione non sia viziata da difetti tecnici, soprattutto facilmente risolvibili.
Mi riferisco alla qualità dei files PDF messi a disposizione della cittadinanza, non tanto per la nitidezza grafica, che può risultare poco importante ed è comunque paragonabile a quella di una normale fotocopia, quanto per le imperfezioni a volte notevoli che il software OCR manifesta.
In particolare, in molti documenti:
- si rilevano svariati caratteri più o meno deformati o di altezze diseguali, con spessore e corpo differente
- talora le discrepanze con l'originale comportano alterazione delle parole e (raramente) del significato di alcune frasi
Un solo esempio: “Corno” per Como.
Tale situazione appare poco giustificabile, specie in relazione al fatto che la rassegna stampa cartacea consegnata ai consiglieri non presenta gli stessi difetti.
2) Inoltre va dato atto all'Amministrazione che le date di convocazione del Consiglio Comunale sono pubblicate in un'apposita sezione del sito. Tuttavia queste non risultano aggiornate con puntualità, a volte non lo sono del tutto. I cittadini possono avere utili indicazioni per presenziare ai nostri lavori, esercitando una facoltà che loro pienamente compete, ed è quindi necessario che gli aggiornamenti siano puntuali.
Chiedo dunque alla Presidenza di attivarsi per porre rimedio alla situazione che ho descritto.
lunedì 4 ottobre 2010
CoCoCo1 - Saluto al Consiglio Comunale di Como
Saluto anzitutto i presenti e ringrazio per il cordiale benvenuto che mi è stato rivolto dal Presidente a nome dell'assemblea.
Arrivo in questo consiglio ormai al di là della metà del mandato elettivo, cosciente dei miei limiti personali ma in condizione di assumere responsabilmente l'impegno conferitomi dagli elettori che mi hanno indicato con le loro preferenze. Soprattutto assicuro il mio impegno per contribuire a far sì che i lavori di questo consiglio possano sempre meglio corrispondere agli interessi dei nostri concittadini e al bene comune, guardando non solo ai problemi immediati, che hanno di certo piena rilevanza, ma anche alla prospettiva futura che in quest'aula si concorre a determinare: o almeno, così dovrebbe essere. Sono infatti consapevole, come voi certamente lo siete, che la Como di domani dipende in misura rilevante dalle decisioni odierne, e che tali decisioni non debbono essere prese a cuor leggero, tantomeno obbedendo a mere valutazioni di convenienza elettorale.
Perciò a mia volta auguro a noi tutti che i nostri lavori non perdano mai di vista questo obiettivo superiore agli interessi di parte e ancor più ai calcoli individualistici, delle convenienze politiche minute. Mi impegnerò in prima persona per circoscrivere gli interventi ai temi effettivi di volta in volta proposti, convinto che le troppe parole, specie se ad esse non seguono poi decisioni concrete e attuate, non fanno che rafforzare nella cittadinanza l'impressione dell'inconcludenza degli organi rappresentativi.
Questo è un pericolo che va scongiurato ad ogni costo, nell'interesse della democrazia prima ancora che del buon funzionamento delle istituzioni; ed è per questo che mi permetto di far presente a tutti i consiglieri, con lo sguardo partecipe ma anche distanziato prospetticamente di uno che sinora i lavori li ha seguiti dall'esterno, che non poche volte le sedute hanno dato l’impressione di protrarsi senza partorire decisioni utili, oppure hanno fornito risposte ambigue o poco concludenti, addirittura con decisioni disattese nei fatti (come il contributo per i libri di testo degli studenti comaschi di scuola media, o ancor peggio, di quello previsto in favore delle vittime del terremoto abruzzese: tutte cose rimaste sulla carta). Tempi lunghi e sedute fiume per decisioni in sé ben poco complesse, come quelle riguardanti le “grandi mostre”, hanno diffuso fra i cittadini il sospetto che le beghe di partito contino qui molto di più dello sviluppo della città. Vi scongiuro, se così è stato, cambiamo registro, e diamo ai comaschi segni tangibili che un’amministrazione è al lavoro non tanto nelle “segrete stanze” del potere, ma anche e soprattutto nella volontà di discutere riportando in quest'aula le indicazioni dei cittadini e di offrire soluzioni concrete ai problemi della gente.
Mi perdonerete se ho voluto portarvi questo sguardo da “esterno”, così come chiedo la vostra comprensione se metterò qualche tempo ad impadronirmi delle procedure in quella che per me è un'esperienza nuova.
Nel concludere questo breve intervento, voglio rivolgere a Luca Gaffuri il riconoscimento che a mio giudizio egli davvero merita, non solo per l'azione svolta con efficacia alla guida dell'opposizione in questi tre anni di consiglio, ma anche per la scelta stessa di rivolgere la sua concentrazione esclusiva ad uno solo dei mandati elettivi che gli sono stati attribuiti dal voto popolare.
Devo sottolinearlo come un fattore di grande importanza, perché è ai miei occhi uno dei rarissimi segnali di una politica che cerca di rinnovarsi, e che nel PD ha trovato un'esplicita enunciazione ed una timida attuazione, comunque a differenza del resto delle forze politiche. Il limite di un solo mandato elettivo non esercitabile in contemporanea ad altri è un segnale forte, il quale vuole opporsi a quei cumuli di cariche che non sono forse il “male assoluto”, ma restano uno degli indicatori più preoccupanti della cattiva politica. Che sia motivato dall'ambizione personale o da interessi di corrente, l'accaparramento delle poltrone è indice di una concezione proprietaria della politica, di una presunzione di onnipotenza nello svolgere innumerevoli incarichi di interesse pubblico, forse anche di un’incapacità di ammettere i propri limiti umani, che nei fatti finisce per rappresentare un raggiro della sovranità popolare e del semplice buon senso.
Ecco perché voglio rendere onore alla scelta controcorrente che il PD propone e che Gaffuri ha fatto propria, in quanto offre qualche motivo di fiducia per il futuro della politica e per la chiarezza delle motivazioni di chi dedica qualche anno della sua vita al bene pubblico. Anche per la mia speranza in questa prospettiva di rinnovamento, per tanti aspetti travagliato e forse non immediato, ma che comunque mi sembra di poter intravvedere, annuncio la mia intenzione di aderire, in questa sede istituzionale, al gruppo consiliare del PD, partito nel quale sono giunto a riconoscere un'opportunità di impegno attivo per costruire quella che Lazzati definiva la “città dell'uomo”.
Arrivo in questo consiglio ormai al di là della metà del mandato elettivo, cosciente dei miei limiti personali ma in condizione di assumere responsabilmente l'impegno conferitomi dagli elettori che mi hanno indicato con le loro preferenze. Soprattutto assicuro il mio impegno per contribuire a far sì che i lavori di questo consiglio possano sempre meglio corrispondere agli interessi dei nostri concittadini e al bene comune, guardando non solo ai problemi immediati, che hanno di certo piena rilevanza, ma anche alla prospettiva futura che in quest'aula si concorre a determinare: o almeno, così dovrebbe essere. Sono infatti consapevole, come voi certamente lo siete, che la Como di domani dipende in misura rilevante dalle decisioni odierne, e che tali decisioni non debbono essere prese a cuor leggero, tantomeno obbedendo a mere valutazioni di convenienza elettorale.
Perciò a mia volta auguro a noi tutti che i nostri lavori non perdano mai di vista questo obiettivo superiore agli interessi di parte e ancor più ai calcoli individualistici, delle convenienze politiche minute. Mi impegnerò in prima persona per circoscrivere gli interventi ai temi effettivi di volta in volta proposti, convinto che le troppe parole, specie se ad esse non seguono poi decisioni concrete e attuate, non fanno che rafforzare nella cittadinanza l'impressione dell'inconcludenza degli organi rappresentativi.
Questo è un pericolo che va scongiurato ad ogni costo, nell'interesse della democrazia prima ancora che del buon funzionamento delle istituzioni; ed è per questo che mi permetto di far presente a tutti i consiglieri, con lo sguardo partecipe ma anche distanziato prospetticamente di uno che sinora i lavori li ha seguiti dall'esterno, che non poche volte le sedute hanno dato l’impressione di protrarsi senza partorire decisioni utili, oppure hanno fornito risposte ambigue o poco concludenti, addirittura con decisioni disattese nei fatti (come il contributo per i libri di testo degli studenti comaschi di scuola media, o ancor peggio, di quello previsto in favore delle vittime del terremoto abruzzese: tutte cose rimaste sulla carta). Tempi lunghi e sedute fiume per decisioni in sé ben poco complesse, come quelle riguardanti le “grandi mostre”, hanno diffuso fra i cittadini il sospetto che le beghe di partito contino qui molto di più dello sviluppo della città. Vi scongiuro, se così è stato, cambiamo registro, e diamo ai comaschi segni tangibili che un’amministrazione è al lavoro non tanto nelle “segrete stanze” del potere, ma anche e soprattutto nella volontà di discutere riportando in quest'aula le indicazioni dei cittadini e di offrire soluzioni concrete ai problemi della gente.
Mi perdonerete se ho voluto portarvi questo sguardo da “esterno”, così come chiedo la vostra comprensione se metterò qualche tempo ad impadronirmi delle procedure in quella che per me è un'esperienza nuova.
Nel concludere questo breve intervento, voglio rivolgere a Luca Gaffuri il riconoscimento che a mio giudizio egli davvero merita, non solo per l'azione svolta con efficacia alla guida dell'opposizione in questi tre anni di consiglio, ma anche per la scelta stessa di rivolgere la sua concentrazione esclusiva ad uno solo dei mandati elettivi che gli sono stati attribuiti dal voto popolare.
Devo sottolinearlo come un fattore di grande importanza, perché è ai miei occhi uno dei rarissimi segnali di una politica che cerca di rinnovarsi, e che nel PD ha trovato un'esplicita enunciazione ed una timida attuazione, comunque a differenza del resto delle forze politiche. Il limite di un solo mandato elettivo non esercitabile in contemporanea ad altri è un segnale forte, il quale vuole opporsi a quei cumuli di cariche che non sono forse il “male assoluto”, ma restano uno degli indicatori più preoccupanti della cattiva politica. Che sia motivato dall'ambizione personale o da interessi di corrente, l'accaparramento delle poltrone è indice di una concezione proprietaria della politica, di una presunzione di onnipotenza nello svolgere innumerevoli incarichi di interesse pubblico, forse anche di un’incapacità di ammettere i propri limiti umani, che nei fatti finisce per rappresentare un raggiro della sovranità popolare e del semplice buon senso.
Ecco perché voglio rendere onore alla scelta controcorrente che il PD propone e che Gaffuri ha fatto propria, in quanto offre qualche motivo di fiducia per il futuro della politica e per la chiarezza delle motivazioni di chi dedica qualche anno della sua vita al bene pubblico. Anche per la mia speranza in questa prospettiva di rinnovamento, per tanti aspetti travagliato e forse non immediato, ma che comunque mi sembra di poter intravvedere, annuncio la mia intenzione di aderire, in questa sede istituzionale, al gruppo consiliare del PD, partito nel quale sono giunto a riconoscere un'opportunità di impegno attivo per costruire quella che Lazzati definiva la “città dell'uomo”.
mercoledì 8 settembre 2010
Basta sprechi, basta scuola (pubblica...)!
Nessuno stupore, per chi vive nella scuola, deriva purtroppo dalla lettura dell'ultimo rapporto OCSE sull'educazione, nel quale l'Italia figura agli ultimi posti della classifica della percentuale di PIL destinata all'istruzione: il 4,5%, contro una media dei paesi OCSE del 5,7 e punte di eccellenza come l'Islanda, che guida la graduatoria con il 7,8. Peggio ancora, siamo ultimi in classifica per la percentuale di spesa pubblica destinata alla scuola, il 9% (media del 13,3). È scontata la segnalazione che gli insegnanti italiani sono tra i meno pagati e che i nostri alunni passano troppo tempo sui banchi senza trarre grande vantaggio competitivo.
Certo, come commenta la Commissione Europea, per il futuro è necessario non solo investire, ma investire bene. È quanto pretende di aver fatto il ministro Gelmini, definendo “epocale” la sua riforma e garantendo che si punta sulla qualità, diminuendo la quantità (di ore di insegnamento e di occupati). Peccato che i fatti parlino chiaro, rivelando la propaganda di un governo che si arrampica sugli specchi: non cerca di spendere meglio i pochi soldi disponibili, dato che li ha invece tagliati drasticamente di anno in anno, come ben sperimentano le famiglie invitate a dotare gli alunni di carta igienica. Il ministro finge di scandalizzarsi che il 97% del bilancio serva a pagare gli stipendi, pur tanto inferiori alla media europea. Questo dato fantasioso sarebbe contestabile, ma un minimo di logica non vorrebbe che, anche senza aumentare tali costi, nuove risorse aggiuntive venissero destinate a innovazione, merito e qualità? Invece se ne è fatto un mero pretesto per i tagli orizzontali di Tremonti, che colpiscono senza guardare a casi di eccellenza oppure ad emergenze sociali, impoverendo tutte le scuole in maniera indiscriminata, dopo che già lo stato si è mostrato inadempiente. Bisogna ricordare che, solo in provincia di Como, numerosi istituti attendono centinaia di migliaia di euro relativi ai bilanci degli scorsi anni, garantiti da Roma e mai erogati?
Se la spesa per la scuola è un costo e non un investimento, i burocrati della casta fanno benissimo a lesinare le risorse per il futuro dei nostri giovani, a ignorare le inevitabili ricadute sulla qualità dell'insegnamento e sulla possibilità di essere competitivi in un mercato globalizzato. Con il loro esempio, tanti politici ci hanno ripetutamente lanciato il messaggio che, per fare carriera, si deve ricorrere ad altri mezzi che non la competenza e il merito. Ma fino a quando un paese che non investe nella formazione potrà ancora reggere?
Certo, come commenta la Commissione Europea, per il futuro è necessario non solo investire, ma investire bene. È quanto pretende di aver fatto il ministro Gelmini, definendo “epocale” la sua riforma e garantendo che si punta sulla qualità, diminuendo la quantità (di ore di insegnamento e di occupati). Peccato che i fatti parlino chiaro, rivelando la propaganda di un governo che si arrampica sugli specchi: non cerca di spendere meglio i pochi soldi disponibili, dato che li ha invece tagliati drasticamente di anno in anno, come ben sperimentano le famiglie invitate a dotare gli alunni di carta igienica. Il ministro finge di scandalizzarsi che il 97% del bilancio serva a pagare gli stipendi, pur tanto inferiori alla media europea. Questo dato fantasioso sarebbe contestabile, ma un minimo di logica non vorrebbe che, anche senza aumentare tali costi, nuove risorse aggiuntive venissero destinate a innovazione, merito e qualità? Invece se ne è fatto un mero pretesto per i tagli orizzontali di Tremonti, che colpiscono senza guardare a casi di eccellenza oppure ad emergenze sociali, impoverendo tutte le scuole in maniera indiscriminata, dopo che già lo stato si è mostrato inadempiente. Bisogna ricordare che, solo in provincia di Como, numerosi istituti attendono centinaia di migliaia di euro relativi ai bilanci degli scorsi anni, garantiti da Roma e mai erogati?
Se la spesa per la scuola è un costo e non un investimento, i burocrati della casta fanno benissimo a lesinare le risorse per il futuro dei nostri giovani, a ignorare le inevitabili ricadute sulla qualità dell'insegnamento e sulla possibilità di essere competitivi in un mercato globalizzato. Con il loro esempio, tanti politici ci hanno ripetutamente lanciato il messaggio che, per fare carriera, si deve ricorrere ad altri mezzi che non la competenza e il merito. Ma fino a quando un paese che non investe nella formazione potrà ancora reggere?
mercoledì 1 settembre 2010
A lezione da Gheddafi
Grazie alla cortese disponibilità del governo italiano, in questi giorni Roma si trasforma in un circo, con tanto di tendoni, cavalli e gente in costume, per accogliere qualcosa di più di una semplice visita da parte di Gheddafi: infatti la sua è una vera e propria lezione di metodo, non puro folklore.
Il dittatore libico, pudicamente definito leader dai mezzi di informazione, è riuscito infatti nel capolavoro politico di farsi accettare dai governi europei, costretti a riceverlo per ragioni economiche (petrolio e commesse varie) e perché, bontà sua, ha da qualche anno abbandonato il terrorismo. Ogni suo viaggio, peraltro, è una catastrofe diplomatica per l'Europa, soprattutto perché l'accondiscendenza alle sue stravaganze rivela tutta la sorridente debolezza della controparte.
Certo, c'è modo e modo: e in questo l'Italia ha rivelato purtroppo un servilismo degno di miglior causa, in ragione della statura politica dei nostri governanti, che si trovano evidentemente in sintonia naturale con la pacchianeria esibizionistica del capo libico, tanto quanto sono pronti, in altre occasioni, ad accogliere le lezioni di democrazia dell'“amico Putin”. Che venga di qui l'insofferenza più volte dichiarata nei confronti della nostra Costituzione?
D'altra parte la Libia si è assunta l'incarico di frenare l'esodo di profughi verso il nostro territorio: poco importa se si tratta in gran parte di persone che avrebbero diritto all'asilo, e ancor meno importa che siano di fatto torturate nel deserto. Sono fatti lontani, che non ci riguardano...
In cambio del lavoro sporco, allora, e alla faccia delle “radici cristiane dell'Europa” ipocritamente invocate in tanti altri contesti, ben vengano le lezioni di religione islamica (in una versione personale e teologicamente infondata) propalate ad estatiche hostess prezzolate. Apprendiamo che con settanta euro a testa è possibile riempire le sale: chissà che questo sistema non si estenda in futuro ad altre assemblee religiose e di partito, vista la crescente disaffezione in atto, contribuendo in tal modo a contrastare la disoccupazione giovanile nel nostro paese.
Il dittatore libico, pudicamente definito leader dai mezzi di informazione, è riuscito infatti nel capolavoro politico di farsi accettare dai governi europei, costretti a riceverlo per ragioni economiche (petrolio e commesse varie) e perché, bontà sua, ha da qualche anno abbandonato il terrorismo. Ogni suo viaggio, peraltro, è una catastrofe diplomatica per l'Europa, soprattutto perché l'accondiscendenza alle sue stravaganze rivela tutta la sorridente debolezza della controparte.
Certo, c'è modo e modo: e in questo l'Italia ha rivelato purtroppo un servilismo degno di miglior causa, in ragione della statura politica dei nostri governanti, che si trovano evidentemente in sintonia naturale con la pacchianeria esibizionistica del capo libico, tanto quanto sono pronti, in altre occasioni, ad accogliere le lezioni di democrazia dell'“amico Putin”. Che venga di qui l'insofferenza più volte dichiarata nei confronti della nostra Costituzione?
D'altra parte la Libia si è assunta l'incarico di frenare l'esodo di profughi verso il nostro territorio: poco importa se si tratta in gran parte di persone che avrebbero diritto all'asilo, e ancor meno importa che siano di fatto torturate nel deserto. Sono fatti lontani, che non ci riguardano...
In cambio del lavoro sporco, allora, e alla faccia delle “radici cristiane dell'Europa” ipocritamente invocate in tanti altri contesti, ben vengano le lezioni di religione islamica (in una versione personale e teologicamente infondata) propalate ad estatiche hostess prezzolate. Apprendiamo che con settanta euro a testa è possibile riempire le sale: chissà che questo sistema non si estenda in futuro ad altre assemblee religiose e di partito, vista la crescente disaffezione in atto, contribuendo in tal modo a contrastare la disoccupazione giovanile nel nostro paese.
sabato 14 agosto 2010
Cani da guardia
Come non gioire? Anche i quotidiani che conducono un'azione di attacco frontale alle imprese immobiliari del presidente della Camera, rivendicano un ruolo istituzionale di “cane da guardia” per la stampa, oltretutto sottolineando nella loro azione di non voler “mollare la presa”.
Fanno benissimo, se riportano elementi veri. C'è un solo neo: un cane da guardia onesto, a difesa di una proprietà onesta, latra e difende contro ogni minaccia, vera o presunta, per tutelare la dimora. Non è selettivo, non agisce “a orologeria”, preso com'è nell'adempimento della missione.
La casa da difendere, nella metafora di origine anglosassone, è evidentemente il diritto del pubblico di conoscere sempre i fatti, massime per quanto riguarda i politici che ne richiedono la fiducia, spesso presentandosi diversi da quello che sono veramente. Idealmente, un'informazione onesta non serve gli interessi di parte, non deve soggiacere a un padrone o un padrino, massime se si tratta di un politico rivale dai trascorsi ancor meno specchiati. Attaccherebbe, sui temi scottanti, anche altre mariolerie: che so, quelle di un pluriprosciolto per decorrenza dei termini, di un mandante di corruttori con sentenze passate in giudicato, di un procacciatore di ville e tenute pagate una frazione del loro valore reale...
Certo, nulla impedisce a questo padrone di circondarsi di pitbull addestrati a sbranare gli avversari, attaccando a comando. Sempre di cani si tratta. Ma non ci si venga a dire che questi rientrano nella nobile categoria dei “cani da guardia”.
giovedì 12 agosto 2010
Como: tornare al voto per le poltrone?
Sono mere chiacchiere ferragostane quelle che rimbalzano sui giornali in questi giorni? Si prevede infatti che le elezioni anticipate dovute alle rissosità nazionali avranno contraccolpi a catena nel comasco, con la fine anticipata della giunta provinciale, e oltre. Carioni si accomoderebbe nel futuro parlamento, determinando il rimescolamento degli equilibri e delle cariche anche in comune di Como, dove la giunta Bruni traballa un giorno sì e l'altro pure per lotte di potere tribali, che il sindaco medesimo qualifica “di incredibile bassezza”. Gli unici problemi sul tavolo sono poltrone e nomine, le dispute riguardano le percentuali di spartizione della torta, dimostrando quale sia il fondamento dell'impegno politico per questi signori: promuovere se stessi e i propri sodali, mentre la città affonda nei problemi irrisolti, tra i miasmi dell'impianto di depurazione e l'assenza colpevole del piano di regolamentazione degli spazi commerciali, che doveva essere per legge definito... solo sette anni fa! E questa non è solo incuria, ma un tangibile ed ingiustificabile ostacolo alla libertà d'impresa, alla faccia del liberalismo ostentato a parole, ma avversato nei fatti. La concorrenza reale va evitata a tutti i costi, quando si è dedicato l'impegno di decenni a radicare un sistema di clientele che in certi settori consente di operare, di fatto, solo agli affiliati.
Di fronte a questa situazione, se i cittadini non prendono una buona volta il coraggio a due mani e non cambiano le loro radicate abitudini di voto, che sembrano aver premiato soprattutto incapaci e/o carrieristi, la prudenza non basterà. Si butteranno al vento i denari necessari a nuove elezioni, solo per consentire qualche promozione di apparato, per liberare qualche spazio di protagonismo agli ambiziosi che tengono più all'immagine che alla sostanza di un serio lavoro per la città.
Ci vogliamo liberare dai paraocchi ideologici o dagli improbabili referendum sul carisma dei capi, e valutare soltanto la qualità dell'amministrazione fin qui ricevuta, con il necessario rigore? Oppure vogliamo che tutto resti in sostanza immutato, cambiando solo le maschere di qualche personaggio? A leggere qualche organo d'informazione si direbbe che qualcuno lo auspichi e lavori in tal senso, screditando le potenziali alternative. Succede ad esempio che il segretario PD dichiari che, in questa situazione, nuove elezioni locali sarebbero ulteriore tempo perso per la città, che occorre trovare la forza di affrontare subito i problemi più gravi e puntare a qualche forma di condivisione degli sforzi, anche al di là degli schieramenti: semplice buonsenso. E cosa fa, una volta di più, l'ineffabile titolista di un giornale? Riassume testualmente che a Como “Il PD non si muove. Come se la cosa non lo riguardasse”. I padrini politici saranno certo contenti per la rappresentazione ad usum delphini, l'intelligenza dei lettori (e forse anche l'articolista) un po' meno...
mercoledì 28 luglio 2010
Onore al merito, come sempre
Quanto è impegnativo amministrare un piccolo comune? Sicuramente molto, se il neosindaco donna di Bregnano, giovane leghista eletta in coalizione con il Pdl, si è appena aumentata legalmente lo stipendio da 927 a 2788 euro lordi, invocando a scusa il fatto che ha deciso di fare l’amministratrice a tempo pieno e ha lasciato il suo lavoro. Una scelta personale e rispettabile, quest'ultima, ma non obbligata. E se tutti i sindaci dei paesi della nostra provincia si triplicassero lo stipendio, cosa ne sarebbe delle già provate casse pubbliche? Chi certifica che il sindaco precedente lavorasse per un terzo dell'attuale, o che il suo operato valesse un terzo? La scelta dei tempi, poi, è surreale: proprio quando il momento impone ovunque sacrifici meglio ripartiti, rendendo evidente che anche i voraci appetiti della casta politica andrebbero rigorosamente contenuti, qui si inverte clamorosamente la rotta, sfiorando lo sberleffo. A meno che l'interessata non avesse pubblicamente annunciato tale proposito prima di essere eletta, di fronte ai suoi concittadini e sottoponendosi al loro giudizio, del che è lecito dubitare.
L'episodio è comunque molto istruttivo, perché conferma in modo chiarissimo tanti altri fatti che, a meno di essere completamente sprovveduti o accecati da paraocchi ideologici, ci rivelano la verità sul senso di dedizione pubblica di chi ci governa. Anzitutto sfata il mito della “diversità” leghista, che da molti anni si è accomodata agli usi di “Roma ladrona” e si è dedicata al rastrellamento di posti e di prebende al pari degli alleati, senza neppure disdegnare la tutela dei disonesti (vedi quote latte), avendo capito che per raccogliere voti bastano e avanzano gli slogan e non servono comportamenti coerenti. Inoltre fa capire bene come tanti amministratori intendano il mandato ricevuto: “carta bianca” per cinque anni, con la pretesa di render conto, se mai, solo al termine del mandato, confidando evidentemente nella memoria debole dei più. Le vicende del capoluogo comasco sono esemplari in tal senso.
Infine, fa riflettere sull'atteggiamento dei giovani che entrano in politica, certo non tutti, e non solo da ora: valutare il servizio alla propria comunità come un lavoro da retribuire con gli standard del mercato, un'occasione per la carriera personale, non è deprimente? Purtroppo, gli adulti hanno dato ripetutamente il pessimo esempio, e ora è tardi per recriminare: altro che servizio disinteressato, i modelli vincenti sono altri, primi su tutti i figli d'arte Renzo “Trota” Bossi e Geronimo La Russa, promossi su tutti i fronti (anche quello stipendiale) e sistemati grazie al merito, nient'altro che al merito...
L'episodio è comunque molto istruttivo, perché conferma in modo chiarissimo tanti altri fatti che, a meno di essere completamente sprovveduti o accecati da paraocchi ideologici, ci rivelano la verità sul senso di dedizione pubblica di chi ci governa. Anzitutto sfata il mito della “diversità” leghista, che da molti anni si è accomodata agli usi di “Roma ladrona” e si è dedicata al rastrellamento di posti e di prebende al pari degli alleati, senza neppure disdegnare la tutela dei disonesti (vedi quote latte), avendo capito che per raccogliere voti bastano e avanzano gli slogan e non servono comportamenti coerenti. Inoltre fa capire bene come tanti amministratori intendano il mandato ricevuto: “carta bianca” per cinque anni, con la pretesa di render conto, se mai, solo al termine del mandato, confidando evidentemente nella memoria debole dei più. Le vicende del capoluogo comasco sono esemplari in tal senso.
Infine, fa riflettere sull'atteggiamento dei giovani che entrano in politica, certo non tutti, e non solo da ora: valutare il servizio alla propria comunità come un lavoro da retribuire con gli standard del mercato, un'occasione per la carriera personale, non è deprimente? Purtroppo, gli adulti hanno dato ripetutamente il pessimo esempio, e ora è tardi per recriminare: altro che servizio disinteressato, i modelli vincenti sono altri, primi su tutti i figli d'arte Renzo “Trota” Bossi e Geronimo La Russa, promossi su tutti i fronti (anche quello stipendiale) e sistemati grazie al merito, nient'altro che al merito...
venerdì 16 luglio 2010
Mano libera, man bassa
Inquietante, ma a dire il vero non imprevisto: il quadro che si delinea in questi giorni grazie all'azione degli inquirenti provoca un vivo senso di apprensione per il destino del nostro paese. Non è confinato solo a regioni disastrate, storicamente flagellate dalla delinquenza organizzata, ma si estende pure al Nord, alla prospera Lombardia. Che si tratti di smaltimento di rifiuti pericolosi, di installazioni energetiche, di appalti pubblici, di speculazioni edilizie, sempre più si evidenzia da un lato la portata delle infiltrazioni criminali nel nostro tessuto sociale, dall'altro un livello di corruzione politica che riporta alla mente gli scandali degli anni Novanta.
Stupisce, a ben vedere, che l'opinione pubblica non sembri troppo indignata davanti ai casi ripetuti che le si presentano, forse perché in parte ha interiorizzato il disonesto messaggio che la giustizia perseguiterebbe gli innocenti, ovviamente quando si tratti di politici e di loro portaborse. O forse perché si contenta dei proclami rassicuranti su “più sicurezza e meno tasse” e lascia in cambio mano libera sulla gestione della cosa pubblica: quanto libera, lo stiamo vedendo tutti. Quasi fosse una delega in bianco che, come emerge da tempo, rischia di essere pagata dal paese con lo spadroneggiare di congreghe affaristiche, di privatizzatori senza riguardi per l'interesse comune, di consorterie che premiano sistematicamente l'appartenenza anziché il merito, con funzionari politici e burocrati che si arrotondano lo stipendio, o finanziano campagne elettorali a spese dello Stato. Inoltre essere “figli di”, nel nostro paese, conta sempre di più e non, come vorrebbe la Costituzione, sempre di meno. Largo ai giovani, perché no? Purché siano spinti da parenti illustri, essi possono sedersi nell'assemblea regionale o in remunerativi consigli d'amministrazione e trovarsi così sistemati per la vita, alla faccia di “Roma ladrona”. L'arte di arrangiarsi pare eretta a regola delle varie cricche, nei termini in cui la descrive Giorgio Bocca: “non solo sopravvivere alle iniquità morali del censo e della nascita, ma trarne vantaggio, far pagare agli altri i nostri debiti, le nostre spese, migliorare il nostro posto nella graduatoria sociale”.
Anno dopo anno, così, l'Italia scende più in basso nelle classifiche della corruzione, di modo che gli investimenti stranieri si tengono ben alla larga dal nostro paese, che i giovani intellettualmente migliori sono costretti all'emigrazione, che la carriera politica di molti, al di là delle parole, è concepita ormai come mero strumento per la promozione individuale. Sulla qualità di simili governanti, saremmo periodicamente chiamati a pronunciarci con il voto. Ma rinunciare alle lusinghe, alle illusioni, alle promesse rassicuranti pur sapendo che non saranno mantenute (si prenda come ultimo esempio l'ondata imminente di tasse locali per compensare gli sfacciati tagli statali) è un compito troppo difficile? Forse sì, se si continuano a premiare l'arroganza e la faccia tosta mediatica, magari sperando nella benevolenza che i potenti esercitano grazie alle raccomandazioni e alle briciole della sottomissione clientelare.
Si colmerà un giorno la misura? E troveranno i cittadini la forza morale per liberarsi dai faccendieri e dai fanfaroni? Oppure si sentono degnamente rappresentati, e non avvertono il bisogno di cambiare?
Stupisce, a ben vedere, che l'opinione pubblica non sembri troppo indignata davanti ai casi ripetuti che le si presentano, forse perché in parte ha interiorizzato il disonesto messaggio che la giustizia perseguiterebbe gli innocenti, ovviamente quando si tratti di politici e di loro portaborse. O forse perché si contenta dei proclami rassicuranti su “più sicurezza e meno tasse” e lascia in cambio mano libera sulla gestione della cosa pubblica: quanto libera, lo stiamo vedendo tutti. Quasi fosse una delega in bianco che, come emerge da tempo, rischia di essere pagata dal paese con lo spadroneggiare di congreghe affaristiche, di privatizzatori senza riguardi per l'interesse comune, di consorterie che premiano sistematicamente l'appartenenza anziché il merito, con funzionari politici e burocrati che si arrotondano lo stipendio, o finanziano campagne elettorali a spese dello Stato. Inoltre essere “figli di”, nel nostro paese, conta sempre di più e non, come vorrebbe la Costituzione, sempre di meno. Largo ai giovani, perché no? Purché siano spinti da parenti illustri, essi possono sedersi nell'assemblea regionale o in remunerativi consigli d'amministrazione e trovarsi così sistemati per la vita, alla faccia di “Roma ladrona”. L'arte di arrangiarsi pare eretta a regola delle varie cricche, nei termini in cui la descrive Giorgio Bocca: “non solo sopravvivere alle iniquità morali del censo e della nascita, ma trarne vantaggio, far pagare agli altri i nostri debiti, le nostre spese, migliorare il nostro posto nella graduatoria sociale”.
Anno dopo anno, così, l'Italia scende più in basso nelle classifiche della corruzione, di modo che gli investimenti stranieri si tengono ben alla larga dal nostro paese, che i giovani intellettualmente migliori sono costretti all'emigrazione, che la carriera politica di molti, al di là delle parole, è concepita ormai come mero strumento per la promozione individuale. Sulla qualità di simili governanti, saremmo periodicamente chiamati a pronunciarci con il voto. Ma rinunciare alle lusinghe, alle illusioni, alle promesse rassicuranti pur sapendo che non saranno mantenute (si prenda come ultimo esempio l'ondata imminente di tasse locali per compensare gli sfacciati tagli statali) è un compito troppo difficile? Forse sì, se si continuano a premiare l'arroganza e la faccia tosta mediatica, magari sperando nella benevolenza che i potenti esercitano grazie alle raccomandazioni e alle briciole della sottomissione clientelare.
Si colmerà un giorno la misura? E troveranno i cittadini la forza morale per liberarsi dai faccendieri e dai fanfaroni? Oppure si sentono degnamente rappresentati, e non avvertono il bisogno di cambiare?
domenica 27 giugno 2010
Non lavorare? Stanca (e molto)
Dopo tante polemiche, l'amministratore delegato di Expo 2015, Lucio Stanca, lascia la poltrona che per oltre un anno ha difeso con le unghie e con i denti. Ultimamente si è visto rimproverare anche dal presidente Diana Bracco, che ne ha duramente criticato la gestione per le spese eccessive e per i gravi ritardi nell'organizzazione del progetto. Di fatto Stanca sembra essere stato "sfiduciato". Egli però ha motivato il suo addio non con le contestazioni, ma con la nuova fase del progetto Expo, che è passata "dalla fase di programmazione alla fase di realizzazione", "rendendo superata la figura dell’amministratore delegato, perché gli toglie poteri girandoli alla collegialità dei soci".
Si tratta di una spiegazione logica o piuttosto di un banalissimo giro di parole? Forse che, quando si passa dal dire al fare, è automatico che il carrozzone cambi fisionomia? Funzionano davvero così tutti i consigli di amministrazione normali?
Qualcuno, come il leghista Carioni, ritiene che Stanca avrebbe maturato la decisione soprattutto per l'introduzione, nella manovra finanziaria, del divieto al cumulo di incarichi e di stipendi, essendo costui un parlamentare che non ha mai ritenuto decoroso limitare il proprio appetito accumulatore. Anzi, a qualcuno sembrò che il suo unico impegno, nei primi mesi di gestione, fosse solo quello di difendere (con il compatto blocco del PdL dalla sua parte) la discutibile legittimità di svolgere contemporaneamente svariati alti incarichi, che ai comuni mortali sembrerebbero da soli superare ogni idea di "tempo pieno".
Peraltro, uomini generosissimi come Formigoni dichiarano che quello di Stanca ora "è un gesto di grande dignità". Chi di noi ne dubita? Magari, per convincercene appieno, non vorrebbe cotanto galantuomo avvertire la necessità morale di restituire i quattrini percepiti nei 14 mesi del suo deludente incarico plurimo, come gli ha chiesto Penati? È tuttavia probabile che Stanca non voglia porre simili domande alla sua coscienza, dato che anche in Parlamento egli non risulta essere stato assiduo, presenziando a stento alla metà complessiva delle sedute e addirittura, di recente, non facendosi più vedere. A marzo è mancato ben il 98,15% delle volte, a maggio non si è neppure mostrato, forse perché stava uscendo in libreria un'opera che gli auguriamo possa renderlo immortale: un libro di ricette di cucina.
Chiedere ai suoi capi e ai dirigenti di partito di prendere un'altra strada sarebbe comunque impresa vana. Ci ricordiamo o no che questi politici hanno inventato nel 2001 persino un "ministero per l'attuazione del programma", cosa che in un paese normale sarebbe controllata dal capo del governo o, al più, da un qualche suo funzionario già stipendiato? Ma così non si sarebbero potuti dare gratifiche e poltrone ai vari ex che entravano in scuderia, come l'ex DC Pisanu, seguito dall'ex PSI Caldoro, ed ora dall'ex popolare Rotondi. Per non lasciarlo solo, a quest’ultimo è stata recentemente affiancata come sottosegretario nientemeno che la signora dei salotti milanesi, Daniela Santanché. Come dire, avanti con la produttività!
Ministro Brunetta, si svegli! Lei, che a parole è tanto avverso agli sprechi, si è accorto finalmente dove stanno i veri fannulloni nella cosa pubblica? Ministro Calderoli, forse che gli enti inutili le sfuggono, quando sono di proporzioni gigantesche?
Si tratta di una spiegazione logica o piuttosto di un banalissimo giro di parole? Forse che, quando si passa dal dire al fare, è automatico che il carrozzone cambi fisionomia? Funzionano davvero così tutti i consigli di amministrazione normali?
Qualcuno, come il leghista Carioni, ritiene che Stanca avrebbe maturato la decisione soprattutto per l'introduzione, nella manovra finanziaria, del divieto al cumulo di incarichi e di stipendi, essendo costui un parlamentare che non ha mai ritenuto decoroso limitare il proprio appetito accumulatore. Anzi, a qualcuno sembrò che il suo unico impegno, nei primi mesi di gestione, fosse solo quello di difendere (con il compatto blocco del PdL dalla sua parte) la discutibile legittimità di svolgere contemporaneamente svariati alti incarichi, che ai comuni mortali sembrerebbero da soli superare ogni idea di "tempo pieno".
Peraltro, uomini generosissimi come Formigoni dichiarano che quello di Stanca ora "è un gesto di grande dignità". Chi di noi ne dubita? Magari, per convincercene appieno, non vorrebbe cotanto galantuomo avvertire la necessità morale di restituire i quattrini percepiti nei 14 mesi del suo deludente incarico plurimo, come gli ha chiesto Penati? È tuttavia probabile che Stanca non voglia porre simili domande alla sua coscienza, dato che anche in Parlamento egli non risulta essere stato assiduo, presenziando a stento alla metà complessiva delle sedute e addirittura, di recente, non facendosi più vedere. A marzo è mancato ben il 98,15% delle volte, a maggio non si è neppure mostrato, forse perché stava uscendo in libreria un'opera che gli auguriamo possa renderlo immortale: un libro di ricette di cucina.
Chiedere ai suoi capi e ai dirigenti di partito di prendere un'altra strada sarebbe comunque impresa vana. Ci ricordiamo o no che questi politici hanno inventato nel 2001 persino un "ministero per l'attuazione del programma", cosa che in un paese normale sarebbe controllata dal capo del governo o, al più, da un qualche suo funzionario già stipendiato? Ma così non si sarebbero potuti dare gratifiche e poltrone ai vari ex che entravano in scuderia, come l'ex DC Pisanu, seguito dall'ex PSI Caldoro, ed ora dall'ex popolare Rotondi. Per non lasciarlo solo, a quest’ultimo è stata recentemente affiancata come sottosegretario nientemeno che la signora dei salotti milanesi, Daniela Santanché. Come dire, avanti con la produttività!
Ministro Brunetta, si svegli! Lei, che a parole è tanto avverso agli sprechi, si è accorto finalmente dove stanno i veri fannulloni nella cosa pubblica? Ministro Calderoli, forse che gli enti inutili le sfuggono, quando sono di proporzioni gigantesche?
giovedì 17 giugno 2010
Sindaci in guerra
È guerra tra i sindaci di Como e di San Fermo sul canone di 650mila euro annui che l'azienda ospedaliera verserà a quest’ultimo quale contropartita degli oneri che verosimilmente graveranno sul comune ospitante il nosocomio. A parte i toni accesi ed eccessivi, su due cose riferite dai giornali il sindaco Bruni ha perfettamente ragione: in questa vicenda «il senso di responsabilità pubblica è totalmente assente» e «se l'ospedale non aprisse, sarebbe una sciagura e un errore gravissimo», che farebbe ridere tutta Italia. Ma è credibile che tutte le colpe debbano ricadere sul comune limitrofo al capoluogo? Si tratta davvero, come Bruni sostiene con le sue bordate, di «tangenti pubbliche», del «pizzo che va pagato al Comune di San Fermo per poter aver fatto l'ospedale»?
Chissà se il sindaco comasco rinfocola la polemica perché ha a cuore le sorti dei futuri bilanci ospedalieri, o se piuttosto cerca di distogliere l’attenzione dal come e dal perché si è giunti a tale stato di cose. Citiamo ancora: «probabilmente nell'accordo di programma andava puntualizzato meglio, ma allora l'emergenza era non perdere i finanziamenti e comunque non si sapeva dove esattamente sarebbe stato costruito l'ospedale». Impressionanti le analogie con il copione delle paratie (e, speriamo di no, con la Ticosa): bisognava fare in fretta, così non siamo stati molto attenti…
Ma quale professionalità offrono gli uffici tecnici dei nostri enti pubblici, se non riescono a mettere in evidenza fatti tanto banali come una linea di confine tra due comuni? Quale capacità di programmazione possiedono i nostri politici, se non prevedono per tempo le complicazioni più banali che seguono dalle loro avventate delibere? Cosa impediva di trovare un diverso accordo prima di posare la prima pietra, con il consueto codazzo di autorità festanti e la grancassa degli annunci? Mascetti ha buon gioco nel replicare che, in sostanza, Bruni ha firmato un accordo di programma senza capire fino in fondo ciò che comportava: sarà un tantino spregiudicato, ma non fa che portare acqua al suo mulino. Vale la pena di ricordare, per un attimo, come questi politici si sono presentati nelle campagne elettorali: dichiarandosi competenti, capaci, efficienti, operosi, il meglio sulla piazza. Non si dicono forse abituati – a differenza di certi poveri idealisti – a muoversi da professionisti nel complesso mondo degli affari? A trattare con autorità ed organismi di ogni livello con una pretesa perizia? A fare regolarmente a meno di un confronto con la cittadinanza, paghi del mandato elettorale che consente loro di calare dall’alto decisioni di enorme peso, com’è stata appunto la localizzazione del nuovo Sant’Anna?
Un lungo catalogo di mezzi insuccessi sembra smentire questa propaganda: se anche le opere alla fine si realizzeranno, vi sarà una quantità di costi aggiuntivi oppure di ritardi che fa pensare a tutto, fuori che a particolari capacità di curare il pubblico interesse. Anziché contro il proprio collega confinante, allora, sarebbe più produttivo che il sindaco di Como rivolgesse la sua vis polemica contro le storture dell’ultima manovra finanziaria governativa, che affama i comuni scaricando la gran parte dei sacrifici nel taglio dei servizi ai cittadini (benché mi renda conto che questo comporterebbe maggiori rischi per la sua carriera politica), o si dedicasse magari ad un sano ripensamento autocritico.
Chissà se il sindaco comasco rinfocola la polemica perché ha a cuore le sorti dei futuri bilanci ospedalieri, o se piuttosto cerca di distogliere l’attenzione dal come e dal perché si è giunti a tale stato di cose. Citiamo ancora: «probabilmente nell'accordo di programma andava puntualizzato meglio, ma allora l'emergenza era non perdere i finanziamenti e comunque non si sapeva dove esattamente sarebbe stato costruito l'ospedale». Impressionanti le analogie con il copione delle paratie (e, speriamo di no, con la Ticosa): bisognava fare in fretta, così non siamo stati molto attenti…
Ma quale professionalità offrono gli uffici tecnici dei nostri enti pubblici, se non riescono a mettere in evidenza fatti tanto banali come una linea di confine tra due comuni? Quale capacità di programmazione possiedono i nostri politici, se non prevedono per tempo le complicazioni più banali che seguono dalle loro avventate delibere? Cosa impediva di trovare un diverso accordo prima di posare la prima pietra, con il consueto codazzo di autorità festanti e la grancassa degli annunci? Mascetti ha buon gioco nel replicare che, in sostanza, Bruni ha firmato un accordo di programma senza capire fino in fondo ciò che comportava: sarà un tantino spregiudicato, ma non fa che portare acqua al suo mulino. Vale la pena di ricordare, per un attimo, come questi politici si sono presentati nelle campagne elettorali: dichiarandosi competenti, capaci, efficienti, operosi, il meglio sulla piazza. Non si dicono forse abituati – a differenza di certi poveri idealisti – a muoversi da professionisti nel complesso mondo degli affari? A trattare con autorità ed organismi di ogni livello con una pretesa perizia? A fare regolarmente a meno di un confronto con la cittadinanza, paghi del mandato elettorale che consente loro di calare dall’alto decisioni di enorme peso, com’è stata appunto la localizzazione del nuovo Sant’Anna?
Un lungo catalogo di mezzi insuccessi sembra smentire questa propaganda: se anche le opere alla fine si realizzeranno, vi sarà una quantità di costi aggiuntivi oppure di ritardi che fa pensare a tutto, fuori che a particolari capacità di curare il pubblico interesse. Anziché contro il proprio collega confinante, allora, sarebbe più produttivo che il sindaco di Como rivolgesse la sua vis polemica contro le storture dell’ultima manovra finanziaria governativa, che affama i comuni scaricando la gran parte dei sacrifici nel taglio dei servizi ai cittadini (benché mi renda conto che questo comporterebbe maggiori rischi per la sua carriera politica), o si dedicasse magari ad un sano ripensamento autocritico.
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