Albrecht Dürer, Navis Stultorum (in S. Brant, Narrenschiff - 1497)

giovedì 28 maggio 2015

Ancora su intolleranza e comprensione dell'altro

Una breve replica a chi in questi giorni ha inteso manifestare, su Facebook e in altre sedi, il proprio legittimo dissenso dal mio punto di vista, dicendosi preoccupato di posizioni che giudica più o meno "razziste" e discriminatorie, che non dovebbero perciò avere diritto di cittadinanza. 
Posso apprezzare la vostra passione e ritengo che non abbiate intenzione di giustificare chi – in assoluta minoranza – sabato ha cercato lo scontro. Credo però sia un punto su cui riflettere. Da dove nasce questo accanimento contro coloro le cui posizioni non comprendiamo? Siamo sicuri che tenere accesi i toni sia il modo migliore per valorizzare le nostre buone ragioni? Ovviamente non trovi nel mio discorso una condanna di alcuna manifestazione di segno contrario, favorevole cioè all’affermazione del disegno di legge in questione.
Il punto controverso sta evidentemente nel tentativo neanche troppo velato di demonizzare chi dissente e di farne, di fatto, un bersaglio, equiparando tout court la sua posizione a ben note ed esecrabili ostentazioni di razzismo o altre attività aberranti sul piano dei principi costituzionali. Ma i giudici di questa attribuzione, guarda caso, siamo sempre noi.
A me sembra quanto meno opinabile e non molto democratico. Se si fosse tanto sicuri che la presenza nelle piazze delle “Sentinelle” rapresenti un incitamento all’odio (cioè l’unica fattispecie di reato attinente che il nostro ordinamento prevede) si porti il caso davanti a una corte di giustizia. Purtroppo, da gandhiano (carente) e obiettore di coscienza, a me sembra piuttosto di veder trasparire una tentazione sempre presente in noi, me compreso, e che mi sforzo di combattere, quella di ergerci a giudici degli altri, di delegittimare la posizione avversaria individuando un nemico in chi, semplicemente, non riesce a considerare le cose nella nostra prospettiva.
Il dibattito sulle leggi vede fisiologicamente posizioni favorevoli e contrarie: mi sembra l’essenza stessa della democrazia. Se sono certo delle mie buone ragioni, vado incontro alla sfida armato unicamente di esse. Preferisco non cercare scorciatoie che possano ledere l’essenza della libertà di espressione. Mi sembra addirittura controproducente, per un movimento che mira ad estendere l’esercizio dei diritti per le persone che si sono trovate in passato anche pesantemente discriminate, imbracciare armi (quelle della repressione, della censura, se non addirittura dello scontro fisico) che sono state utilizzate proprio per esercitare una odiosa discriminazione.
Se penso alla lotta per l’indipendenza dell’India, soprattutto all’insegnamento della sua luminosa guida, non ho dubbi rispetto alla maggiore efficacia delle battaglie condotte all’insegna della comprensione dell’altro, e comunque nella tolleranza verso ciò che, eventualmente, considero un errore. Meglio, verso colui che secondo me è in errore. Ma anche per chi non condividesse, ripeto che abbiamo la Costituzione repubblicana e le leggi a cui eventualmente appellarsi se ritenete il confronto delle idee uno sforzo inutile. Io semplicemente non riesco a considerarlo tale.

lunedì 25 maggio 2015

CoCoCo 2015-5: Intolleranza e libertà di espressione

Occorre guardare con qualche preoccupazione ad episodi come quelli verificatisi in città sabato scorso, a margine di una delle varie manifestazioni delle cosiddette "Sentinelle in piedi" che, a modo loro, esprimono dissenso contro un disegno di legge, in discussione al Parlamento, riguardante le unioni civili fra persone dello stesso sesso.
A scanso di equivoci, dichiaro subito che non condivido questa posizione, di cui apprezzo solo la modalità assolutamente non violenta che ne caratterizza l'espressione, non i contenuti. Ma si tratta innegabilmente dell'esercizio di un diritto costituzionalmente garantito, che non possiamo presumere di voler negare o vietare perché esprime posizioni che non ci aggradano. Può darsi che le intenzioni della trentina di ragazzi che ha provato a raggiungere piazza Grimoldi passando a fianco delle bancarelle del mercatino dei portici Plinio e che è stato allontanto dalle forze dell'ordine, proseguendo poi con cori e striscioni, non fossero particolarmente bellicose. Tuttavia vedo un forte rischio per l'ordiamento democratico, se si comincia a discriminare la libertà di espressione degli altri in base alle proprie convinzioni personali. Un conto è la provocazione di chi si richiama, più o meno velatamente, a ideologie totalitarie e razziste, che non può essere accettata proprio perché mira a sovvertire i valori costituzionali; ben altra cosa è presumere di potersi rapportare aggressivamente o in maniera censoria contro chi manifesta pacificamente idee diverse dalle nostre.
Va certamente ribadito e condiviso l'assunto che i diritti civili vadano sempre meglio compresi ed applicati per tutti, conformemente all'art. 3 della Costituzione, per il quale appunto “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Nel caso in questione, si tratta ovviamente di mantenere fermo anche l'altro principio inossidabile dell'art. 21, che “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.”
È francamente insensato che si richiedano prese di posizione liberticide a questo consiglio, come è avvenuto in un intervento della scorsa settimana nel quale, con grande facilità ed altrettanta superficialità, si voleva estendere la ferma posizione antifascista che il Consiglio stesso ha ribadito con una recente mozione a nuovi divieti contro chi esprime posizioni discutibili, come ve ne sono in ogni dibattito su testi di legge, semplicemente perché esprimono una visione del mondo da noi non condivisa.
È risaputa, e viene talora citata anche nei nostri lavori consiliari, la frase attribuita a Voltaire: “Non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu lo possa dire”. Il grande illuminista in realtà non l'ha mai scritta né pronunciata; si tratta di un equivoco generato dall'eccesso di libertà interpretativa di una scrittrice inglese in un volume del 1906.
Infatt Evelyn Beatrice Hall compendiò il pensiero dell'autore del Trattato sulla tolleranza in questa frase: «I disapprove of what you say, but I will defend to the death your right to say it.» (The Friends of Voltaire, 1906, riprendendola anche nel successivo Voltaire In His Letters (1919). Per chiudere la storia di questa falsa citazione, Charles Wirz, Conservatore de "l'Institut et Musée Voltaire" di Ginevra, ricordava nel 1994, che Miss Evelyn Beatrice Hall, mise, a torto, tra virgolette questa citazione in due opere da lei dedicate all’autore di « Candido», e riconobbe espressamente che la citazione in questione non era autografa di Voltaire in una sua lettera del 9 maggio 1939.
Ad ogni modo, prendiamola pure come un indicatore opportuno del nostro attuale senso di civiltà, di inclusività democratica e, appunto, di tolleranza, esattamente come espressa da molti nella recente e drammatica vicenda che ha portato ad affermare la propria solidarietà nei confronti delle vittime del massacro al giornale satirico Charlie Hebdo. Non facciamo quindi due pesi e due misure, secondo l'occasione del momento. Ovviamente possiamo sempre manifestare il nostro “dissenso al dissenso”, ribadire con la forza delle argomentazioni il sostegno ad un disegno di legge che intende estendere i diritti dei cittadini, indipendentemente dal loro orientamento sessuale. Ma non chiedeteci, per favore, di reprimere i dissidenti. Non create ad arte presunti nemici della democrazia in cittadini della Repubblica che attuano un loro diritto inalienabile. Il rischio, come si è visto, è di indicare bersagli per una nuova intolleranza. Vi prego caldamente, fermatevi qui. Non costringete la nostra coscienza democratica a dove dire, un giorno, “sono una sentinella in piedi” per solidarizzare con chi rischia di essere vittima di aggressioni che con l'autentico confronto politico hanno poco a che vedere.

mercoledì 13 maggio 2015

CoCoCo 2015-4: Sul bilancio consuntivo 2015

Ho cercato qualche valida ragione per non votare questo bilancio.
In coscienza, non ne ho trovate e, salvo qualche legittimo spunto di critica, non ne ho neppure ravvisate nel dibattito in quest'aula. Parlo di ragioni valide e convincenti, naturalmente. Se bastasse lamentarsi delle cose non fatte, sorvolare sulla pluralità di interventi realizzati perché li si considera troppo piccoli per il proprio sguardo elevato, riprendere il lamento qualunquista sulla città che non cambia passo, allora saremmo a cavallo. Ma staremmo parlando d'altro, facendo cioè una lettura chiaramente alternativa a priori all'operato di questa amministrazione, e perciò ferma al gioco di ruolo che di fatto disconosce ogni elemento positivo di tale operato.
In sintesi, questo è un bilancio che:
- risente evidentemente di una serie di vincoli esterni che rendono difficile la gestione della spesa corrente;
- riesce però ad evitare la diminuzione dei servizi erogati;
- ha saputo gestire in modo attento la programmazione degli impegni e dei pagamenti sulla competenza;
- ha realizzato un completo monitoraggio dei pagamenti delle opere finanziate negli anni precedenti;
- ha operato in modo significativo la riduzione dell'indebitamento;
- ha avviato una percepibile diminuzione della spesa per il personale.
Tutto è migliorabile. Ma le critiche che ho sentito trascurano volutamente i passi fatti e le difficoltà strutturali. Ho però riconosciuto, in qualche intervento, intenti più costruttivi, quando individuano nel miglioramento dell'efficienza degli uffici il punto chiave sul quale operare, in una prospettiva strategica, per migliorare la qualità del servizio e contemporaneamente liberare risorse.
Dico chiaramente che la valutazione dell'operato degli uffici, non in sé, ma come viene espressa in questo documento, è un vero problema. Infatti l'indicazione della realizzazione percentuale degli obiettivi, è
1) solo debolmente significativa, perché non indica l'effettiva realizzazione di opere, ma solo dei vari segmenti in cui l'azione è suddivisa;
2) difficile da leggere per un profano, senza la contestuale e puntuale indicazione degli obiettivi stessi;
soprattutto 3) facile strumento per le strumentalizzazioni interessate di chi finge di non capire (e ci riesce benissimo), rendendo un discutibile servizio alla sua causa e, a mio giudizio, un pessimo servizio alla città. Ma appunto, è un sistema carente per come è concepito: va modificato in modo radicale, per diventare leggibile pienamente e nei termini corretti, ossia come indicatore di processo e non di risultato.
Così, forse, si contribuirà ad evidenziare l'impegno degli uffici e di una buona parte del personale, al quale dico: non smettete di credere che il vostro lavoro sia necessario e prezioso per la collettività; favorite il miglioramento dei processi; combattete il lassismo, se vi trovate confrontati con esso nell'esperienza quotidiana; non avversate i cambiamenti che vengono proposti per aumentare l'efficienza. La città ve ne sarà grata.
Al Sindaco e alla giunta, nel rinnovare una piena condivisione e fiducia nel loro operato, dico di non demoralizzarsi se una parte dell'opinione pubblica non riesce ancora a percepire l'impegno quotidiano e costante che profondete nel vostro lavoro. In primo luogo non è tutta la cittadinanza. Molti vedono con favore lo stile sobrio e serio con il quale ci si sta muovendo, da operai coscienziosi che operano con il cacciavite e non, come i più bravi a parole pretenderebbero, con la dinamite.
Le tantissime situazioni che si stanno affrontando, e cominciano a trovare una sistemazione visibile; il ripristino, ancora non ottimale ma tangibile, di varie parti della città;la fioritura di iniziative culturali, incoraggiate e messe in rete dall'amministrazione, sono alcuni dei segnali che danno a tanti di noi la netta percezione di vivere in una Como migliore, rispetto a qualche anno fa: non una città perfetta e senza problemi, ma una città che si è messa in cammino per risolverli, che respira più liberamente, che attua forme di partecipazione spontanea e organizzata, e che non si riconosce nel quadro a tinte fosche dipinto in quest'aula. Per questo vi esprimo anche la mia personale gratitudine di cittadino comasco, e vi incoraggio a voler credere ancora nei nostri progetti, a continuare in questo sforzo nonostante le enormi difficoltà. Grazie.

domenica 10 maggio 2015

La politica che cambia le carte in tavola, che noia

Sconcertante. Così si potrebbe definire la lettura delle dichiarazioni pubblicate venerdì 8 maggio  sul “Corriere di Como” da parte di rappresentanti dell’opposizione in merito all’area Ticosa. Nel teatrino della politica, non è una novità: tecnicamente, si chiama “rivoltare la frittata” delle responsabilità. Però le stupidaggini e le falsità sono sempre una mancanza di rispetto nei confronti dei cittadini, e quindi tocca replicare alle accuse ingiuste, infondate e strumentali.
In breve, si dice che “il PD” con “ricatti e ostruzionismo” ha fatto crollare il valore dell’area. Qualcuno  ignora che i prezzi variano nel tempo, e che li fa il mercato, non le chiacchiere dei politicanti? Le fantasie “ricattatorie” non sono fumo per mascherare l’incompetenza di chi governava prima la città? E soprattutto,  se il bene è “guasto” e privo in realtà di valore a causa dell’amianto,  la colpa è di chi lo sta rimettendo a posto, oppure dell’incompetente che  lo spacciava per buono e ha rifilato questa ennesima rogna alla città?
Si propone una laurea honoris causa in economia.
Si aggiunge che bisognava fare “subito” un parcheggio a pagamento per incassare, anziché spendere soldi per la bonifica. Peccato che le procedure, una volta avviate, vadano completate, pena ulteriori sanzioni di cui la città non ha bisogno. Oltretutto si sarebbe chiusa per sempre la porta alle prospettive di riqualificazione dell’area a servizio della comunità, che ancora sembrano aperte. Il parcheggio è l’ipotesi sensata, ma minimalista, che l’amministrazione ha sempre avuto presente, ed è però un ripiego, che sancirebbe doppiamente la dabbenaggine di chi avviò trionfalmente l’operazione Ticosa con fuochi d’artificio e superficialità illimitata. Dovevate farlo allora, verrebbe da dire, se era così semplice!
Si propone una laurea honoris causa in urbanistica.
Infine,  sulle sempiterne accuse di “incapacità” all’amministrazione, è comodo e falso affermare che si fosse assicurata, per le enormi magagne e lo sfacelo che il centrodestra lasciò, una impossibile “soluzione immediata”. Immediata, e costante, è stata però l’applicazione per affrontare i problemi e costruire le soluzioni, anche se con le mani legate dai pesanti vincoli normativi ereditati.  I bilanci comunali, prosciugati dalle bonifiche, ne sanno qualcosa. Grazie ancora, cari ex assessori!
Maghi e miracoli stanno da un’altra parte, e non dubitiamo che li vedremo comparire a mazzi in campagna elettorale. L’amministrazione Lucini fa con pazienza ogni sforzo, e lotta anche contro situazioni impreviste, per venire a capo delle grandi ferite che altri hanno inferto a Como. Non abbiamo paura del giudizio degli elettori, ma le persone sensate capiscono che i risultati, su questi grandi temi, vanno valutati al termine del mandato. Per gli altri, più o meno facinorosi, proponiamo una laurea honoris causa in futurologia.

lunedì 20 aprile 2015

CoCoCo 2015-3: Chiacchiere e intolleranza sono più utili della formazione al lavoro?

L'emergenza umanitaria legata all'arrivo di nuove ondate di profughi sul nostro territorio non può che destare preoccupazione e una mobilitazione anche politica, di cui cogliamo i segnali contrastanti. Giustamente, con le parole del Presidente Mattarella «l'Italia invoca da tempo un intervento deciso dell'Unione europea per fermare questa continua perdita di vite umane nel Mediterraneo, culla della nostra civiltà». Spiace però constatare che una speculazione politca di infimo livello sta riprendendo fiato, un giorno sì e l'altro pure, tentando di alimentare un'irrazionalità collettiva e paure nuove ed antiche, stavolta anche con la deplorevole “variazione sul tema” di prendersela con chi si rimbocca quotidianamente le maniche per affrontare l'emergenza.
In questo caso il bersaglio comasco è la Caritas, oggetto di un attacco tanto demagogico quanto sconsiderato da parte del deputato leghista Molteni, che sarebbe colpevole di promuovere «anche corsi di formazione, digiardinaggio, di cucina, di panificazione, percorsi di inserimento lavorativo, mediazione culturale, corsi di lingua, assistenza sanitaria gratuita». Questo sarebbe lo "scandalo" di un presunto sistema discriminatorio di aiuti, che riprende la semplicistica contrapposizione di "noi" e "loro" nella speranza di raccattare i voti di quanti, a ragione o torto, si sentono marginalizzati o semplicemente impauriti dalle trasformazioni sociali in atto.
L'intento dei parolai nazionali e nostrani, però, è chiaro. I problemi sul territorio non vanno affrontati, ma lasciati aggravare, per poter continuare a lucrare in termini elettorali.
Chi lavora per l'integrazione, per dare alle persone che la guerra o la disperazione fanno approdare ai nostri lidi una prospettiva che alla fine li renda utili alla collettività che li ospita, va colpevolizzato. Chi mostra un senso concreto di responsabilità nei confronti del suo prossimo, anche per attenuare il disagio sociale complessivo, deve essere accusato di "buonismo", perché si rifiuta di cedere alla logica delle contrapposizioni sterili e inconcludenti, utili peraltro solo ad alimentare la rabbia dei disagiati e a far salire il clima di intolleranza.
Capisco che sentir parlare di "formazione" sconcerti taluni, per le prospettive di composizione armoniosa delle conflittualità che apre, di inserimento produttivo nelle nostre comunità, ben oltre le logiche dell'assistenzialismo. Mi chiedo però quanto sia utile, a queste nostre comunità, far cagnara, levare alto il grido dell'"invasione", suscitare paure e risentimenti, e soprattutto, ripeto, prendersela con chi fa concretamente qualcosa di buono per gli altri: italiani e non.
La massima impostura di questi pseudoragionamenti ipocriti sta nel nascondere l'opera costante e preziosa che la stessa Caritas svolge da sempre nei confronti di ogni forma di povertà, certo senza stare a indagare sui dati anagrafici e però includendo tutti gli italiani veramente bisognosi.
Forse questa azione meritoria non basterà da sola a risolvere gli enormi problemi che lo scenario internazionale ribalta addosso alla comunità nazionale e a quella locale. Ma di certo le parole a vanvera dei politicanti che si impancano a “professionisti della paura” possono servire solo ad aggravarli, al solo scopo di raccattare qualche voto in più. Ma spero francamente che gli Italiani non seguano questa deriva degenerativa, di reale imbarbarimento della politica che avvelena il nostro paese e mina la nostra credibilità di Paese: quella deriva che, per citare ancora il Presidente Mattarella, rischia solo di farci «smarrire la nostra umanità».

lunedì 23 marzo 2015

CoCoCo 2015-2: Occupazione di suolo e consumo di tempo. Fatti vs. parole

Arriviamo alla fine di una lunga serie di sedute destinate all'approvazione del regolamento per l'occupazione del suolo pubblico. Lo scopo fondamentale, ce lo siamo detti, è quello di contemperare le esigenze dei privati, delle legittime attività economiche, con l'interesse pubblico.
L'obiettivo è stato a nostro avviso pienamente realizzato. Ma quante parole sono state necessarie per arrivarci! Credo appunto che, in conclusione di questa "maratona", la cosa più utile da fare sia proprio questa: distinguere le tante, troppe parole pronunciate in quest'aula dai fatti certi e verificabili.
Il primo fatto: il regolamento esiste ed è un importante risultato politico di questa amministrazione, piaccia o non piaccia.
Un secondo fatto: si è finalmente intervenuti in modo conclusivo dopo anni e anni di inerzia, di quieto vivere, di sostanziale disinteresse. Il coraggio di operare ovviamente espone sempre il fianco a critiche, molto più di chi lascia tutto come sta, o addirittura nasconde la polvere sotto il tappeto. Però le tante, troppe parole di contorno, che abbiamo udito e volte a denigrare la Giunta e egli uffici sono appunto parole: un parere personale e non disinteressato di un'opposizone che si sente già in campagna elettorale e prova a cavalcare tutti i temi possibili in questa chiave: "non sapete lavorare, fate solo disastri, e quel ch'è più grave non ci state ad ascoltare", eccetera. Parole, vuote parole, e troppo numerose.
Sì, perché il terzo fatto è che ci sono volute innumerevoli ore per approvare un testo che certamente poteva essere perfezionato, e lo è stato con il concorso di tutti. Si è forse chiusa a riccio la maggioranza, presentando un testo “blindato”? No: un quarto dato di fatto è stato appunto che, dove si è trovato ragionevole operare dei cambiamenti, le proposte migliorative non sono state respinte, a differenza di quanto adombrato in alcuni interventi polemici.
Un quinto fatto è quello dell'ascolto e della ragionevolezza: senza voler essere inutilmente perentori, si è voluto tener conto delle istanze di chi trae comunque un guadagno dall'occupazione del suolo pubblico, prorogando nel tempo una serie di assolvimenti onerosi, o preoccupandosi di garantire l'equilibrio tra moderne esigenze di concorrenzialità e riconoscimento delle professionalità maturate.
Questi i fatti. Ma torniamo alle parole fiorite in quest'aula: sono state tutte strettamente necessarie? Quando ci si mette più di un mese di sedute non solo per la proposta di modifiche, ma per infarcire con i più vari commenti la discussione con disquisizioni che a volte sono poco più che opinabili dettagli, quando si passano le ore a sentir sproloquiare di stile sovietico, di giovanili visite al gabinetto, di fiori di plastica partoriti dalla fantasia dell'oratore, ma non certo presenti nella regolamentazione che si è discussa: a chi possiede un minimo di concretezza non viene forse il sospetto che si stia esagerando?
Certo, le parole in libertà sono sempre pronte a giustificarsi: "il regolamento è pessimo, è una sciagura, è stato scritto male, bisogna cambiarlo in tutti i luoghi e a tutti i costi", compreso un consumo di tempo che non sembra avere equivalenti nei dibattiti consiliari di altri capoluoghi; ma simili giudizi sono fatti, oppure opinioni interessate? Sono semplici parole della politica, che democraticamente ci è consentito di non condividere. Ma se poi, per evidenti ragioni di contenimento dei tempi, i consiglieri di maggioranza rinunciano a pronunciarsi a loro volta su tutto e a polemizzare sui dettagli più insignificanti, è pronta un'altra raffica di parole per esortarci, in toni tutt'altro che civili, ad alzarci dalla sedia. Dovremmo cadere in queste provocazioni verbali e consumare altro tempo per replicare? No, perché sono aria fritta, e coi fatti hanno poco o nulla a che vedere.
E non è un altro dato di fatto che la maggioranza ha operato una lunga serie di incontri sul presente regolamento, cioè ciascuno di noi ha impiegato ore del suo tempo per comprendere e formulare osservazioni, alcune delle quali hanno anche trovato forma in emendamenti, essendo il frutto di una riflessione condivisa e continuata?
Ma certo: se il regolamento fosse arrivato come un pacchetto preconfezionato e non modificabile, ci sarebbe stato detto che siamo sotto la dittatura della giunta, e noi consiglieri di maggioranza ne siamo i servi (naturalmente ignorando del tutto cosa significhi saper fare squadra, ma è più comodo per le ricostruzioni faziose dipingerci così, perciò ce ne facciamo una ragione e non rimane altro da fare che compatire chi ci rivolge attacchi di questo tenore).
Se invece, come è stato, si tratta di una costruzione compiuta ed organica, ma comunque perfettibile e perciò modificabile, ci vien detto: non sapete lavorare.
Calunniate, calunniate, qualcosa resterà, diceva Voltaire, e prima ancora di lui Bacone. Un metodo adatto alla prossima campagna elettorale, che è già partita e che ha naturalmente bisogno di molte parole: non saranno, alcune di esse, proprio quelle profuse a iosa nelle sedute precedenti, e ancor più in alcune delle ultime dichiarazioni di voto?
Alcune sono state un contributo alla definizione di una soluzione comune. Ma altre si sono rivelate, come si è detto, semplici parole in libertà, che il giudizio degli elettori potrà vedere alla fine smentito dai fatti che questa amministrazione sta producendo e ancor più dalle realizzazioni degli ultimi anni di mandato. Questo giudizio, naturalmente, può esercitarsi da oggi anche su un ultimo dato di fatto: che le nostre interminabili sedute hanno dei costi, sui quali i cittadini sapranno e vorranno esprimere un giudizio. Anche questi sono costi "della politica": sarebbe quindi buona cosa impiegare queste risorse senza limitare il confronto delle opinioni, ma anche, con democratica saggezza, tenere in debito conto che le parole scollegate dai fatti, le mere opinioni tendenziose, a furia di ripeterle ossessivamente e per giunta con debole fondamento nei fatti, a parte lo sfogo della propria vis polemica, prima o poi vengono anche a noia.

lunedì 2 febbraio 2015

CoCoCo 2015-1: Fanatismi burocratici e diritto di culto

Qual è lo scopo di un'amministrazione? Complicare la vita dei cittadini con infiniti passaggi burocratici, vincoli insostenibili, norme fuori dalla realtà?
È quanto ci si sta chiedendo in gran parte dei comuni lombardi, all'indomani dell'approvazione delle modifiche alla legge regionale n. 12 del 2005 che, con la scusa di regolare un ambito di evidente importanza e delicatezza, mirano solo a rendere più difficile l’insediamento di nuovi servizi religiosi. La tecnica è evidente: non potendo negare il principio costituzionale dell’eguaglianza delle religioni di fronte allo Stato, si cerca di limitarne l’esercizio attraverso l’assoggettamento a normative edilizie e urbanistiche contorte.
L'intento ostruzionistico è stato chiaramente messo in luce anche dalla recente dichiarazione dell'ex presidente Formigoni, il quale evidenzia come il testo originario, poi modificato, prevedesse addirittura il vincolo che limitava i nuovi luoghi di culto alle confessioni che hanno un'intesa con lo Stato, palesemente incostituzionale; il punto secondo cui un culto per avere diritto a un tempio avrebbe dovuto essere rappresentato a livello nazionale, altro vincolo normativo tendente all'assurdo, e che la decisione di un Comune fosse sottoposta a una consulta regionale. Pur emendata dei suoi dettagli più beceri, la norma rimane viziata da “un eccesso di regolazione, vincoli urbanistici francamente eccessivi, ostruzionistici”.
Il provvedimento contiene infatti disposizioni che prevedono, per tutti i nuovi luoghi di preghiera di qualsiasi confessione, uno spazio per parcheggi grande due volte l’area interessata alla concessione, fino a un «Piano attrezzature religiose» che dovrà essere sottoposto a Vas (Valutazione ambientale strategica) con l’acquisizione del parere di comitati, organizzazioni e rappresentanti delle forze dell’ordine. Ma la norma prevede anche qualcosa di assai controverso come la possibilità di indire un referendum sul nuovo insediamento religioso.
Non è un caso che la Curia di Milano abbia preso le distanze dalla legge lombarda, che rischia di «produrre effetti che vadano al di là delle intenzioni di chi li propone».
Riprendo la valutazione dell’assessore all’Urbanistica del Comune di Como Lorenzo Spallino «La norma impone di approvare il Piano per le Attrezzature Religiose, nuovo componente del Piano dei Servizi, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della legge regionale. Decorso questo termine il piano è approvato unitamente al nuovo Piano di Governo del Territorio. Si tratta di un documento in più, di cui francamente non si sentiva la necessità. Per obiettivi propri di una minoranza politica si rende più complicata la vita delle amministrazioni locali. Quando sono proprio queste a chiedere a gran voce, indipendentemente dagli schieramenti politici, una semplificazione delle procedure».
Invece «La nostra proposta è di avviare un percorso parallelo a quello oggi condotto dalla variante al Pgt in essere, in attesa della pronuncia della Corte Costituzionale che immagino il Governo investirà della questione».
Già l’avvocatura del Consiglio, organo che fornisce assistenza legislativa e legale alla Regione, aveva espresso fortissime critiche a queste proposte dalla maggioranza regionale, evidenziandone i caratteri di incostituzionalità. Secondo l’avvocatura regionale, la libertà religiosa è costituzionalmente garantita e non può esser regolata dalla normativa urbanistica di competenza regionale. Viene inoltre bocciata anche la proposta referendaria poiché avrebbe l’effetto di creare nuovi oneri finanziari, se non per la Regione, per gli Enti Locali presenta «evidenti profili di criticità sotto il profilo della possibile violazione dei principi costituzionali dei diritti inviolabili della persona e del diritto all’uguaglianza».
Come già rilevato in sede di dibattito, questo provvedimento è frutto dell'islamofobia della Lega e dei suoi alleati del centrodestra che, nel tentativo irresponsabile di impedire la realizzazione di moschee, rischiano di ostacolare chiunque intenda esercitare pubblicamente il proprio culto, compresi i cattolici, limitando nei fatti la libertà di tutti. Questa legge non risolve un solo problema e non limiterà il proliferare di irregolarità. I musulmani continueranno a pregare per strada, negli scantinati o in centri culturali spesso fatiscenti e difficili da controllare, come hanno fatto fino ad ora. Verranno colpite, invece, tutte le altre confessioni religiose, compresa quella cattolica, che dovranno sottostare agli aggravi burocratici introdotti con questa legge. Sarà molto più difficile costruire nuovi luoghi di culto o semplicemente cambiare destinazione d'uso di edifici già esistenti. È mai possibile che per avere un nuovo oratorio si dovrà effettuare la valutazione ambientale strategica? Questa legge è un clamoroso errore, utile solo a fomentare lo scontro tra cittadini, prima che tra religioni, esattamente ciò che fa comodo alla Lega.
Del resto, è proprio quello che dice l’associazione dei Comuni, l’Anci lombardo. Lo spiega il presidente, e sindaco di Monza, Roberto Scanagatti: «La cosiddetta “legge anti-moschee”, oltre a contenere ancora dei profili che sollevano dubbi di incostituzionalità, sicuramente complica ulteriormente l’attività degli enti locali». Inoltre, «lede l’autonomia dei Comuni nella predisposizione degli strumenti urbanistici, aumenterà i costi e aggraverà i procedimenti burocratici».
In sostanza, siamo di fronte ad un assurdo provvedimento, che non sta in piedi e che presto o tardi verrà cassato in sede di valutazione costituzionale. Nel frattempo si ostacola insensatamente l'attività dei comuni e la vita delle comunità religiose di qualsiasi confessione. Alla fine, si dovrà fare marcia indietro, tra ricorsi e difese legali, tempo sprecato e spese varie, però dopo essersi fatti belli agli occhi del proprio elettorato, ammiccando – ormai ci siamo abituati – alla “difesa” contro fantomatiche “invasioni”.
Per questo modo pasticciato e demagogico di operare a livello legislativo, dalla prospettiva comunale, non ringraziamo affatto. Non sono forse proprio questi gli sprechi e i costi inutili della politica che ci potrebbero essere facilmente risparmiati?

lunedì 15 dicembre 2014

CoCoCo 2014-11: Un'occasione nel nostro cortiletto

Dobbiamo discutere di due mozioni che pur avendo lo stesso oggetto hanno un taglio molto differente. Pertanto, pur unificandole nella trattazione, le affronterò in modo distinto. Infatti, nella prima, quali temi sono posti al centro? Essenzialmente la forma dell'opera e la sua maggiore o minore piacevolezza nel contesto entro cui la si vuole inserire.
Si vedrà subito che ci muoviamo nell'ambito delle valutazioni soggettive. Se l'opera meritasse critiche perché ad alcuni ricorda una “M” di Milano (e perché non di Mussolini, che ne aveva odiosamente costellato l'Italia nel Ventennio, oppure di Mamma, parola evocatrice di dolci sentimenti?) oppure richiamasse uno stemma automobilistico, o ancora le stesse iniziali di Alessandro Volta, evidentemente basta replicare che ciascuno può trovarle più o meno indovinate e gradevoli, ma in ultima analisi De gustibus non est disputandum. Se poi, oltre la scarsa consistenza di una disputa sulle iniziali, si volesse portare la questione sul piano propriamente estetico, verrebbe subito da chiedersi quale competenza specifica possa vantare questo consiglio comunale, al di là della salomonica constatazione che, appunto, l'installazione può piacere o non piacere: e qui mi sembra che il tentativo di asserire che non di un'opera d'arte si tratta, ma di semplice elemento ornamentale, non valga altro che a convalidare la posizione di Libeskind stesso, quando dichiarò a Como che “l'arte non si crea con il consenso e con i voti ma nasce dall'istinto. Che, in questo caso, omaggia anche la capacità imprenditoriale dei comaschi. E io non penso l'arte per gli architetti ma per i giovani, per i bambini, per le generazioni che verranno”. Posizioni evidentemente opposte, ma sulle quali gli unici che potranno dare un giudizio definitivo (o comunque qualcosa che gli si avvicini) saranno proprio le generazioni future, come la storia ha illustrato con molteplici esempi, anche celeberrimi.
Naturalmente si cerca, con una punta di snobismo, di estromettere subito dal dibattito l'esempio storico rappresentato dalla Tour Eiffel parigina. Non sono così convinto che non possa essere un valido spunto di riflessione, al contrario, ma per non turbare gli animi più sensibili eviterò di riprenderlo, riportando al suo posto una storia di casa nostra che è altrettanto istruttiva di quanto il potere di condizionamento rappresentato dai gusti del tempo, dalla lungimiranza degli uomini, o anche dal comprensibile desiderio di voler avere sempre ragione, possa modificare la storia in un senso o nell'altro.
La riporto come è facile reperirla su vari siti internet, non ultimo quello di “Como5stelle", che la chiama “una storia di ieri”.
Come molti di noi sanno, “nel 1870, un commerciante milanese chiamato Sebastiano Mondolfo, residente in una villa in Borgovico e presidente della società di navigazione Lariana, offrì alla città 20.000 Lire per comprare una fontana monumentale del Palazzo Litta a Lainate, ed usarla per abbellire Piazza Cavour. I maggiorenti della città rifiutarono il programma originale, credendo che una rilocazione di una tal opera d’arte dal palazzo riservato all’aristocrazia ad uno spazio pubblico fosse inaccettabile. Pertanto Mondolfo usò la sua offerta nel 1872 per assumere uno scultore locale chiamato Biagio Catella per progettare una nuova fontana. In poco più di sei mesi, Catella, con una squadra di artigiani, completò la fontana scolpita in marmo bianco italiano e composta da una immagine centrale di un cigno circondato dalle creature del mare e dalla scultura ornamentale. Il 23 settembre 1872, la fontana fu attivata. Alimentata da un piccolo acquedotto da Monte Olimpino, la fontana svolse una funzione pratica per la comunità, fornendo l’acqua potabile.
Il risultato estetico fu argomento di dibattito acceso e perfino ridicolo. Alcuni "molto pudichi" osservatori ebbero da ridire sulle figure femminili nude delle naiadi per gli effetti negativi che avrebbero potuto avere sulle morali dei bambini in giovane età. Altri ritennero che il cigno assomigliasse più molto esattamente ad un’oca. Le creature del mare in generale furono percepite come linguaggio figurato non consono al lago d’acqua dolce adiacente. Quelli situati nelle più alte zone della città si dissero preoccupati che le acque necessarie per fare funzionare la fontana, avrebbero richiesto troppa pressione per i loro rifornimenti idrici. La Comunità si divise fra coloro che gradivano la fontana e coloro che si opponevano alla sua realizzazione ("gli anti-fontanisti"). A risolvere la controversia ci pensarono le acque del lago corrodendo le fondamenta del materiale di riporto già nel 1890. Una crisi dell’economia comunale lasciò la città senza le risorse per la riparazione e per il funzionamento e la fontana fu smantellata e messa in un deposito nel 1891. Nel 1899, un’esposizione e un fuoco disastroso appesantirono ulteriormente la situazione finanziaria della città e, nel tentativo d’alleviare il debito locale, il consiglio comunale autorizzò la vendita della fontana per 3.500 Lire (l’equivalente valutato allora di $637). Nel 1902, William Rockefeller comperò la fontana investendo altri $25.000 per portarla nella città di New-York, in cui fu installata al giardino zoologico del Bronx nel 1903. Successivamente, gli architetti Heins e La Farge progettarono una nuova sistemazione e, nel 1910, la fontana fu spostata verso la posizione attuale nel lato nord del giardino zoologico alla Astor Court. Nel 1968, la fontana è stata designata simbolo ufficiale di New York City ed è uno dei pochi monumenti locali che ha questo onore.”
Ciò che all'epoca suscitò aspri dibatti e sulla cui qualità e addirittura moralità molti avevano da ridire, è oggi un riconosciuto patrimonio storico... ma di un'altra città, non la nostra. Un'occasione perduta? Evidentemente, almeno un caso in cui non si è saputo guardare molto lontano.
Ecco, in fondo qui ci si sta prospettando una situazione simile, in cui la polemica politica del presente contribuisce a nascondere un'orizzonte di potenzialità positive che diventa attuabile solo nel momento in cui si vanno a vedere le carte, in cui con un certo coraggio si accetta la scommessa. Non rimane altro da aggiungere a questa prima parte del dilemma.
Per correre ai ripari e corroborare la tesi dell'errore epocale che l'amministrazione starebbe compiendo con Libeskind, ecco intervenire la seconda mozione, in cui con ampio apparato storico comasco si parla delle procedure corrette per arrivare a decisioni di cotanto impegno, che in passato si sono attuate, ma che la giunta attuale avrebbe disatteso. A parte che invocare a corrente alternata le scelte di un grande sindaco del passato che “non andava bene” richiamare in tema di ZTL e invece “va bene” richiamare in tema di monumenti potrebbe sembrare almeno un poco strumentale, è vero che il tema qui evocato è importante. In modo del tutto improprio, però, si afferma l'esistenza di un possibile vulnus alla democrazia (sillogismo: in ogni città del mondo evoluto si propongono costanti consultazioni popolari per decidere sul posizionamento di tutte le statue e di altri monumenti; proprio solo a Como ciò non avviene; perciò siamo in una dittatura), quando è evidentemente una – non meno importante - questione di responsabilità politica. Non che le due cose non siano connesse, ma in mezzo vi è un piccolo dettaglio, ossia quello del mandato popolare ad operare scelte per il bene della città che, fino a prova contraria, è stato affidato all'attuale sindaco dalle consultazioni del 2012.
Perciò, alla domanda se il Sindaco e la giunta abbiano il diritto di muoversi e compiere delle scelte in ambiti come quello che è oggetto di discussione, la risposta in termini giuridici è certamente affermativa. Direi che questa scelta è stata anche adeguatamente argomentata e non cade dal cielo: come ha dichiarato il Sindaco, è “una opportunità che si è presentata, portata avanti da privati (senza distogliere risorse o energie pubbliche) che potevamo decidere se accogliere o no, ma rifiutarla non avrebbe permesso di "fare altro". [...] E' normale che, nel merito dell'opera, ci siano valutazioni discordanti e ci si divida: a qualcuno può piacere ad altri può non piacere. Tuttavia, continuo a pensare che portare in città qualche elemento di novità e di richiamo internazionale sia positivo. L'opera trae beneficio dall'essere collocata in mezzo al lago? Probabilmente si. Ma crediamo che lo scambio ed il vantaggio siano reciproci. Mi piace pensare che la realizzazione del monumento possa rappresentare un'occasione per valorizzare in termini di fruizione pubblica uno spazio che molti solo ora sembrano aver scoperto.” (3 dicembre).
Alla domanda, ben più rilevante, se il Sindaco e la giunta debbano assumersi la responsabilità politica del loro operato pure in questo caso, è evidente che la risposta è altrettanto positiva. Le scelte amministrative sono, o dovrebbero sempre essere, oggetto di un'attenta valutazione da parte dell'elettorato, che potrà considerarle all'interno della cornice generale di quanto è stato compiuto per il bene della città, ed eventualmente bocciarle col voto alle prossime elezioni comunali. Però presentare come un “disastro annunciato” questa scelta risponde solo a comprensibili logiche di campagna elettorale anticipata; e se anche “disastro” fosse (cosa peraltro di cui è più che ragionevole dubitare, per i motivi che vedremo) esso non mancherà di essere punito da un elettorato al quale i critici di oggi si potranno presentare domani come altrettanti salvatori della patria, purtroppo inascoltati. Poi quest'ultima cosa non sarebbe neanche vera, e qui c'è un'altra confusione caratteristica del dibattito: il fatto che essere ascoltati significhi poter imporre il proprio punto di vista bloccando le operazioni amministrative che non piacciono, e questa è proprio una bella pretesa...
Io credo che il vero e fondato timore dei detrattori di oggi sia un altro. Quando l'opera fosse posta a destinazione, e si vedrà che l'impatto sul fronte lago non è affatto così invasivo come molti oggi decantano; quando, passato un periodo iniziale, l'occhio comincerà ad abituarsi, potendo cogliere sempre meglio i contenuti estetici nel rapporto col panorama circostante; quando si comincerà, da parte di un numero crescente di cittadini e turisti, a considerarla parte integrante del patrimonio culturale ed artistico della città, diventerà allora difficile giocare “politicamente” questa carta. Meglio suscitare timori ed opposizione ora, giocando sulla paura davanti all'indeterminato che rientra tra le emozioni umane più forti ed utili a creare un seppur parziale consenso. In modo accorto, più che il rifiuto del dono si evoca una dislocazione diversa: non è che siamo contrari, ma non deve stare qui, non adesso, una strategia che abbiamo già visto praticata con enorme frequenza ed è espressa nel celebre acronimo NIMBY: Not in my backyard, non nel cortile di casa mia.
Il convincimento del Sindaco, che condivido, è invece che si tratti di un'occasione offerta alla città, che si deve utilizzare, alla stregua di altri meritevoli contributi di azione volontaria, o di finanziamenti da privati per migliorare e abbellire la nostra città. È comprensibile che non si condivida questa prospettiva, ma come ho detto vi è una responsabilità politica che la giunta assume con questa scelta in sé legittima e sensata, sebbene non sottoscritta da tutti. Sarebbe auspicabile, naturalmente, che i valori sottesi all'opera venissero esplicitati anche con maggiore ampiezza, in modo tale da consentire a chi vuole considerarla senza pregiudizi di farsi un'idea più completa sotto il profilo estetico e di non limitarsi agli slogan che si odono con troppa frequenza.
È pur vero che ci troviamo in presenza di linee volte a definire un elemento di raccordo, una sorta di “porta” virtuale tra il lago e la città, così come l'intitolazione a Volta richiama un più ampio concetto che rinvia all'attività scientifica anche come produttrice di bellezza; ma una maggiore consapevolezza, che vada oltre le sintesi giornalistiche necessariamente limitate, non potrebbe che giovare ad un miglior accoglimento dell'opera.
Sono troppo ottimista sugli esiti finali di questa operazione? Non credo, e sono anche convinto che questa prospettiva sia condivisa da molti ambienti cittadini che apprezzano l'opera e la sua collocazione, certo meno rumorosi del fronte del “no”, e abbia lo stesso valore di quelle di segno negativo che sono state sin qui prospettate, e che queste democraticamente vadano prese in considerazione e rispettate come le altre.
Sì – si obietterà – ma intanto la giunta decide per una opzione che annulla l'altra: una volta realizzato il monumento, questo deturperà per sempre la bellezza del paesaggio.
A parte l'ovvia considerazione che niente è “per sempre”, sappiamo bene che i termini della questione non sono questi, che l'inamovibilità dell'installazione è prevista per soli cinque anni. Ai termini dei quali sarà possibile, a ragione veduta e senza preconcetti valutare tutti i pro e i contro effettivi della sua collocazione, e la nuova amministrazione ne potrà fare quello che vorrà. Se sarà guidata dagli attuali oppositori, con grande soddisfazione potrà rimuoverla e/o ricollocarla, ma anche, memori della vicenda ottocentesca, metterla sul mercato e cederla al miglior offerente. C'è da pensare che, vista la fama dell'autore e la pubblicità che viene offerta dal dibattito in corso, qualcun altro saprà approfittarne e le quotazioni non saranno basse...
Ironizzo un poco, ma in fondo la questione è tutta qua: lo scandalo e l'orrore suscitato in alcuni a me pare una evidente esagerazione retorica, a volte francamente irritante come nel giudizio di “stupidità” e provincialismo recentemente tributato da un noto condannato con sentenza definitiva per truffa aggravata e continuata e falso ai danni dello Stato (avendo riportato nel 1996 una condanna definitiva a 6 mesi e 10 giorni di reclusione e 700 mila lire di multa). Ognuno sceglie i suoi guru, io preferisco accettare lezioni da altri.
Esagerate sono molte delle dichiarazioni relative all'impatto visivo; per quanto i rendering siano da considerare con cautela, quelli prospettati non alterano le proporzioni e mostrano quanto contenuto sarebbe l'ingombro visto dalle rive del lago; trovo poi risibili le accuse all'architetto di aver copiato sé stesso o riciclato vecchi materiali, come se la riproposizione dei propri stilemi creativi non fosse una delle pratiche più in uso anche tra i più grandi artisti (quasi una “firma”) e se, una volta presentato a un concorso di idee un concetto (che poi non troverà attuazione pratica) dovesse per lui valere una monacale rinuncia a creare altre forme affini.
È ovvio che ciascuno è libero di rimanere della propria idea, di battersi politicamente perché si affermi, sperando magari di non ricorrere a toni eccessivi e cercando di capire anche le ragioni dell'altra parte.
Sulla questione sono convinto che il tempo, in questo come in molti altri casi, sarà il miglior giudice.

lunedì 3 novembre 2014

CoCoCo 2014-10: Senso di responsabilità e senso di umanità

Ritengo molto grave quanto è stato dichiarato, dopo la sentenza in appello sulla morte di Stefano Cucchi, da Gianni Tonelli, segretario del sindacato di polizia Sap: «Bisogna finirla di scaricare sui servitori dello Stato le responsabilità dei singoli. Se uno disprezza la propria salute e conduce una vita dissoluta, ne paga le conseguenze». Parole inquietanti che finiscono per generare un senso di perplessità e anche di paura, proprio perché pronunciate da un servitore di quello stesso Stato di cui anche io in modo diverso sono un servitore.
Al di là dello sgomento generato dalla sentenza, che non mi permetto di commentare, ma che non avendo dato soluzione al caso rappresenta un obiettivo fallimento delle istanze di giustizia che reggono uno stato democratico, i termini del commento sopra riportato sono doppiamente inaccettabili.
In un grottesco tentativo di sollevare sempre e comunque da qualsiasi addebito i servitori dello Stato, si afferma la presunta responsabilità di chi è stato invece, con tutta evidenza, vittima di una violenza inumana. Contro simili storture va ribadito con forza che il principio della responsabilità individuale continua a valere per tutti: anche chi eserciti violenza su chi è in stato di fermo non può e non deve sottrarsi ai rigori della legge. Ciò a tutela dei cittadini, ma anche e soprattutto della assoluta maggioranza dei tutori dell'ordine che operano con coscienza e professionalità, e che non meritano di essere lesi nell'immagine da eventuali comportamenti illegali di qualche appartenente alla categoria: esattamente come avviene per tutte le altre categorie professionali. È dunque una ben squallida difesa, quella di chi dice in sostanza che quella tragica fine Stefano Cucchi se l'è andata a cercare. Giustificare in qualche modo la morte di chi si sarebbe messo su una “cattiva strada”, nel momento in cui questo delitto rimane impunito, è un'aberrazione che suscita sdegno e orrore in chi ha, non dico una solida coscienza democratica, ma almeno un poco di sensibilità umana.

domenica 2 novembre 2014

Si può valutare l'utilità dei referendum locali o si infrange un dogma?

A volte sembra che la gente non ricordi bene.
C'è chi argomenta che "il centrosinistra" avrebbe in passato fatto ricorso all'arma del referendum, a Como, spesso e volentieri, quindi non può impedirlo ad altri. Ma le cose mi sembrano un poco diverse:
1) nessuno vuole impedire nulla, le regole sono chiare, se si raccolgono le firme su quesiti ammissibili, si voterà. Il voto non avrà nessun carattere vincolante, ma pazienza. Le operazioni non saranno proprio a costo zero; ma pazienza.
2) per amore di verità, dopo l'esperienza del 2000 (su temi peraltro effettivamente propositivi) il referendum del 2009 (con quesito sul Sant'Anna che tra l'altro si sovrapponeva alla delibera d'indirizzo consiliare) non venne proposto dal centrosinistra.
Fu in realtà una fuga in avanti solitaria di Paco, contro il parere di tutti gli altri, che poi si rassegnarono a dare una mano per la raccolta ed il voto tenuto anche conto della coincidenza con la tornata referendaria nazionale che consentiva l'abbattimento dei costi.
Io ricordo bene la certezza (in senso negativo, ahimé) che avevo in quei giorni: scegliere il referendum per promuovere temi anche importanti significava andare incontro al fallimento, eliminando al contempo altre possibilità di conseguire questi obiettivi. Cosa puntualmente verificatasi.
3) resta il fatto che siamo in democrazia. Si è liberi di promuovere tutti i referendum che si vuole, ma si dovebbe poter essere liberi di pensare che non sono strumenti efficaci, almeno in certi casi.
O se, in altro senso, certamente lo sono, è in quanto servono a ottenere un quarto d'ora di celebrità in più.
P.S.: per chi leggesse da un altro pianeta o da una dimensione parallela, il riferimento è a una consultazione cittadina per decidere... dove piazzare un monumento. Un tema, evidentemente, vitale.

lunedì 9 giugno 2014

CoCoCo 2014-9: Raccolta differenziata nelle scuole

Intendo formulare una breve richiesta in ordine alla raccolta differenziata dei rifiuti nelle scuole del territorio comunale. È ovvio che, corrispondendo la settimana di inizio della nuova raccolta a quella di chiusura dell'anno scolastico, non sia stato predisposto nulla di specifico nei giorni scorsi. Si sono certamente evitate confusioni e favorite altre priorità.
Suggerisco però ad Aprica, per il tramite dell'assessorato, se già non avesse provveduto, di contattare sollecitamente i dirigenti scolastici, al fine di appurare il fabbisogno effettivo che si può ipotizzare per gli strumenti destinati alla raccolta delle diverse tipologie. L'ideale sarebbe infatti arrivare a dotare non solo l'istituto, ma anche le singole classi dei contenitori preposti, ovviamente con dimensioni proporzionate, soprattutto per quanto riguarda la raccolta della carta e delle lattine che rapresentano la gran parte dei materiali prodotti.
Inoltre, come l'azienda già fa da tempo in altre province nelle quali esercita la propria artività, sarebbe auspicabile che, a partire dall'inizio del prossimo anno scolastico, essa possa avviare degli itinerari didattici rivolti alle scuole dei vari gradi per sensibilizzare i giovani e le loro famiglie ad una raccolta sempre più consapevole ed efficace.

giovedì 22 maggio 2014

CoCoCo 2014-8: Un dibattito che poteva rimanere nell'ambito delle mere possibilità

L'esperienza in Consiglio Comunale riserva sempre nuove sorprese: in questa occasione, un dibattito tra i più inconsistenti cui nella storia dell'aula sia stato dato assistere. Né personalmente posso dissociarmi: se, replicando, decido di prendervi parte, significa che questo diventa anche il mio dibattito, ne assumo la responsabilità. Tutto sta a capire se pronunciarlo, questo intervento, facendo perdere anch'io un po' di tempo all'aula, o se lasciarlo a livello di riflessione abbastanza sconsolata.
Devo riconoscere che questo tempo passato in discussioni che ritengo inconcludenti (come dirò tra poco) a me personalmente è servito molto. Perciò, senza ironia, o perlomeno con una ironia molto più contenuta di quanto mi è abituale, ringrazierei tutti coloro che sono intervenuti, perché mi hanno aiutato a capire meglio come mai, pur avendo iniziato (“da zero”, per così dire, senza altre attività di partito precedenti) la mia esperienza politica ormai quasi dodici anni fa, e avendo ricoperto vari incarichi, interiormente io non sia mai riuscito a considerarmi “un politico”, ma al massimo un cittadino che si mette temporaneamente a disposizione per l'attività politica. È una contraddizione che avverto tanto più viva, proprio perché non credo nella retorica del “noi” (i buoni cittadini) e “loro” (i cattivi politici) che oggi sembra andare per la maggiore: ci sono, è vero, tanti cattivi politicanti, gente che pensa al proprio tornaconto sopra ogni altra cosa, o considera la politica come la continuazione della guerra con altri strumenti, atta perlopiù a nutrire un orgoglio personale senza misura né ritegno. Le conclusioni personali a cui sono arrivato non interessano a nessuno, per cui le sorvolo. Ma questo spiega almeno in parte l'ottica in cui mi pongo quando dico di ritenere che nella presente circostanza i soldi dei cittadini potevano veramente essere spesi meglio. La stampa ha già avuto occasione di rimarcare questo fatto, e ha pienamente ragione, tanto più che, da una ricognizione che per ora ho condotto in modo abbastanza episodico, ma che mi riprometto di approfondire analiticamente appena otterrò alcuni altri dati, la produttività del nostro consiglio comunale – parlo in termini semplicemente quantitativi – è drammaticamente inferiore, anche nell'ordine di due/tre volte in meno, rispetto ai consigli dei capoluoghi confinanti. Questo non può che derivare dal modo con cui sono intesi i lavori d'aula, ossia dal peculiare utilizzo che ciascun consigliere fa – pur nella piena legittimità delle sue funzioni – del tempo che gli è messo a disposizione dal Regolamento.
Non a caso, anche in quella che appariva una attività diversa dal consueto (presentare candidature alla presidenza del Consiglio e procedere all'elezione), si è sollevata una questione regolamentare, sulla quale sia ben chiaro che non posso sollevare obiezioni di sorta: una volta che si è precisato che l'assenza di una specifica previsione in proposito rende di fatto equiparabile l'atto che ci siamo accinti a votare alle altre delibere, la questione dei tempi di ogni intervento si decide da sé, e quindi va riconosciuta l'abilità di chi ha saputo orientare in tal senso la questione.
Non si può però non rilevare che i precedenti non sono mai andati in tal senso, ossia non c'è mai stato un dibattito preliminare a simili elezioni. E c'era una valida ragione: si tratta infatti di un atto di nomina, non di una delibera in senso proprio. Cos'ha avuto da dire l'aula, al di là dell'attestazione di stima per le qualità di uno dei candidati proposti da parte dell'opposizione (stima alla quale mi associo)? Cosa ha occupato tante ore? Semplice: al ripetuto grido di “nulla di personale”, nelle forme più varie e più o meno pertinenti, si è invece scatenato il consueto arrembaggio ai tanti torti della maggioranza, ai suoi vizi, all'assenza di dialogo, e soprattutto alle presunte “ragioni” per cui il candidato proposto dal Partito Democratico non sarebbe qualificato a svolgere una funzione super partes, con apprezzamenti tutt'altro che neutri. Cui prodest? Certo non giova alla qualità del dibattito politico, né alla comprensione del cittadino comune, il quale vedrà senz'altro rafforzata la sensazione che la politica attuale sia fatta di nulla, o quasi.
È legittimo che una parte dell'aula si senta meno garantita da una personalità rispetto a un'altra, ma che si sprechino ore per farlo presente è certamente un'anomalia, un segno di malfunzionamento grave di questo Consiglio. Per fare mente locale, risulta forse a qualcuno che nelle ben più importanti occasioni dell'elezione dei presidenti di Camera o Senato, o dello stesso Presidente della Repubblica, le aule si attardino in digressioni interminabili sull'opportunità dell'una o dell'altra scelta, dipingendo in modo positivo o negativo le presunte qualità dei candidati?
D'altronde, perché in tali occasioni il voto è sempre segreto? Non forse proprio in quanto è una valutazione insieme politica e di coscienza? Frutto magari di riflessioni, discussioni ampie e di valutazioni che i gruppi politici hanno tutto il diritto di fare, consultandosi al loro interno e con gli altri, ma predisponendo le riunioni in altri tempi, senza metterle a carico del bilancio comunale, ossia dei contribuenti? Se qualcuno poi vuole riferire ai quattro venti il perché e il percome del suo voto lo potrà sempre fare a mezzo di conferenze stampa o chiacchierate al bar. Certo sarebbe stato molto più opportuno non consumare invano tanto tempo che potrebbe essere più utilmente dedicato ai problemi dell'amministrazione reale.