Albrecht Dürer, Navis Stultorum (in S. Brant, Narrenschiff - 1497)

giovedì 11 dicembre 2008

Gli esperti dell’efficienza

Come riporta la stampa locale, la Corte dei conti esprime un giudizio assai severo sulle capacità tecniche dell'Amministrazione Provinciale di Como, coinvolta – come varie altre amministrazioni locali – in manovre finanziarie da veri intenditori. Si tratta, com’è noto, di quei prodotti derivati che tanto sapientemente alcuni spregiudicati operatori hanno saputo affibbiare negli scorsi anni agli enti pubblici, presentandoli come la moltiplicazione dei pani e dei pesci (e soprattutto, la possibilità di differire i debiti scaricandoli sulle amministrazioni future), non senza elargirsi lauti compensi e creando “paracadute” a tutto vantaggio degli istituti emittenti, quasi sempre in forma poco trasparente e difficilmente calcolabile dai profani. Nel caso in oggetto, ad esempio, rescindere i contratti costerebbe alla Provincia 5 milioni di euro. Ci permettiamo una sola, sommessa domanda: ma queste amministrazioni che in campagna elettorale chiedevano ed hanno ottenuto la riconferma basandosi sulla loro asserita “efficienza”, sulla capacità di capire il mondo “concreto” degli affari e degli interessi – ben diversamente da quegli sprovveduti idealisti del centrosinistra – proprio non potevano dare miglior prova di sé? Perché a prendere fregature simili (per giunta, con i soldi dei contribuenti) sono capaci proprio tutti… O forse no; come ricordava recentemente il Vescovo, altri potrebbero intendere diversamente il fare politica, in modo da guardare all’interesse generale, al bene comune, esercitando quindi maggiore prudenza, senza cedere alla cura delle convenienze particolari e al fascino delle “scorciatoie”.
Chissà però se questi altri esistono; e vi è soprattutto da chiedersi se, in un paese come il nostro, l’elettore medio darebbe loro retta, o se non preferisca anch’egli le sirene del “tutto facile” (ghe pensi mi!).

mercoledì 3 dicembre 2008

Pulci

«D'âge en âge on ne fait que changer de folie» (Pierre Claude Nivelle de La Chaussée). Niente di strano, perciò, che ogni tanto si cambi idea, stile, modo di vestire e, specie in Italia, partito politico. Ma è abbastanza impressionante la proliferazione di micropartiti, incentrati attorno a figure di secondo piano del centrodestra, che si è avviata – guarda caso – in concomitanza con la fase preliminare della costituzione del Partito delle Libertà.
Santanché, Pionati e, da ultimo il buon Magdi “Cristiano” Allam sentono improvvisa l’urgenza di fondare un proprio movimento politico, affiancandosi ai già numerosi cespugli esistenti, tanto è ricca la loro esperienza, profondo il carisma, diversificata la proposta politica: basterebbe in proposito considerare i simboletti con lo sfondo azzurro e le bandierine che richiamano un altro, e più allettante, contenitore.
Non si rassegnano, infatti, ad entrare nel corpaccione del nuovo soggetto politico per la porta stretta della partecipazione ai partiti (relativamente) tradizionali della destra recente, come militanti, sostenitori, figure più o meno significative, ancorché doverosamente ossequienti al Capo.
No, no. Loro saranno a loro volta “capi partito”, chiederanno di sedere “con pari dignità” al tavolo delle trattative, forti dei risultati – sicuramente travolgenti – delle prossime tornate elettorali. Anziché mendicare uno strapuntino, ambiranno a chiedere a testa alta posti in direzione e garanzie su un adeguato numero di futuri candidati “sicuri”, con fermezza reclameranno quote prefissate in questa o quell’assemblea. Almeno ci proveranno, utilizzando fino all’ultima le loro cartucce mediatiche e cercando perciò in questi mesi la massima visibilità possibile.
Bravi, così si fa, anche se di certo non rimarrete soli; vista la quantità di VIP che il nostro disgraziato paese produce, c’è da temere che la concorrenza sarà agguerrita.
Chi sarà il prossimo?

giovedì 27 novembre 2008

Res nullius (animali)

Notizie contraddittorie, quelle che giungono dal fronte dei diritti degli animali, ma che lasciano intravvedere una certa evoluzione, in questo paese che stagionalmente attende con ansia il passo dei migratori protetti in tutta Europa per poterli comodamente impallinare, spesso contro la legge ma anche con il consenso di deroghe ed estensioni volute dalla potente lobby delle armi (sono posti di lavoro, pota!).
Da un lato la cassazione ritiene fondato multare un veterinario che viola i limiti di velocità in quanto tenta di portare un cane ferito con urgenza in sala operatoria; nulla di trascendentale, purtuttavia è curioso che il principio valga per i cristiani (e sia anzi una sorta di imperativo morale: fare tutto il possibile per salvare una vita in quelle condizioni), ma non venga riconosciuto se ad essere oggetto di simili cure professionali è un animale. Evidentemente la sofferenza si può pesare su bilance sensibilissime, che consentono di fare queste distinzioni: quasi che riconoscere la liceità di un comportamento estremo, giustificato dall’emergenza per salvare un animale, sminuisca i diritti delle persone. Misteri della giurisprudenza.
D’altro canto, viene avanzata un proposta di legge bipartisan per impedire l’esibizione di animali nei circhi (alzi la mano chi ha mai creduto alle rassicurazioni dei domatori che l’addestramento avviene solo con la dolcezza e senza alcuna violenza…) e si assiste alla condanna di chi per trascuratezza lasciò morire di fame e di sete il proprio gatto. Se il parlamento ritenesse di non insabbiare la prima - com'è facile temere - potremmo constatare almeno un piccolo, ulteriore passo di civiltà in un mondo che lentamente sta prendendo coscienza del legame vitale che intercorre tra gli esseri umani, l’ambiente e gli altri esseri viventi.
… Forse però troppo lentamente, per sperare di salvarsi.

venerdì 7 novembre 2008

Ahi, serva Italia (che figure all'estero)

Mi scuso per la decontestualizzazione; volutamente ignoro il corollario di insulti e le gaffes che li hanno originati; dubito, infine, che io e lui ci si riferisca alle stesse persone.
Ma quando ora Berlusconi afferma: "Dio ci salvi dagli imbecilli", trovo che abbia perfettamente ragione.

domenica 2 novembre 2008

L'ultima parola

Lettere al giornale: eccezionalmente il Corriere di Como consente una replica ad una lettrice sui toni usati per deplorare, più che descrivere, le manifestazioni studentesche in città. Ma, essendo persone civili, forniscono poi il diritto di replica al giornalista autore dei commenti più tempestivi, il quale naturalmente prende il doppio dello spazio della lettera.
Deve infatti far capire alla lettrice che lo pregava di prestare più attenzione ai contesti ed ai linguaggi (non confondendo ad esempio il '68 con il '77), che ella è vittima di una "commovente" e insieme preoccupante ingenuità sia che abbia vissuto il '68, sia che gliel'abbiano solo raccontato. Inoltre si discolpa da una presunta accusa di "disonestà intellettuale" con una frase pienamente sottoscrivibile, anche se nel contesto di una excusatio non petita: "credo che l'irrazionalità di un pensiero consegnato a un'ideologia non debba prebalere sulla razionalità basata sull'osservabile e verificabile".
Sante parole. Si sa, però, che il diavolo si nasconde nei dettagli. Come mai, nel commento che ha dato l'avvio al dibattito, si evocavano scritte inneggianti ad "okkupazioni" con la kappa, con gli evidenti richiami storici di taglio pesantemente negativo, ma l'unica scuola in quel momento occupata inalberava uno striscione con la grafia corrente in italiano, oltretutto pubblicata dal quotidiano locale, e ripresa con involontaria ironia anche nella odierna pagina delle lettere? Non è che la campagna di stampa a senso unico che abbiamo avuto modo di apprezzare (studenti giudicati pilotati in quanto incapaci di una riflessione autonoma, proteste interpretate come forme di violenza e prevaricazione sugli altri, lamentazioni sul tempo perso e sull'incomprensibile incapacità di apprezzare una riforma imperniata sui tagli al futuro) è stata concepita "a prescindere"? Quali fatti osservabili e verificabili porterebbero a dire che le manifestazioni comasche sono uscite dai limiti dell'espressione democratica? Che tipo di riflessione critica, infine, si è sentito esprimere sul fatto che le nozze non si possono fare coi fichi secchi, ossia che non appare molto credibile un potenziamento dell'offerta formativa basato su riduzioni di spesa, di personale, di orari? Almeno un dubbio, una domandina che disturbasse il conducente o chiarisse come si può operare il miracolo?
Eh no, si correrebbe il rischio di passare per sessantottini...

mercoledì 29 ottobre 2008

Il complotto del mentitori

All’origine dei facinorosi, i mentitori: Berlusconi ci spiega così il fatto altrimenti incomprensibile che una “riforma” scolastica a base di tagli alla spesa come quella che lui si è fatto oggi approvare non sembri incontrare il favore della popolazione scolastica. Quale maleficio impedisce al popolo di apprezzare la verità, ossia che tutto quanto egli propone è vero, giusto, sacrosanto, e andrebbe approvato senza neppure discutere? Solo la menzogna sparsa a piene mani da “cattivi maestri”, i suoi oppositori politici in primis, sostenuti dal complotto perennemente ordito ai suoi danni dai mezzi di informazione. Il quale è in sé un altro dogma rivelato dalla sua bocca incapace di pronunciare la benché minima bugia, e quindi lo accogliamo con un reverente atto di… Fede.
Chi ha memoria rivede immutato il copione del Berlusconi 2002, quando appunto egli si decideva a svelare agli Italiani che l’opposizione, ieri come oggi: 1) non sa assolutamente fare il proprio mestiere; 2) manca completamente di quel fair play che invece vediamo con assiduità e profitto applicare ogni giorno in ambiente calcistico; 3) soprattutto, non sapendo far valere ragioni che non ha (è un noto postulato euclideo), essa deve ricorrere sistematicamente alla menzogna. Criticando lui e la sua azione di governo, naturalmente.
Già allora mi veniva in mente una celebre storiella, quella del filosofo cretese Epimenide che andava in giro affermando: «Tutti i Cretesi mentono». Enunciazione singolare, come subito si vede, perché il mentitore che dice di raccontare bugie risulterebbe, allo stesso tempo, mentire e dire la verità, in maniera del tutto contraddittoria. Le complesse implicazioni del paradosso hanno a lungo occupato la mente dei logici dei secoli passati, da Aristotele a Russell e Tarski.
Anche se sembra fare il “piangina”, l’attuale premier lamentandosi non brandisce una spuntata arma polemica, ma espone un (per lui) acutissimo ragionamento. Il suo assunto, in termini logici, suona più o meno così: «Io - che per definizione dico sempre la verità - affermo che chi mi critica o mi si oppone, per questo stesso fatto, mente». È ovvio che questa frase non sarebbe degna della minima considerazione se a pronunciarla fossero un mentitore incallito o un bimbo capriccioso. Ma un gran numero di italiani la prende per vera, e dunque dovrà pure valere la premessa: chi la pronuncia è un uomo che dice sempre la verità. Basta guardarlo (adoranti) in volto per capire che è così. In prima fila, molti politici del centro-destra e una moltitidine di giornalisti che il padrone, quando si lagna dell’informazione, sembra bizzarramente trascurare, negandone l’opera costante e certosina, quasi che Libero, Il Giornale, La Padania – per limitarci ai più acuti, sereni ed obiettivi – neppure esistessero. L’ansia di illuminare le folle, ammettiamolo, rende talvolta il capo un po’ ingrato.
Se questo non bastasse, sappiamo che da qualche anno in Italia si è felicemente affermato il sacrosanto principio dell’autocertificazione: in proposito è conclusiva la dichiarazione del soggetto, e tanto basta. Già da tempo, esponendosi in prima persona, il Cavaliere ebbe ad attestare l’inviolabilità di questo metodo. Chi infatti ha potuto rimanere insensibile davanti alla pietra miliare dell’onestà politica, il famoso giuramento compiuto “sulla testa dei suoi figli”? I suddetti risultano ancora felicemente in possesso della parte anatomica tirata in ballo, ergo

sabato 25 ottobre 2008

Facinorosi

Assistiamo dunque ad un'autentica invasione di facinorosi: parola di presidente del consiglio, prontamente seguito da emulatori in sedicesimo, grati della consolante chiave di lettura. Come quel genitore del liceo scientifico di Como, che tuona contro gli “insegnanti che hanno permesso che la scuola cadesse nelle mani di pochi facinorosi per motivazioni biecamente strumentali”, negando carattere di spontaneità alla - per il momento unica - occupazione realizzata nella nostra città.
D'altra parte, è noto che nella scuola le ragioni di preoccupazione e di protesta sono biecamente strumentali: non è chi non veda che il potenziamento dell'offerta formativa e il miglioramento della qualità passano attraverso generose... sforbiciate. Sono genitore anch'io: e probabilmente l'anno prossimo mio figlio si troverà con un orario ridotto di ben cinque (!) ore settimanali. Dovrà cullarsi nell'illusione di saperne comunque di più, unicamente confidando nella parola del duo Berlusconi-Gelmini? Come genitore e cittadino che paga le tasse, mi sembra piuttosto che così facendo si rompa un contratto educativo che lo Stato aveva stipulato nei confronti miei e di mio figlio.
Gli esempi si potrebbero moltiplicare, dato che questi neoliberisti d'accatto sono davvero convinti in cuor loro che “affamare l'animale” lo sproni ad essere più efficiente ed aggressivo: peccato non si rendano conto che il bestione-scuola è già da tempo agli stremi, privo da decenni di qualsiasi investimento serio, e reso costoso unicamente dalla mole inevitabile degli stipendi. Vogliono eliminare gli sprechi? Si accomodino, ma solo se sono in grado di farlo in maniera selettiva e mirata, non facendo di tutte l'erbe un fascio, con consapevolezza e perspicacia degne di uno scimpanzé giunto per caso nella stanza dei bottoni.
Il dialogo con l'utenza? È praticato in modo unidirezionale (dopo che ho deciso ti ascolto, e poi continuo sulla mia strada come prima), come una noiosa formalità; chi si ostina a voler discutere l'operato del capo è pertanto un “bieco facinoroso”.
Corollario di questa visione è anche che tutti coloro i quali descrivono le proteste sono bollati come suoi complici, com'è il caso della Rai, definita mistificatrice della realtà e addirittura additata agli industriali come ente da boicottare, in quanto “inserisce gli spot dentro programmi dove si diffonde solo panico e sfiducia”. Presumo che l'alternativa, quanto agli spot, sia quella di ingrassare Mediaset come avvenne nella precedente esperienza governativa. Per stampa e televisione, invece, i lacché sono già corsi ai ripari da giorni: l'informazione prona e genuflessa, infatti, non manca di dare conto sì delle agitazioni “facinorose” in tono di disgusto, ma le contornano immancabilmente di nutrite dichiarazioni di dissidenti, che incarnerebbero la cosiddetta “maggioranza silenziosa”. Provate a leggere qualcuno di questi fogli servili, e vi renderete conto che la proporzione “magica”, la regola aurea, varca di gran lunga la soglia del 50%: la maggioranza silenziosa, del resto, meriterà almeno i due terzi, come testimoniano i sondaggi fatti in casa.
Se c'è un segno di speranza in questo squallore, viene da dichiarazioni come quelle di una studentessa romana in televisione, fatta mentre respingeva l'attribuzione di casacche politiche di ogni colore: “quel signore credeva di averci rincretinito per anni con le sue televisioni e i programmi spazzatura. Invece stiamo mostrando di avere la testa per ragionare da soli”.
Il problema è che nel vocabolario dei nuovi signorotti i termini “pensatori liberi”, “spiriti critici” non esistono più; non sanno tradurli altrimenti che con “facinorosi”.

mercoledì 8 ottobre 2008

Il regime? Naturalmente non esiste

Ecco il mantra che conservatori, moderati, riformatori (e però anche diversi figuri poco raccomandabili) legittimamente recitano in ogni occasione in cui l'attendibilità di un'informazione schierata viene messa in discussione dai suoi stessi silenzi, parzialità, ammiccamenti, inginocchiamenti...
Ma è vero, in effetti la libertà di informazione non è conculcata nel nostro paese. Perché non ce n'è è bisogno. I responsabili degli spazi più importanti sul piano della diffusione, a cominciare dai telegiornali, non sentono infatti il bisogno di tutelare l'obiettività e l'equilibrio: perché dovrebbero, se il pubblico trangugia di tutto? È assai più conveniente inchinarsi al padrone di turno: o meglio, al Padrone, soprattutto quando è il suo turno. L'ossequio non si mostra solo nella sovrabbondanza dell'ostensione del capo e dei suoi esaltatori, ma soprattutto nell'attenuazione delle presenze degli oppositori: gente che sgradevolmente incrina l'immagine di consenso e di fiducia, e per mestiere parla male del Principe. Insomma, se non l'etica professionale, tutelano almeno l'estetica soft della nuova era dell'assenso, professando una sottomissione servile probabilmente neppure richiesta.
Tutto come sempre: Franza o Spagna, purché se magna - ma con una certa, sospetta preferenza per una delle due parti, come la storia dell'ultimo decennio insegna. Evviva dunque la deontologia professionale.
Se qualcuno dubitasse della fondatezza delle osservazioni sopra riportate, lo invito a leggere quanto Aldo Grasso nella sua rubrica “A fil di rete” (Corriere, 6 ottobre) riporta presentando i semplici dati. I freddi numeri, non le interpretazioni maliziose.
L’opposizione è data per dispersa nei principali tg nazionali. Un tempo si ragionava sulla faziosità, sui «panini», sull’equilibrio dell’informazione. Ora siamo oltre: perché a leggere la classifica delle presenze nei notiziari si scopre che l’opposizione sembra essersi dileguata. "In classifica stacca tutti Silvio Berlusconi, che a settembre totalizza oltre 110 minuti di «parola» nei sette tg nazionali. Il presidente del Consiglio guida normalmente questa classifica, era così anche con Prodi (sebbene Berlusconi ha maggiore capacità di «far notizia»). È quel che segue che è anomalo: il leader dell’opposizione di solito è a un’incollatura. E invece Veltroni si ferma a 44 minuti «di parola», meno della metà (di cui 33 solo nei tg Rai, con una scarsa attenzione nei tg Mediaset). Dopo di lui il vuoto. C’è il presidente Napolitano, il presidente Fini (le cariche istituzionali), Roberto Maroni, Maurizio Sacconi, Maurizio Gasparri, Giulio Tremonti. Poi Pier Ferdinando Casini e Antonio Di Pietro, ma del Pd nulla fino al quindicesimo posto di Pierluigi Bersani."
Grasso, che non è tenero col PD, sostiene che i numeri riflettono oggettivamente un vuoto percepito in questa fase del rapporto politica/tv. Ma senza ingenuità, gli stessi dati confermano che un partito debole in questo momento, ma non silente, un partito che forse non ha ancora trovato le ricette giuste, ma che non ha abbandonato l'iniziativa politica, che parla, commenta, interviene (almeno a leggere gli atti parlamentari e i documenti pubblicati sui siti) può essere opportunamente "silenziato" con la tattica del "minimo indispensabile". Non può trattarsi solo della mediocrità dei dirigenti: avete visto che facce, che eloquio, che profondità di ragionamento nella maggior parte dei soloni del centrodestra che si contrappongono loro. Piuttosto, è che i silenzi pilotati aiutano molto, definiscono un'immagine che non ci si stacca più di dosso.
Non è difficile comprendere questa strategia per un comasco, che è abituato da sempre ai comportamenti della stampa locale. Ma se fossi nei panni degli Italiani, assisterei con preoccupazione al dilagare in tutto il paese di un (auto)controllo opportunistico dell'informazione per le masse, di un conformismo deteriore, della più totale assenza di spirito critico. Mi devo correggere, quest'ultima non è afatto totale, perché è considerato meritorio esercitarla nei confronti di chi è più debole, e magari se lo merita anche. Ma l'esercizio condotto a senso unico rivela la statura professionale di chi lo compie.

giovedì 25 settembre 2008

Un ricordo del "Giovio" (da studente)

Con l'occasione del nuovo anno scolastico, ecco una sintetica retrospettiva della mia lontana esperienza di studente, che mi è stata chiesta per l'annuario dell'Istituto.
Premetto che non sono mai stato un fanatico del Giovio come istituzione: non ho mai sentito l'esigenza di periodici “pellegrinaggi alle radici” (pur essendo nato in questi edifici all'epoca in cui la struttura ospitava il reparto maternità dell'ospedale cittadino), ma in qualche modo la mia esistenza si è legata a più riprese al Liceo. La casa dove ora risiedo fu in passato abitata da un suo preside, al Giovio ho conosciuto la ragazza che mi avrebbe accompagnato, o subìto, per il resto della mia esistenza (ovviamente, la cosa migliore che mi sia capitata tra queste mura), al Giovio sono tornato come insegnante, anche se per scelta del provveditorato, non su mia insistenza. Coincidenze, che però sono significative anche in una città piccola come la nostra.
Il Giovio da me vissuto come studente è quello di circa trent'anni fa: una struttura molto simile (senza la palestra grande e gli ampliamenti recenti), ma con un numero di studenti inferiore alla metà dell'attuale. Anche allora però non ci si conosceva tutti; le occasioni di confronto erano rappresentate soprattutto da assemblee studentesche molto diverse dalle odierne giornate autogestite, con discussioni a volte ingenue su argomenti spesso più grandi di noi, cosa della quale ovviamente eravamo poco consapevoli. Neppure avevamo “progetti” da attuare o di cui usufruire a cura dell'istituzione, teatro a parte. La scuola era essenzialmente lezione, con qualche occasione di incontro politico in più (manifestazioni), e anche con qualche luminosa eccezione alla routine (ricordo una serie di concerti blues organizzati in orario serale...).
Il Liceo era comunque da tempo strutturato per l'istruzione di massa, senza quel carattere elitario che era appartenuto a stagioni precedenti, e viveva quindi tutti i problemi storici della scuola italiana. Si assisteva inoltre all'attenuarsi, e poi all'esaurirsi, di una stagione di politicizzazione intensa – di lì a poco sarebbero arrivati gli anni Ottanta e il cosiddetto “riflusso nel privato” – anche se abbiamo noi pure avvertito gli echi degli “anni di piombo”, culminati con il rapimento e l'omicidio di Aldo Moro.
Per me sono comunque stati anni di partecipazione intensa alle dinamiche della vita interna alla scuola, con l'esperienza dell'elezione (allora ancora politicizzata) al consiglio di istituto, e soprattutto con quella del gruppo giovanile che si riuniva a S. Filippo (dove attualmente sorge il parcheggio del Valduce). Un'esperienza di discussione, di formazione e di condivisione di ideali che ha molto arricchito quegli anni, integrando la dimensione educativa della scuola, insegnandomi a ricercare e a trovare gli spazi necessari per la riflessione personale. Opportunità come questa, oggi, mi sembrano assai rare se non del tutto assenti. Sul versante “studio”, le richieste di allora erano forse inferiori (in termini quantitativi, avendo meno discipline e ritmi non forsennati), tant'è vero che l'attività da me maggiormente praticata nel molto tempo libero di quegli anni è stata una lettura appassionata cui devo il mio caos mentale passato e presente, assieme a un poco di musica e di volontariato. Praticamente assenti la discoteca e il peregrinare da un locale all'altro: epoca felice, in cui questi rituali consumistici erano appena agli inizi e venivano praticati da personaggi che guardavamo con commiserazione. Minori disponibilità economiche e minore condiscendenza dei genitori ci aiutavano forse a ricercare anzitutto nella comunicazione e nel confronto, più che nella ricerca dei luoghi di svago, il senso del nostro stare assieme. Ci prendevamo sul serio, ma senza esagerare....

martedì 23 settembre 2008

Visita fiscale!


Mio malgrado, sono entrato a far parte del sospettabile mondo degli assenti dal lavoro, per la rottura improvvisa dei freni della bicicletta, lungo una ripida discesa, che mi ha costretto ad un volo scomposto e allo schianto contro una cancellata. Poteva andare peggio: niente di rotto, solo ammaccature e qualche ferita che reca un minimo pregiudizio al mio bel visino. Ringrazio l’efficienza del pronto soccorso del S. Anna che mi ha ricucito in modo sapiente. Fine del bollettino medico, ed inizio di quello burocratico.
Da animale domestico quale sono, non mi è pesato dover restare segregato in casa per una settimana, come prevedono gli inflessibili orari del ministro Brunetta, per restare a disposizione dei controlli. Avendo una famiglia, ho chi provvede alle necessità fondamentali di approvvigionamento, e sono comunque pronto ad affrontare ogni rinuncia. Ma so che non tutti hanno questa fortuna: trasgrediranno a loro rischio, evidentemente.
Non desta sconcerto, anzi è logico e doveroso, sottoporsi alla visita di controllo. Inconcepibile, invece, è che il medico ad essa preposto, quando si presenta, chieda di poter vedere il certificato del medico curante. Non senza fondamento, dal suo punto di vista, ammesso che il suo compito sia quello di "confermare" le diagnosi altrui e non di prendersi la responsabilità di formularne di proprie: peccato però che la legge imponga di trasmetterlo al datore di lavoro e all’INPS entro il quinto giorno di assenza (due, secondo altre versioni). Quindi nel mio caso, da bravo scolaretto, era già stato puntualmente inoltrato. Avendo io la documentazione del pronto soccorso, non ci sono poi stati problemi. Ma la procedura lascia molto a desiderare.
Qualcuno ha forse avvertito il lavoratore di fare una fotocopia? Forse il ministro presume che il primo pensiero di un infortunato sia di acquistare per corrispondenza una macchina fotocopiatrice, dato che certamente non potrebbe assentarsi per andare in cartoleria nell’orario di apertura? E non basterebbe, in questa Italia soffocata dalla burocrazia, modificare il predetto certificato con una ulteriore parte a ricalco, che il lavoratore possa trattenere? Insomma, fatte le nuove regole, ci si accorge come al solito che qualcosa viene dimenticato. Il lupo perde il pelo, ma non il vizio.
Il calo delle assenze nella pubblica amministrazione non è certo un male (al di là dei discutibili criteri di lettura dei dati), ma le trascuratezze delle nuove procedure non sembrano in verità sinonimo di una ritrovata efficienza.

giovedì 4 settembre 2008

Viva i furbi

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Il mondo, dicono in molti, appartiene ai furbi. O forse solo l’Italia, ma per noi fa lo stesso. Perché mai dovrebbe fare eccezione una rampante donna in carriera, passata con rapidità vertiginosa da un’avvocatura mai esercitata (perché sostituita dalla passione politica) alla poltrona ministeriale?
La ministra Gelmini, attuale titolare dell’Istruzione, a suo tempo si era infatti premurata di ottenere la prescritta abilitazione da avvocato tramite l’esame di Stato. Da prima della classe, non averebbe certo dovuto temere l’impegno della prova. Eppure... come resistere nel 2001 alla tentazione di emigrare temporaneamente da Brescia a Reggio Calabria per approfittare di una risaputa condiscendenza? Perché lasciare i ragazzi meriodionali soli ad approfittare di tanta bonarietà? E come avrebbe potuto prevedere, allora, la spregiudicata beniamina di Berlusconi che a distanza di non troppi anni avrebbe assunto i panni della moralizzatrice nei confronti dell’istruzione al Sud, giudicata non senza fondamento scadente nei risultati (ma incolpando prevalentemente, salvo rimangiarsi le parole, l’operato dei soli docenti) ed evidentemente lassista?
Aveva bisogno di lavorare, dice ora Gelmini a mo’ di giustificazione, perché la famiglia “non poteva permettersi di mantenerla troppo a lungo agli studi”. Motivazione quantomeno disinvolta, visto che gli studi erano da tempo terminati e semmai si stava svolgendo il praticantato. E non del tutto coerente, se si pensa che il tipico “post-studente bisognoso” non sottrae tempo al lavoro, o alla sua ricerca, per darsi all’attività politica a tempo pieno, come la nostra ha fatto da subito, comprendendo che le sarebbe di gran lunga convenuto. Insomma, scuse poco logiche, che però il grande pubblico non analizza come tali, preferendo, ne siamo certi, simpatizzare con la (presunta e sedicente) “ragazza povera”.
Visto questo sfortunato precedente, in futuro ci sarebbe da augurarsi che la suddetta ci diletti cimentandosi anche in invettive contro le raccomandazioni, oppure in denunce del servilismo, o ancora in filippiche contro le tendenze truffaldine. Tutti mali che affliggono la società e la politica italiane (e magari anche una piccola parte della burocrazia scolastica) e che meritano di essere denunciati da un’alta cattedra. Sempre che poi qualche indagatore scrupoloso, come in questo caso, non sveli gli altarini: e forse proprio in questo starebbe l’amaro divertimento.
Comunque non vi sono da temere ripercussioni di sorta per un tal genere di infortuni: anzi, in un paese il cui Parlamento rigurgita di inquisiti e condannati, questa “innocente furberia” rappresenta certamente un titolo di merito che vivacizza il curriculum ed iscrive a pieno titolo al vertice della casta: quello, appunto, occupato dai furbi. Né vi è da temere qualche futura penalizzazione elettorale dei medesimi, come sanno bene gli elettori comaschi (a titolo d’esempio) che hanno visto sempre in sella, e riconfermato come assessore, addirittura un condannato per esercizio abusivo della professione medica...

giovedì 28 agosto 2008

Alitalia: l'ennesimo miracolo italiano

Quale imprenditore, trovandosi alle soglie del fallimento, non sognerebbe un colpo di bacchetta magica che facesse pagare ad altri i debiti da lui accumulati, eliminasse il personale in esubero e gli riconsegnasse un'azienda resa più snella e competitiva da alleanze con colossi internazionali?
Per qualcuno, evidentemente, il mondo dei sogni esiste. È il nostro paese, e l'azienda-bidone che verrebbe trasformata in un'avvenente leader del mercato nazionale è Alitalia. Leggendo sui giornali i primi dettagli del piano industriale, ci troviamo di fronte ad un incanto fatato, che segue le promesse elettorali dell'attuale governo. Ma si comincia a capire anche a chi toccherà pagarne i costi.
La parte “cattiva” dell'azienda (coi debiti) viene separata da quella buona, che sarà assegnata ad imprenditori coraggiosi. Grande coraggio, il loro, visto che non pagheranno le azioni allo Stato neppure un centesimo, a differenza dell'offerta di Air France, e che tra qualche tempo saranno liberi di cedere le loro quote al partner straniero, senza l'intervento del quale non si può oggi concludere l'operazione. Tra un po' potremo sapere di chi si tratta. Ma non ci avevano raccontato che bisognava salvare ad ogni costo l'”italianità” della compagnia di bandiera contro le conquiste straniere?
Si salveranno almeno i posti di lavoro, che avevano tanto inquietato i sindacati nelle precedenti ipotesi? Ovviamente no, non si può: i licenziamenti inevitabili sono da due a tre volte più di quelli precedenti, ma ci dicono che occorre rassegnarsi, e che magari il governo potrà riassumere i malcapitati nella pubblica amministrazione, notoriamente a corto di organico.
E come verranno eliminati i debiti? Una volta che azioni e obbligazioni siano divenute carta straccia, spetterà al Tesoro, cioè allo stato, ripianare oltre un miliardo di euro. Oltre ai trecento milioni già erogati come “prestito” ma che a questo punto non rientreranno mai, in barba alle norme europee sugli aiuti di stato.
Questi però sono tutti soldi dei contribuenti. Soldi nostri, gettati al vento senza ottenere in cambio alcun servizio. È vero che in passato ho volato un paio di volte con Alitalia, e forse è una colpa, ma mi sembra eccessivo farmela scontare col costringermi a pagare questo ulteriore balzello.
Magari sarebbe da accogliere il suggerimento di ordine generale che, dalle pagine di “Libero”, lancia il ministro Brunetta: “Se lo stato spreca, fategli causa”. Temo proprio che con Alitalia si stia preparando l'occasione più clamorosa di sperpero che la storia italiana di questi anni potrà ricordare. Non vedo chi potrebbe esserne felice.