
Albrecht Dürer, Navis Stultorum (in S. Brant, Narrenschiff - 1497)
sabato 14 agosto 2010
Cani da guardia
Come non gioire? Anche i quotidiani che conducono un'azione di attacco frontale alle imprese immobiliari del presidente della Camera, rivendicano un ruolo istituzionale di “cane da guardia” per la stampa, oltretutto sottolineando nella loro azione di non voler “mollare la presa”.
Fanno benissimo, se riportano elementi veri. C'è un solo neo: un cane da guardia onesto, a difesa di una proprietà onesta, latra e difende contro ogni minaccia, vera o presunta, per tutelare la dimora. Non è selettivo, non agisce “a orologeria”, preso com'è nell'adempimento della missione.
La casa da difendere, nella metafora di origine anglosassone, è evidentemente il diritto del pubblico di conoscere sempre i fatti, massime per quanto riguarda i politici che ne richiedono la fiducia, spesso presentandosi diversi da quello che sono veramente. Idealmente, un'informazione onesta non serve gli interessi di parte, non deve soggiacere a un padrone o un padrino, massime se si tratta di un politico rivale dai trascorsi ancor meno specchiati. Attaccherebbe, sui temi scottanti, anche altre mariolerie: che so, quelle di un pluriprosciolto per decorrenza dei termini, di un mandante di corruttori con sentenze passate in giudicato, di un procacciatore di ville e tenute pagate una frazione del loro valore reale...
Certo, nulla impedisce a questo padrone di circondarsi di pitbull addestrati a sbranare gli avversari, attaccando a comando. Sempre di cani si tratta. Ma non ci si venga a dire che questi rientrano nella nobile categoria dei “cani da guardia”.
giovedì 12 agosto 2010
Como: tornare al voto per le poltrone?
Sono mere chiacchiere ferragostane quelle che rimbalzano sui giornali in questi giorni? Si prevede infatti che le elezioni anticipate dovute alle rissosità nazionali avranno contraccolpi a catena nel comasco, con la fine anticipata della giunta provinciale, e oltre. Carioni si accomoderebbe nel futuro parlamento, determinando il rimescolamento degli equilibri e delle cariche anche in comune di Como, dove la giunta Bruni traballa un giorno sì e l'altro pure per lotte di potere tribali, che il sindaco medesimo qualifica “di incredibile bassezza”. Gli unici problemi sul tavolo sono poltrone e nomine, le dispute riguardano le percentuali di spartizione della torta, dimostrando quale sia il fondamento dell'impegno politico per questi signori: promuovere se stessi e i propri sodali, mentre la città affonda nei problemi irrisolti, tra i miasmi dell'impianto di depurazione e l'assenza colpevole del piano di regolamentazione degli spazi commerciali, che doveva essere per legge definito... solo sette anni fa! E questa non è solo incuria, ma un tangibile ed ingiustificabile ostacolo alla libertà d'impresa, alla faccia del liberalismo ostentato a parole, ma avversato nei fatti. La concorrenza reale va evitata a tutti i costi, quando si è dedicato l'impegno di decenni a radicare un sistema di clientele che in certi settori consente di operare, di fatto, solo agli affiliati.
Di fronte a questa situazione, se i cittadini non prendono una buona volta il coraggio a due mani e non cambiano le loro radicate abitudini di voto, che sembrano aver premiato soprattutto incapaci e/o carrieristi, la prudenza non basterà. Si butteranno al vento i denari necessari a nuove elezioni, solo per consentire qualche promozione di apparato, per liberare qualche spazio di protagonismo agli ambiziosi che tengono più all'immagine che alla sostanza di un serio lavoro per la città.
Ci vogliamo liberare dai paraocchi ideologici o dagli improbabili referendum sul carisma dei capi, e valutare soltanto la qualità dell'amministrazione fin qui ricevuta, con il necessario rigore? Oppure vogliamo che tutto resti in sostanza immutato, cambiando solo le maschere di qualche personaggio? A leggere qualche organo d'informazione si direbbe che qualcuno lo auspichi e lavori in tal senso, screditando le potenziali alternative. Succede ad esempio che il segretario PD dichiari che, in questa situazione, nuove elezioni locali sarebbero ulteriore tempo perso per la città, che occorre trovare la forza di affrontare subito i problemi più gravi e puntare a qualche forma di condivisione degli sforzi, anche al di là degli schieramenti: semplice buonsenso. E cosa fa, una volta di più, l'ineffabile titolista di un giornale? Riassume testualmente che a Como “Il PD non si muove. Come se la cosa non lo riguardasse”. I padrini politici saranno certo contenti per la rappresentazione ad usum delphini, l'intelligenza dei lettori (e forse anche l'articolista) un po' meno...
mercoledì 28 luglio 2010
Onore al merito, come sempre
Quanto è impegnativo amministrare un piccolo comune? Sicuramente molto, se il neosindaco donna di Bregnano, giovane leghista eletta in coalizione con il Pdl, si è appena aumentata legalmente lo stipendio da 927 a 2788 euro lordi, invocando a scusa il fatto che ha deciso di fare l’amministratrice a tempo pieno e ha lasciato il suo lavoro. Una scelta personale e rispettabile, quest'ultima, ma non obbligata. E se tutti i sindaci dei paesi della nostra provincia si triplicassero lo stipendio, cosa ne sarebbe delle già provate casse pubbliche? Chi certifica che il sindaco precedente lavorasse per un terzo dell'attuale, o che il suo operato valesse un terzo? La scelta dei tempi, poi, è surreale: proprio quando il momento impone ovunque sacrifici meglio ripartiti, rendendo evidente che anche i voraci appetiti della casta politica andrebbero rigorosamente contenuti, qui si inverte clamorosamente la rotta, sfiorando lo sberleffo. A meno che l'interessata non avesse pubblicamente annunciato tale proposito prima di essere eletta, di fronte ai suoi concittadini e sottoponendosi al loro giudizio, del che è lecito dubitare.
L'episodio è comunque molto istruttivo, perché conferma in modo chiarissimo tanti altri fatti che, a meno di essere completamente sprovveduti o accecati da paraocchi ideologici, ci rivelano la verità sul senso di dedizione pubblica di chi ci governa. Anzitutto sfata il mito della “diversità” leghista, che da molti anni si è accomodata agli usi di “Roma ladrona” e si è dedicata al rastrellamento di posti e di prebende al pari degli alleati, senza neppure disdegnare la tutela dei disonesti (vedi quote latte), avendo capito che per raccogliere voti bastano e avanzano gli slogan e non servono comportamenti coerenti. Inoltre fa capire bene come tanti amministratori intendano il mandato ricevuto: “carta bianca” per cinque anni, con la pretesa di render conto, se mai, solo al termine del mandato, confidando evidentemente nella memoria debole dei più. Le vicende del capoluogo comasco sono esemplari in tal senso.
Infine, fa riflettere sull'atteggiamento dei giovani che entrano in politica, certo non tutti, e non solo da ora: valutare il servizio alla propria comunità come un lavoro da retribuire con gli standard del mercato, un'occasione per la carriera personale, non è deprimente? Purtroppo, gli adulti hanno dato ripetutamente il pessimo esempio, e ora è tardi per recriminare: altro che servizio disinteressato, i modelli vincenti sono altri, primi su tutti i figli d'arte Renzo “Trota” Bossi e Geronimo La Russa, promossi su tutti i fronti (anche quello stipendiale) e sistemati grazie al merito, nient'altro che al merito...
L'episodio è comunque molto istruttivo, perché conferma in modo chiarissimo tanti altri fatti che, a meno di essere completamente sprovveduti o accecati da paraocchi ideologici, ci rivelano la verità sul senso di dedizione pubblica di chi ci governa. Anzitutto sfata il mito della “diversità” leghista, che da molti anni si è accomodata agli usi di “Roma ladrona” e si è dedicata al rastrellamento di posti e di prebende al pari degli alleati, senza neppure disdegnare la tutela dei disonesti (vedi quote latte), avendo capito che per raccogliere voti bastano e avanzano gli slogan e non servono comportamenti coerenti. Inoltre fa capire bene come tanti amministratori intendano il mandato ricevuto: “carta bianca” per cinque anni, con la pretesa di render conto, se mai, solo al termine del mandato, confidando evidentemente nella memoria debole dei più. Le vicende del capoluogo comasco sono esemplari in tal senso.
Infine, fa riflettere sull'atteggiamento dei giovani che entrano in politica, certo non tutti, e non solo da ora: valutare il servizio alla propria comunità come un lavoro da retribuire con gli standard del mercato, un'occasione per la carriera personale, non è deprimente? Purtroppo, gli adulti hanno dato ripetutamente il pessimo esempio, e ora è tardi per recriminare: altro che servizio disinteressato, i modelli vincenti sono altri, primi su tutti i figli d'arte Renzo “Trota” Bossi e Geronimo La Russa, promossi su tutti i fronti (anche quello stipendiale) e sistemati grazie al merito, nient'altro che al merito...
venerdì 16 luglio 2010
Mano libera, man bassa
Inquietante, ma a dire il vero non imprevisto: il quadro che si delinea in questi giorni grazie all'azione degli inquirenti provoca un vivo senso di apprensione per il destino del nostro paese. Non è confinato solo a regioni disastrate, storicamente flagellate dalla delinquenza organizzata, ma si estende pure al Nord, alla prospera Lombardia. Che si tratti di smaltimento di rifiuti pericolosi, di installazioni energetiche, di appalti pubblici, di speculazioni edilizie, sempre più si evidenzia da un lato la portata delle infiltrazioni criminali nel nostro tessuto sociale, dall'altro un livello di corruzione politica che riporta alla mente gli scandali degli anni Novanta.
Stupisce, a ben vedere, che l'opinione pubblica non sembri troppo indignata davanti ai casi ripetuti che le si presentano, forse perché in parte ha interiorizzato il disonesto messaggio che la giustizia perseguiterebbe gli innocenti, ovviamente quando si tratti di politici e di loro portaborse. O forse perché si contenta dei proclami rassicuranti su “più sicurezza e meno tasse” e lascia in cambio mano libera sulla gestione della cosa pubblica: quanto libera, lo stiamo vedendo tutti. Quasi fosse una delega in bianco che, come emerge da tempo, rischia di essere pagata dal paese con lo spadroneggiare di congreghe affaristiche, di privatizzatori senza riguardi per l'interesse comune, di consorterie che premiano sistematicamente l'appartenenza anziché il merito, con funzionari politici e burocrati che si arrotondano lo stipendio, o finanziano campagne elettorali a spese dello Stato. Inoltre essere “figli di”, nel nostro paese, conta sempre di più e non, come vorrebbe la Costituzione, sempre di meno. Largo ai giovani, perché no? Purché siano spinti da parenti illustri, essi possono sedersi nell'assemblea regionale o in remunerativi consigli d'amministrazione e trovarsi così sistemati per la vita, alla faccia di “Roma ladrona”. L'arte di arrangiarsi pare eretta a regola delle varie cricche, nei termini in cui la descrive Giorgio Bocca: “non solo sopravvivere alle iniquità morali del censo e della nascita, ma trarne vantaggio, far pagare agli altri i nostri debiti, le nostre spese, migliorare il nostro posto nella graduatoria sociale”.
Anno dopo anno, così, l'Italia scende più in basso nelle classifiche della corruzione, di modo che gli investimenti stranieri si tengono ben alla larga dal nostro paese, che i giovani intellettualmente migliori sono costretti all'emigrazione, che la carriera politica di molti, al di là delle parole, è concepita ormai come mero strumento per la promozione individuale. Sulla qualità di simili governanti, saremmo periodicamente chiamati a pronunciarci con il voto. Ma rinunciare alle lusinghe, alle illusioni, alle promesse rassicuranti pur sapendo che non saranno mantenute (si prenda come ultimo esempio l'ondata imminente di tasse locali per compensare gli sfacciati tagli statali) è un compito troppo difficile? Forse sì, se si continuano a premiare l'arroganza e la faccia tosta mediatica, magari sperando nella benevolenza che i potenti esercitano grazie alle raccomandazioni e alle briciole della sottomissione clientelare.
Si colmerà un giorno la misura? E troveranno i cittadini la forza morale per liberarsi dai faccendieri e dai fanfaroni? Oppure si sentono degnamente rappresentati, e non avvertono il bisogno di cambiare?
Stupisce, a ben vedere, che l'opinione pubblica non sembri troppo indignata davanti ai casi ripetuti che le si presentano, forse perché in parte ha interiorizzato il disonesto messaggio che la giustizia perseguiterebbe gli innocenti, ovviamente quando si tratti di politici e di loro portaborse. O forse perché si contenta dei proclami rassicuranti su “più sicurezza e meno tasse” e lascia in cambio mano libera sulla gestione della cosa pubblica: quanto libera, lo stiamo vedendo tutti. Quasi fosse una delega in bianco che, come emerge da tempo, rischia di essere pagata dal paese con lo spadroneggiare di congreghe affaristiche, di privatizzatori senza riguardi per l'interesse comune, di consorterie che premiano sistematicamente l'appartenenza anziché il merito, con funzionari politici e burocrati che si arrotondano lo stipendio, o finanziano campagne elettorali a spese dello Stato. Inoltre essere “figli di”, nel nostro paese, conta sempre di più e non, come vorrebbe la Costituzione, sempre di meno. Largo ai giovani, perché no? Purché siano spinti da parenti illustri, essi possono sedersi nell'assemblea regionale o in remunerativi consigli d'amministrazione e trovarsi così sistemati per la vita, alla faccia di “Roma ladrona”. L'arte di arrangiarsi pare eretta a regola delle varie cricche, nei termini in cui la descrive Giorgio Bocca: “non solo sopravvivere alle iniquità morali del censo e della nascita, ma trarne vantaggio, far pagare agli altri i nostri debiti, le nostre spese, migliorare il nostro posto nella graduatoria sociale”.
Anno dopo anno, così, l'Italia scende più in basso nelle classifiche della corruzione, di modo che gli investimenti stranieri si tengono ben alla larga dal nostro paese, che i giovani intellettualmente migliori sono costretti all'emigrazione, che la carriera politica di molti, al di là delle parole, è concepita ormai come mero strumento per la promozione individuale. Sulla qualità di simili governanti, saremmo periodicamente chiamati a pronunciarci con il voto. Ma rinunciare alle lusinghe, alle illusioni, alle promesse rassicuranti pur sapendo che non saranno mantenute (si prenda come ultimo esempio l'ondata imminente di tasse locali per compensare gli sfacciati tagli statali) è un compito troppo difficile? Forse sì, se si continuano a premiare l'arroganza e la faccia tosta mediatica, magari sperando nella benevolenza che i potenti esercitano grazie alle raccomandazioni e alle briciole della sottomissione clientelare.
Si colmerà un giorno la misura? E troveranno i cittadini la forza morale per liberarsi dai faccendieri e dai fanfaroni? Oppure si sentono degnamente rappresentati, e non avvertono il bisogno di cambiare?
domenica 27 giugno 2010
Non lavorare? Stanca (e molto)
Dopo tante polemiche, l'amministratore delegato di Expo 2015, Lucio Stanca, lascia la poltrona che per oltre un anno ha difeso con le unghie e con i denti. Ultimamente si è visto rimproverare anche dal presidente Diana Bracco, che ne ha duramente criticato la gestione per le spese eccessive e per i gravi ritardi nell'organizzazione del progetto. Di fatto Stanca sembra essere stato "sfiduciato". Egli però ha motivato il suo addio non con le contestazioni, ma con la nuova fase del progetto Expo, che è passata "dalla fase di programmazione alla fase di realizzazione", "rendendo superata la figura dell’amministratore delegato, perché gli toglie poteri girandoli alla collegialità dei soci".
Si tratta di una spiegazione logica o piuttosto di un banalissimo giro di parole? Forse che, quando si passa dal dire al fare, è automatico che il carrozzone cambi fisionomia? Funzionano davvero così tutti i consigli di amministrazione normali?
Qualcuno, come il leghista Carioni, ritiene che Stanca avrebbe maturato la decisione soprattutto per l'introduzione, nella manovra finanziaria, del divieto al cumulo di incarichi e di stipendi, essendo costui un parlamentare che non ha mai ritenuto decoroso limitare il proprio appetito accumulatore. Anzi, a qualcuno sembrò che il suo unico impegno, nei primi mesi di gestione, fosse solo quello di difendere (con il compatto blocco del PdL dalla sua parte) la discutibile legittimità di svolgere contemporaneamente svariati alti incarichi, che ai comuni mortali sembrerebbero da soli superare ogni idea di "tempo pieno".
Peraltro, uomini generosissimi come Formigoni dichiarano che quello di Stanca ora "è un gesto di grande dignità". Chi di noi ne dubita? Magari, per convincercene appieno, non vorrebbe cotanto galantuomo avvertire la necessità morale di restituire i quattrini percepiti nei 14 mesi del suo deludente incarico plurimo, come gli ha chiesto Penati? È tuttavia probabile che Stanca non voglia porre simili domande alla sua coscienza, dato che anche in Parlamento egli non risulta essere stato assiduo, presenziando a stento alla metà complessiva delle sedute e addirittura, di recente, non facendosi più vedere. A marzo è mancato ben il 98,15% delle volte, a maggio non si è neppure mostrato, forse perché stava uscendo in libreria un'opera che gli auguriamo possa renderlo immortale: un libro di ricette di cucina.
Chiedere ai suoi capi e ai dirigenti di partito di prendere un'altra strada sarebbe comunque impresa vana. Ci ricordiamo o no che questi politici hanno inventato nel 2001 persino un "ministero per l'attuazione del programma", cosa che in un paese normale sarebbe controllata dal capo del governo o, al più, da un qualche suo funzionario già stipendiato? Ma così non si sarebbero potuti dare gratifiche e poltrone ai vari ex che entravano in scuderia, come l'ex DC Pisanu, seguito dall'ex PSI Caldoro, ed ora dall'ex popolare Rotondi. Per non lasciarlo solo, a quest’ultimo è stata recentemente affiancata come sottosegretario nientemeno che la signora dei salotti milanesi, Daniela Santanché. Come dire, avanti con la produttività!
Ministro Brunetta, si svegli! Lei, che a parole è tanto avverso agli sprechi, si è accorto finalmente dove stanno i veri fannulloni nella cosa pubblica? Ministro Calderoli, forse che gli enti inutili le sfuggono, quando sono di proporzioni gigantesche?
Si tratta di una spiegazione logica o piuttosto di un banalissimo giro di parole? Forse che, quando si passa dal dire al fare, è automatico che il carrozzone cambi fisionomia? Funzionano davvero così tutti i consigli di amministrazione normali?
Qualcuno, come il leghista Carioni, ritiene che Stanca avrebbe maturato la decisione soprattutto per l'introduzione, nella manovra finanziaria, del divieto al cumulo di incarichi e di stipendi, essendo costui un parlamentare che non ha mai ritenuto decoroso limitare il proprio appetito accumulatore. Anzi, a qualcuno sembrò che il suo unico impegno, nei primi mesi di gestione, fosse solo quello di difendere (con il compatto blocco del PdL dalla sua parte) la discutibile legittimità di svolgere contemporaneamente svariati alti incarichi, che ai comuni mortali sembrerebbero da soli superare ogni idea di "tempo pieno".
Peraltro, uomini generosissimi come Formigoni dichiarano che quello di Stanca ora "è un gesto di grande dignità". Chi di noi ne dubita? Magari, per convincercene appieno, non vorrebbe cotanto galantuomo avvertire la necessità morale di restituire i quattrini percepiti nei 14 mesi del suo deludente incarico plurimo, come gli ha chiesto Penati? È tuttavia probabile che Stanca non voglia porre simili domande alla sua coscienza, dato che anche in Parlamento egli non risulta essere stato assiduo, presenziando a stento alla metà complessiva delle sedute e addirittura, di recente, non facendosi più vedere. A marzo è mancato ben il 98,15% delle volte, a maggio non si è neppure mostrato, forse perché stava uscendo in libreria un'opera che gli auguriamo possa renderlo immortale: un libro di ricette di cucina.
Chiedere ai suoi capi e ai dirigenti di partito di prendere un'altra strada sarebbe comunque impresa vana. Ci ricordiamo o no che questi politici hanno inventato nel 2001 persino un "ministero per l'attuazione del programma", cosa che in un paese normale sarebbe controllata dal capo del governo o, al più, da un qualche suo funzionario già stipendiato? Ma così non si sarebbero potuti dare gratifiche e poltrone ai vari ex che entravano in scuderia, come l'ex DC Pisanu, seguito dall'ex PSI Caldoro, ed ora dall'ex popolare Rotondi. Per non lasciarlo solo, a quest’ultimo è stata recentemente affiancata come sottosegretario nientemeno che la signora dei salotti milanesi, Daniela Santanché. Come dire, avanti con la produttività!
Ministro Brunetta, si svegli! Lei, che a parole è tanto avverso agli sprechi, si è accorto finalmente dove stanno i veri fannulloni nella cosa pubblica? Ministro Calderoli, forse che gli enti inutili le sfuggono, quando sono di proporzioni gigantesche?
giovedì 17 giugno 2010
Sindaci in guerra
È guerra tra i sindaci di Como e di San Fermo sul canone di 650mila euro annui che l'azienda ospedaliera verserà a quest’ultimo quale contropartita degli oneri che verosimilmente graveranno sul comune ospitante il nosocomio. A parte i toni accesi ed eccessivi, su due cose riferite dai giornali il sindaco Bruni ha perfettamente ragione: in questa vicenda «il senso di responsabilità pubblica è totalmente assente» e «se l'ospedale non aprisse, sarebbe una sciagura e un errore gravissimo», che farebbe ridere tutta Italia. Ma è credibile che tutte le colpe debbano ricadere sul comune limitrofo al capoluogo? Si tratta davvero, come Bruni sostiene con le sue bordate, di «tangenti pubbliche», del «pizzo che va pagato al Comune di San Fermo per poter aver fatto l'ospedale»?
Chissà se il sindaco comasco rinfocola la polemica perché ha a cuore le sorti dei futuri bilanci ospedalieri, o se piuttosto cerca di distogliere l’attenzione dal come e dal perché si è giunti a tale stato di cose. Citiamo ancora: «probabilmente nell'accordo di programma andava puntualizzato meglio, ma allora l'emergenza era non perdere i finanziamenti e comunque non si sapeva dove esattamente sarebbe stato costruito l'ospedale». Impressionanti le analogie con il copione delle paratie (e, speriamo di no, con la Ticosa): bisognava fare in fretta, così non siamo stati molto attenti…
Ma quale professionalità offrono gli uffici tecnici dei nostri enti pubblici, se non riescono a mettere in evidenza fatti tanto banali come una linea di confine tra due comuni? Quale capacità di programmazione possiedono i nostri politici, se non prevedono per tempo le complicazioni più banali che seguono dalle loro avventate delibere? Cosa impediva di trovare un diverso accordo prima di posare la prima pietra, con il consueto codazzo di autorità festanti e la grancassa degli annunci? Mascetti ha buon gioco nel replicare che, in sostanza, Bruni ha firmato un accordo di programma senza capire fino in fondo ciò che comportava: sarà un tantino spregiudicato, ma non fa che portare acqua al suo mulino. Vale la pena di ricordare, per un attimo, come questi politici si sono presentati nelle campagne elettorali: dichiarandosi competenti, capaci, efficienti, operosi, il meglio sulla piazza. Non si dicono forse abituati – a differenza di certi poveri idealisti – a muoversi da professionisti nel complesso mondo degli affari? A trattare con autorità ed organismi di ogni livello con una pretesa perizia? A fare regolarmente a meno di un confronto con la cittadinanza, paghi del mandato elettorale che consente loro di calare dall’alto decisioni di enorme peso, com’è stata appunto la localizzazione del nuovo Sant’Anna?
Un lungo catalogo di mezzi insuccessi sembra smentire questa propaganda: se anche le opere alla fine si realizzeranno, vi sarà una quantità di costi aggiuntivi oppure di ritardi che fa pensare a tutto, fuori che a particolari capacità di curare il pubblico interesse. Anziché contro il proprio collega confinante, allora, sarebbe più produttivo che il sindaco di Como rivolgesse la sua vis polemica contro le storture dell’ultima manovra finanziaria governativa, che affama i comuni scaricando la gran parte dei sacrifici nel taglio dei servizi ai cittadini (benché mi renda conto che questo comporterebbe maggiori rischi per la sua carriera politica), o si dedicasse magari ad un sano ripensamento autocritico.
Chissà se il sindaco comasco rinfocola la polemica perché ha a cuore le sorti dei futuri bilanci ospedalieri, o se piuttosto cerca di distogliere l’attenzione dal come e dal perché si è giunti a tale stato di cose. Citiamo ancora: «probabilmente nell'accordo di programma andava puntualizzato meglio, ma allora l'emergenza era non perdere i finanziamenti e comunque non si sapeva dove esattamente sarebbe stato costruito l'ospedale». Impressionanti le analogie con il copione delle paratie (e, speriamo di no, con la Ticosa): bisognava fare in fretta, così non siamo stati molto attenti…
Ma quale professionalità offrono gli uffici tecnici dei nostri enti pubblici, se non riescono a mettere in evidenza fatti tanto banali come una linea di confine tra due comuni? Quale capacità di programmazione possiedono i nostri politici, se non prevedono per tempo le complicazioni più banali che seguono dalle loro avventate delibere? Cosa impediva di trovare un diverso accordo prima di posare la prima pietra, con il consueto codazzo di autorità festanti e la grancassa degli annunci? Mascetti ha buon gioco nel replicare che, in sostanza, Bruni ha firmato un accordo di programma senza capire fino in fondo ciò che comportava: sarà un tantino spregiudicato, ma non fa che portare acqua al suo mulino. Vale la pena di ricordare, per un attimo, come questi politici si sono presentati nelle campagne elettorali: dichiarandosi competenti, capaci, efficienti, operosi, il meglio sulla piazza. Non si dicono forse abituati – a differenza di certi poveri idealisti – a muoversi da professionisti nel complesso mondo degli affari? A trattare con autorità ed organismi di ogni livello con una pretesa perizia? A fare regolarmente a meno di un confronto con la cittadinanza, paghi del mandato elettorale che consente loro di calare dall’alto decisioni di enorme peso, com’è stata appunto la localizzazione del nuovo Sant’Anna?
Un lungo catalogo di mezzi insuccessi sembra smentire questa propaganda: se anche le opere alla fine si realizzeranno, vi sarà una quantità di costi aggiuntivi oppure di ritardi che fa pensare a tutto, fuori che a particolari capacità di curare il pubblico interesse. Anziché contro il proprio collega confinante, allora, sarebbe più produttivo che il sindaco di Como rivolgesse la sua vis polemica contro le storture dell’ultima manovra finanziaria governativa, che affama i comuni scaricando la gran parte dei sacrifici nel taglio dei servizi ai cittadini (benché mi renda conto che questo comporterebbe maggiori rischi per la sua carriera politica), o si dedicasse magari ad un sano ripensamento autocritico.
giovedì 3 giugno 2010
Condonare sempre, condonare tutto
Mai più condoni, spergiurano sempre i nostri governanti. Infatti, puntualmente, vediamo giungere il terzo condono edilizio dell'era berlusconiana, camuffato con il nome suggestivo di “emersione delle case fantasma”. Qualcuno si fregherà le mani, qualcun altro penserà che per fare cassa anche mezzi così immorali siano tollerabili. Il problema non è però la regolarizzazione di qualche vecchio casolare ignoto al catasto, quanto la sanatoria di fatto di centinaia di migliaia di abusi edilizi di ogni dimensione.
Chi sono i fessi in questa vicenda? Manco a dirlo, siamo noi: tutti quei cittadini onesti che hanno costruito nel rispetto delle regole e che pagano puntualmente i tributi. Ma anche l'intero popolo italiano, se si considera che l'abusivismo edilizio fa crescere a dismisura l'insicurezza abitativa del Paese: oggi abbiamo di fatto milioni di persone che vivono in zone a rischio sismico, vulcanico, idrogeologico o in costruzioni dalla sicurezza statica inadeguata.
Chi sono i furbi gratificati per l'ennesima volta dal governo? Evasori piccoli e grandi, va da sé: sono quei vigliacchi che preferiscono far pagare solo agli altri il costo della convivenza civile. Ma è pure la grande criminalità: la vera protagonista delle colate di cemento illegale è soprattutto l'ecomafia, il cui potere viene così rafforzato in tutto il Paese. Si calcola che nell'ultimo trentennio almeno un quinto di tutte le nuove costruzioni italiane sia stata fatta in barba alle norme, una percentuale che si raddoppia nelle regioni meridionali. Fa tristemente riflettere il dato che in Campania ben due terzi dei comuni sciolti dal 1991 a oggi per infiltrazioni criminali siano stati indagati per vicende di abusivismo edilizio.
A fronte di qualche ipotetico centinaio di milioni di euro per il fisco, tutta la nazione subisce perdite economiche e civili incommensurabilmente maggiori. Merito di queste classi dirigenti (e solo un cieco non noterebbe il particolare impegno della destra nel condonare tutto il possibile) impegnate a favorire la devastazione del paesaggio e dell'ambiente in cui viviamo, contro il bene comune e contro le future generazioni, demolendo insieme l'identità nazionale ed il maggiore vantaggio economico che l'Italia ancora possiede, ossia la bellezza del territorio. È una cecità che pagheremo pesantemente, noi e ancor più i nostri figli.
Chi sono i fessi in questa vicenda? Manco a dirlo, siamo noi: tutti quei cittadini onesti che hanno costruito nel rispetto delle regole e che pagano puntualmente i tributi. Ma anche l'intero popolo italiano, se si considera che l'abusivismo edilizio fa crescere a dismisura l'insicurezza abitativa del Paese: oggi abbiamo di fatto milioni di persone che vivono in zone a rischio sismico, vulcanico, idrogeologico o in costruzioni dalla sicurezza statica inadeguata.
Chi sono i furbi gratificati per l'ennesima volta dal governo? Evasori piccoli e grandi, va da sé: sono quei vigliacchi che preferiscono far pagare solo agli altri il costo della convivenza civile. Ma è pure la grande criminalità: la vera protagonista delle colate di cemento illegale è soprattutto l'ecomafia, il cui potere viene così rafforzato in tutto il Paese. Si calcola che nell'ultimo trentennio almeno un quinto di tutte le nuove costruzioni italiane sia stata fatta in barba alle norme, una percentuale che si raddoppia nelle regioni meridionali. Fa tristemente riflettere il dato che in Campania ben due terzi dei comuni sciolti dal 1991 a oggi per infiltrazioni criminali siano stati indagati per vicende di abusivismo edilizio.
A fronte di qualche ipotetico centinaio di milioni di euro per il fisco, tutta la nazione subisce perdite economiche e civili incommensurabilmente maggiori. Merito di queste classi dirigenti (e solo un cieco non noterebbe il particolare impegno della destra nel condonare tutto il possibile) impegnate a favorire la devastazione del paesaggio e dell'ambiente in cui viviamo, contro il bene comune e contro le future generazioni, demolendo insieme l'identità nazionale ed il maggiore vantaggio economico che l'Italia ancora possiede, ossia la bellezza del territorio. È una cecità che pagheremo pesantemente, noi e ancor più i nostri figli.
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venerdì 7 maggio 2010
Andare a fondo, con il fondo
La crisi greca sta mostrando in maniera agghiacciante tutta la sua gravità. Non meno inquietante, perciò, risulta la notizia che la Regione Lombardia ha sottoscritto dal 2002 un particolare strumento finanziario gestito da UBS, un fondo di ammortamento (tecnicamente sinking fund) con ben 115 milioni di euro impegnati in titoli ellenici e quasi altrettanti in titoli del Lazio e della Sicilia, regioni non precisamente da portare a modello di stabilità contabile.
A riferirlo non è una maligna propaganda delle opposizioni, bensì l’analisi autorevole quanto impietosa del Sole 24 Ore, al quale peraltro la Regione si è rifiutata di indicare con precisione la tipologia dei titoli coinvolti ed i codici identificativi. Alla faccia della trasparenza, dato che si gioca con i soldi dei cittadini! Ancora peggiore, in modo quasi incredibile, è il meccanismo dell’operazione, congegnato in modo tale che, se si generano profitti, questi vengono direttamente incamerati dalle banche, mentre le eventuali perdite graveranno interamente sulle casse della sola Regione Lombardia.
Quale privato cittadino sano di mente, viene da chiedersi, accetterebbe di sottoscrivere un simile contratto? Com’è possibile che l’infallibile governatore lombardo, assieme a quello stuolo di politici che a chiacchiere fa del senso pratico, della concretezza, del mettere le mani in pasta il proprio credo, si sia fatto infinocchiare così? Si tratterà solo di incompetenza, di trascuratezza o di qualcosa d’altro?
Di governare, questi politici-feudatari sono senz’altro capaci, come si vede anche a Como, dove le prove di genialità si susseguono incessantemente. Governare bene, però, sembra essere qualcosa di molto diverso. Evidentemente non importa a chi per la quarta volta ha rieletto lo stesso personaggio, o forse si tratta di un elettorato che preferisce non porsi questioni troppo difficili e conferma la fiducia a scatola chiusa. Bravi, per non farsi venire il mal di testa è meglio vivere di illusioni e seguire un capace imbonitore, proprio come sembrano aver fatto i nostri vicini greci.
Resta sempre aperto l’interrogativo se quando andiamo alle urne noi, cui alla fine tocca pagare il conto di questa come di altre castronerie, ci poniamo davvero il problema delle effettive capacità degli eletti di operare per il bene comune, se siamo capaci di tracciare un bilancio realistico delle politiche degli anni trascorsi – che non è cosa semplice – oppure preferiamo scegliere il contaballe più simpatico, il più “ganassa”, il più “baüscia”?
A riferirlo non è una maligna propaganda delle opposizioni, bensì l’analisi autorevole quanto impietosa del Sole 24 Ore, al quale peraltro la Regione si è rifiutata di indicare con precisione la tipologia dei titoli coinvolti ed i codici identificativi. Alla faccia della trasparenza, dato che si gioca con i soldi dei cittadini! Ancora peggiore, in modo quasi incredibile, è il meccanismo dell’operazione, congegnato in modo tale che, se si generano profitti, questi vengono direttamente incamerati dalle banche, mentre le eventuali perdite graveranno interamente sulle casse della sola Regione Lombardia.
Quale privato cittadino sano di mente, viene da chiedersi, accetterebbe di sottoscrivere un simile contratto? Com’è possibile che l’infallibile governatore lombardo, assieme a quello stuolo di politici che a chiacchiere fa del senso pratico, della concretezza, del mettere le mani in pasta il proprio credo, si sia fatto infinocchiare così? Si tratterà solo di incompetenza, di trascuratezza o di qualcosa d’altro?
Di governare, questi politici-feudatari sono senz’altro capaci, come si vede anche a Como, dove le prove di genialità si susseguono incessantemente. Governare bene, però, sembra essere qualcosa di molto diverso. Evidentemente non importa a chi per la quarta volta ha rieletto lo stesso personaggio, o forse si tratta di un elettorato che preferisce non porsi questioni troppo difficili e conferma la fiducia a scatola chiusa. Bravi, per non farsi venire il mal di testa è meglio vivere di illusioni e seguire un capace imbonitore, proprio come sembrano aver fatto i nostri vicini greci.
Resta sempre aperto l’interrogativo se quando andiamo alle urne noi, cui alla fine tocca pagare il conto di questa come di altre castronerie, ci poniamo davvero il problema delle effettive capacità degli eletti di operare per il bene comune, se siamo capaci di tracciare un bilancio realistico delle politiche degli anni trascorsi – che non è cosa semplice – oppure preferiamo scegliere il contaballe più simpatico, il più “ganassa”, il più “baüscia”?
sabato 24 aprile 2010
Como ricompensata: nei secoli fedele
Ancora una volta possiamo valutare oggettivamente il peso effettivo della classe politica che governa Como, stavolta nei più ampio contesto della Regione, ed altresì quanto valgano le promesse degli alti papaveri per il nostro territorio. Primo fra tutti il Cavaliere, che aveva garantito telefonicamente a Giorgio Pozzi un posto da assessore nella giunta regionale lombarda. Nulla da ridire sul commento di quest’ultimo, che va interamente sottoscritto: si tratta di “una mancanza di rispetto nei confronti di un territorio che ha sempre dato a questo partito e al governatore Formigoni risultati eccellenti”.
Purtroppo le “mancanze di rispetto”, le disattenzioni, i finanziamenti miseri se paragonati a quelli ricevuti da province vicine, la cronica carenza di infrastrutture, sembrano essere una costante, e non un fatto occasionale, da parte di chi continua a fare il “pieno” elettorale da queste parti.
Ma perché stupirsene? Mettiamoci per un attimo nei panni di questi vertici. Se i voti continuano ad arrivare nonostante i maltrattamenti, se i comaschi continuano a confermare amministrazioni la cui capacità operativa è ormai ridicolmente inadeguata, se bevono tutte le panzane degli alleati “di lotta e di governo”, perché mai impegnarsi per dare altre risorse a questo territorio? Non è più conveniente cercare di creare o rafforzare consensi e clientele altrove, dove la situazione è meno favorevole?
Ai comaschi questa situazione, evidentemente, piace lo stesso. Pensano di guadagnarci? Può darsi: non lasciare mai la via vecchia per la nuova dev’essere per loro un sufficiente motivo di soddisfazione, anche se la via vecchia è letteralmente costellata di buche. Qualcuno penserebbe che, oltre che sonnacchiosi, siano un po’ masochisti, ma è un mero giudizio soggettivo di disfattisti che non hanno colto tutt’attorno a loro la brillante realizzazione del “nuovo miracolo italiano”. Certo che sentire l’ex assessore Caradonna denunciare come semplice illusione e propaganda tutta la vicenda del muro, con la sicumera di chi spera di trovare qualcuno che gli creda, rivela poi per intero a quali esiti conduce questo atteggiamento di acquiescenza: oltre al danno, le beffe…
Purtroppo le “mancanze di rispetto”, le disattenzioni, i finanziamenti miseri se paragonati a quelli ricevuti da province vicine, la cronica carenza di infrastrutture, sembrano essere una costante, e non un fatto occasionale, da parte di chi continua a fare il “pieno” elettorale da queste parti.
Ma perché stupirsene? Mettiamoci per un attimo nei panni di questi vertici. Se i voti continuano ad arrivare nonostante i maltrattamenti, se i comaschi continuano a confermare amministrazioni la cui capacità operativa è ormai ridicolmente inadeguata, se bevono tutte le panzane degli alleati “di lotta e di governo”, perché mai impegnarsi per dare altre risorse a questo territorio? Non è più conveniente cercare di creare o rafforzare consensi e clientele altrove, dove la situazione è meno favorevole?
Ai comaschi questa situazione, evidentemente, piace lo stesso. Pensano di guadagnarci? Può darsi: non lasciare mai la via vecchia per la nuova dev’essere per loro un sufficiente motivo di soddisfazione, anche se la via vecchia è letteralmente costellata di buche. Qualcuno penserebbe che, oltre che sonnacchiosi, siano un po’ masochisti, ma è un mero giudizio soggettivo di disfattisti che non hanno colto tutt’attorno a loro la brillante realizzazione del “nuovo miracolo italiano”. Certo che sentire l’ex assessore Caradonna denunciare come semplice illusione e propaganda tutta la vicenda del muro, con la sicumera di chi spera di trovare qualcuno che gli creda, rivela poi per intero a quali esiti conduce questo atteggiamento di acquiescenza: oltre al danno, le beffe…
giovedì 8 aprile 2010
Dì che ti mando io...
E così i sindaci lombardi dei comuni "virtuosi" sono scesi in piazza, in una manifestazione tutt'altro che sguaiata, ma dal chiaro piglio istituzionale e senza divisioni partitiche, per far intendere in qualche modo a un governo duro d’orecchi che così non va. Basta con le restrizioni (molte delle quali francamente irrazionali) imposte dal "patto di stabilità", nella speranza di dare ossigeno ai bilanci, di continuare a garantire servizi essenziali, di contribuire alla lotta alla crisi economica. Loro, almeno, non hanno creato voragini nei conti pubblici, facendoli pagare all'intera collettività, come varie grandi città del Sud ricompensate dai vertici del centrodestra nazionale con elargizioni cieche e sconsiderate, anziché con la bancarotta e la cacciata con ignominia dei cattivi amministratori.
In molti hanno ritenuto paradossale e deludente l’atteggiamento del sindaco di Milano, che si è dichiarata d’accordo nel merito ma non nel metodo. E infatti nella sua posizione c’è del metodo: ha dapprima aderito, poi si è tirata indietro dichiarando di stare “lavorando su altri tavoli”, infine se ne esce addirittura con la conquista di “un incontro con Tremonti”. Davvero un risultato straordinario, ci voleva una diplomatica di rango per ottenerlo. Ma muoversi insieme agli altri sindaci non le garantiva sufficiente visibilità? Temeva forse di inimicarsi qualche ministro? Che dignità rivela il vantare un rapporto privilegiato con le alte sfere, quando l’intero mondo degli amministratori locali già si è mosso mettendo alle strette il governo, e il cercare di attribuirsi il merito di una capace azione personale, con un occhio alle prossime elezioni comunali?
C’è del metodo: peccato che assomigli fin troppo al noto connubio italico di servilismo e raccomandazione (ci penso io, non disturbate il manovratore, metterà tutto a posto un giorno il fantomatico federalismo fiscale), anziché al dignitoso e fermo attegiamento, privo di condizionamenti ideologici, di coloro che denunciano l’assurdità di un vincolo che rende impossibile, pur avendo i soldi, fare investimenti e addirittura pagare alle imprese i lavori già eseguiti! Ma non eravamo governati da chi ha in odio i “lacci e lacciuoli”? E perché non si vede da subito altrettanta austerità nella limitazione delle poltrone e sottopoltrone di governo e nel numero dei parlamentari?
In molti hanno ritenuto paradossale e deludente l’atteggiamento del sindaco di Milano, che si è dichiarata d’accordo nel merito ma non nel metodo. E infatti nella sua posizione c’è del metodo: ha dapprima aderito, poi si è tirata indietro dichiarando di stare “lavorando su altri tavoli”, infine se ne esce addirittura con la conquista di “un incontro con Tremonti”. Davvero un risultato straordinario, ci voleva una diplomatica di rango per ottenerlo. Ma muoversi insieme agli altri sindaci non le garantiva sufficiente visibilità? Temeva forse di inimicarsi qualche ministro? Che dignità rivela il vantare un rapporto privilegiato con le alte sfere, quando l’intero mondo degli amministratori locali già si è mosso mettendo alle strette il governo, e il cercare di attribuirsi il merito di una capace azione personale, con un occhio alle prossime elezioni comunali?
C’è del metodo: peccato che assomigli fin troppo al noto connubio italico di servilismo e raccomandazione (ci penso io, non disturbate il manovratore, metterà tutto a posto un giorno il fantomatico federalismo fiscale), anziché al dignitoso e fermo attegiamento, privo di condizionamenti ideologici, di coloro che denunciano l’assurdità di un vincolo che rende impossibile, pur avendo i soldi, fare investimenti e addirittura pagare alle imprese i lavori già eseguiti! Ma non eravamo governati da chi ha in odio i “lacci e lacciuoli”? E perché non si vede da subito altrettanta austerità nella limitazione delle poltrone e sottopoltrone di governo e nel numero dei parlamentari?
giovedì 25 marzo 2010
Le scuole (non) si arrangino
Confesso che sono rimasto allibito leggendo le dichiarazioni del ministro dell’Istruzione Gelmini contro la prassi delle scuole di chiedere un contributo volontario alle famiglie per riuscire a coprire una parte delle spese correnti più urgenti. Con una certa durezza, ella asserisce sugli organi di stampa che “va evitata questa prassi un po’ lamentosa e in pochi casi giustificata”, la colpa della quale sarebbe dei dirigenti che non sanno stare nei budget.
In quanto genitore, ma anche contribuente, sono il primo a dolermi del fatto che mi sia richiesto un apporto ulteriore per garantire l’educazione dei miei figli, e comprendo benissimo che anche poche decine di euro rischiano di gravare in maniera pesante su molti bilanci familiari. E tuttavia, non sono queste dichiarazioni ministeriali uno scaricabarile, pietoso sì, ma da primato mondiale?
Chi, anno dopo anno, ha letteralmente prosciugato le risorse da destinare all’istruzione nel nostro Paese? Chi ha lasciato al suo predecessore Fioroni l’onere di ripianare le bollette della raccolta dei rifiuti, che da anni le scuole non erano più in grado di pagare? Ignora forse, il ministro, di essere attualmente in debito con esse per quasi un miliardo e mezzo di euro, soldi che dovevano già da tempo essere nelle casse degli istituti? Come deve suonare ai cittadini l’assicurazione che per il 2010-2011 verranno erogati ad hoc ben… 10 milioni, pari a circa 80 euro al mese per istituto?
Non è poi particolarmente odioso questo tentativo di mettere famiglie e scuole le une contro le altre, con un populismo tanto più ripugnante, quanto più proviene da chi ha le massime responsabilità gestionali? Capisco che le priorità di questo governo siano state ben altre: risanare le voragini provocate da amministratori “amici” del Meridione (Catania e Palermo), accollare a tutti noi cittadini i debiti di Alitalia per regalarla di fatto ad imprenditori che realizzeranno i loro congrui profitti non appena saranno liberi di venderla ad Air France; poi ci sono da pagare gli stipendi e le prebende della Casta, gli affitti esorbitanti delle due Camere saliti in questi giorni agli onori della cronaca, le maxi pensioni degli ex parlamentari, e via discorrendo. Per tacere delle decine di opere inutili che hanno disperso miliardi, a onor del vero non solo da oggi.
Insomma, famiglie, studenti e presidi tacciano e subiscano: conti alla mano, nei bilanci predisposti da Tremonti nell’ultimo decennio, la scuola pubblica è stata solo e soltanto una voce sulla quale operare tagli pesanti, annunciando magari “rivoluzioni” didattiche che ne lasciano immutata la struttura farraginosa e burocratica e non ne promuovono la riqualificazione (che, se seria, costa).
Tanto, si sa che ci sono sempre altre soluzioni per chi può permettersele. E noialtri, invece? Dovremmo sempre lasciar fare, per non essere “lamentosi”?
In quanto genitore, ma anche contribuente, sono il primo a dolermi del fatto che mi sia richiesto un apporto ulteriore per garantire l’educazione dei miei figli, e comprendo benissimo che anche poche decine di euro rischiano di gravare in maniera pesante su molti bilanci familiari. E tuttavia, non sono queste dichiarazioni ministeriali uno scaricabarile, pietoso sì, ma da primato mondiale?
Chi, anno dopo anno, ha letteralmente prosciugato le risorse da destinare all’istruzione nel nostro Paese? Chi ha lasciato al suo predecessore Fioroni l’onere di ripianare le bollette della raccolta dei rifiuti, che da anni le scuole non erano più in grado di pagare? Ignora forse, il ministro, di essere attualmente in debito con esse per quasi un miliardo e mezzo di euro, soldi che dovevano già da tempo essere nelle casse degli istituti? Come deve suonare ai cittadini l’assicurazione che per il 2010-2011 verranno erogati ad hoc ben… 10 milioni, pari a circa 80 euro al mese per istituto?
Non è poi particolarmente odioso questo tentativo di mettere famiglie e scuole le une contro le altre, con un populismo tanto più ripugnante, quanto più proviene da chi ha le massime responsabilità gestionali? Capisco che le priorità di questo governo siano state ben altre: risanare le voragini provocate da amministratori “amici” del Meridione (Catania e Palermo), accollare a tutti noi cittadini i debiti di Alitalia per regalarla di fatto ad imprenditori che realizzeranno i loro congrui profitti non appena saranno liberi di venderla ad Air France; poi ci sono da pagare gli stipendi e le prebende della Casta, gli affitti esorbitanti delle due Camere saliti in questi giorni agli onori della cronaca, le maxi pensioni degli ex parlamentari, e via discorrendo. Per tacere delle decine di opere inutili che hanno disperso miliardi, a onor del vero non solo da oggi.
Insomma, famiglie, studenti e presidi tacciano e subiscano: conti alla mano, nei bilanci predisposti da Tremonti nell’ultimo decennio, la scuola pubblica è stata solo e soltanto una voce sulla quale operare tagli pesanti, annunciando magari “rivoluzioni” didattiche che ne lasciano immutata la struttura farraginosa e burocratica e non ne promuovono la riqualificazione (che, se seria, costa).
Tanto, si sa che ci sono sempre altre soluzioni per chi può permettersele. E noialtri, invece? Dovremmo sempre lasciar fare, per non essere “lamentosi”?
venerdì 19 marzo 2010
Paperone e i Bassotti
Siamo in campagna elettorale, d'accordo: ma perché questa politica deve sempre più spesso offendere l'intelligenza dei cittadini? Non sembra essere tanto questione di idee e programmi diversi, di ricette concrete per l'amministrazione che vadano confrontate: no, sentiamo invece parlare di chiudere programmi televisivi o di inchieste giudiziarie “a orologeria”, oppure di politici professionisti ma pasticcioni, che non sanno neppure come si presenta una lista, e il tutto sarebbe colpa della Banda Bassotti che dà addosso a Paperone? Dei paladini dell'Odio che si coalizzano per sconfiggere quelli dell'Amore? Magari per accogliere poi la provvida consolazione di chi ostenta un sorriso suadente: l'Amore vince sempre...
Viene da chiedersi se questa sia ancora politica, oppure avanspettacolo dei più scadenti. Non so davvero quanto possa essere valida la filosofia di certi capipopolo, basata sulla constatazione che il livello intellettivo medio della popolazione italiana non supera la seconda media, ma è davvero necessario svilire il dibattito fino a questo punto? Chi, dei lettori di questa pagina, prenderebbe per buone semplificazioni tanto grossolane, specie se provenienti da un simile pulpito? Chi si arrischierebbe mai ad elargire il suo voto sulla base di simili considerazioni, inadatte persino a motivare il tifo per una squadra di calcio, figuriamoci per un partito o per un leader?
Ma siamo in Italia, dirà qualcuno. Qui certe sceneggiate sono normali, la faziosità detta legge, noi elettori veniamo trattati come cretini da blandire o da spaventare con le invasioni straniere, il ritorno del comunismo, il vampirismo del fisco. E intanto, si perde il tempo necessario a creare le condizioni per dare qualche spiraglio di speranza alle giovani generazioni. Riuscire a creare uguali punti di partenza, abolire i privilegi, premiare il merito, favorire il rispetto della legalità dovrebbero essere i cardini dell'azione politica a beneficio del Paese in questi anni di crisi strutturale: ma sono obiettivi presi in seria considerazione da chi si agita tanto sotto elezioni, o l'unica preoccupazione è quella di occupare sempre più posti e posticini di potere?
Viene da chiedersi se questa sia ancora politica, oppure avanspettacolo dei più scadenti. Non so davvero quanto possa essere valida la filosofia di certi capipopolo, basata sulla constatazione che il livello intellettivo medio della popolazione italiana non supera la seconda media, ma è davvero necessario svilire il dibattito fino a questo punto? Chi, dei lettori di questa pagina, prenderebbe per buone semplificazioni tanto grossolane, specie se provenienti da un simile pulpito? Chi si arrischierebbe mai ad elargire il suo voto sulla base di simili considerazioni, inadatte persino a motivare il tifo per una squadra di calcio, figuriamoci per un partito o per un leader?
Ma siamo in Italia, dirà qualcuno. Qui certe sceneggiate sono normali, la faziosità detta legge, noi elettori veniamo trattati come cretini da blandire o da spaventare con le invasioni straniere, il ritorno del comunismo, il vampirismo del fisco. E intanto, si perde il tempo necessario a creare le condizioni per dare qualche spiraglio di speranza alle giovani generazioni. Riuscire a creare uguali punti di partenza, abolire i privilegi, premiare il merito, favorire il rispetto della legalità dovrebbero essere i cardini dell'azione politica a beneficio del Paese in questi anni di crisi strutturale: ma sono obiettivi presi in seria considerazione da chi si agita tanto sotto elezioni, o l'unica preoccupazione è quella di occupare sempre più posti e posticini di potere?
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