Albrecht Dürer, Navis Stultorum (in S. Brant, Narrenschiff - 1497)

venerdì 16 luglio 2010

Mano libera, man bassa

Inquietante, ma a dire il vero non imprevisto: il quadro che si delinea in questi giorni grazie all'azione degli inquirenti provoca un vivo senso di apprensione per il destino del nostro paese. Non è confinato solo a regioni disastrate, storicamente flagellate dalla delinquenza organizzata, ma si estende pure al Nord, alla prospera Lombardia. Che si tratti di smaltimento di rifiuti pericolosi, di installazioni energetiche, di appalti pubblici, di speculazioni edilizie, sempre più si evidenzia da un lato la portata delle infiltrazioni criminali nel nostro tessuto sociale, dall'altro un livello di corruzione politica che riporta alla mente gli scandali degli anni Novanta.
Stupisce, a ben vedere, che l'opinione pubblica non sembri troppo indignata davanti ai casi ripetuti che le si presentano, forse perché in parte ha interiorizzato il disonesto messaggio che la giustizia perseguiterebbe gli innocenti, ovviamente quando si tratti di politici e di loro portaborse. O forse perché si contenta dei proclami rassicuranti su “più sicurezza e meno tasse” e lascia in cambio mano libera sulla gestione della cosa pubblica: quanto libera, lo stiamo vedendo tutti. Quasi fosse una delega in bianco che, come emerge da tempo, rischia di essere pagata dal paese con lo spadroneggiare di congreghe affaristiche, di privatizzatori senza riguardi per l'interesse comune, di consorterie che premiano sistematicamente l'appartenenza anziché il merito, con funzionari politici e burocrati che si arrotondano lo stipendio, o finanziano campagne elettorali a spese dello Stato. Inoltre essere “figli di”, nel nostro paese, conta sempre di più e non, come vorrebbe la Costituzione, sempre di meno. Largo ai giovani, perché no? Purché siano spinti da parenti illustri, essi possono sedersi nell'assemblea regionale o in remunerativi consigli d'amministrazione e trovarsi così sistemati per la vita, alla faccia di “Roma ladrona”. L'arte di arrangiarsi pare eretta a regola delle varie cricche, nei termini in cui la descrive Giorgio Bocca: “non solo sopravvivere alle iniquità morali del censo e della nascita, ma trarne vantaggio, far pagare agli altri i nostri debiti, le nostre spese, migliorare il nostro posto nella graduatoria sociale”.
Anno dopo anno, così, l'Italia scende più in basso nelle classifiche della corruzione, di modo che gli investimenti stranieri si tengono ben alla larga dal nostro paese, che i giovani intellettualmente migliori sono costretti all'emigrazione, che la carriera politica di molti, al di là delle parole, è concepita ormai come mero strumento per la promozione individuale. Sulla qualità di simili governanti, saremmo periodicamente chiamati a pronunciarci con il voto. Ma rinunciare alle lusinghe, alle illusioni, alle promesse rassicuranti pur sapendo che non saranno mantenute (si prenda come ultimo esempio l'ondata imminente di tasse locali per compensare gli sfacciati tagli statali) è un compito troppo difficile? Forse sì, se si continuano a premiare l'arroganza e la faccia tosta mediatica, magari sperando nella benevolenza che i potenti esercitano grazie alle raccomandazioni e alle briciole della sottomissione clientelare.
Si colmerà un giorno la misura? E troveranno i cittadini la forza morale per liberarsi dai faccendieri e dai fanfaroni? Oppure si sentono degnamente rappresentati, e non avvertono il bisogno di cambiare?