Albrecht Dürer, Navis Stultorum (in S. Brant, Narrenschiff - 1497)

giovedì 25 settembre 2008

Un ricordo del "Giovio" (da studente)

Con l'occasione del nuovo anno scolastico, ecco una sintetica retrospettiva della mia lontana esperienza di studente, che mi è stata chiesta per l'annuario dell'Istituto.
Premetto che non sono mai stato un fanatico del Giovio come istituzione: non ho mai sentito l'esigenza di periodici “pellegrinaggi alle radici” (pur essendo nato in questi edifici all'epoca in cui la struttura ospitava il reparto maternità dell'ospedale cittadino), ma in qualche modo la mia esistenza si è legata a più riprese al Liceo. La casa dove ora risiedo fu in passato abitata da un suo preside, al Giovio ho conosciuto la ragazza che mi avrebbe accompagnato, o subìto, per il resto della mia esistenza (ovviamente, la cosa migliore che mi sia capitata tra queste mura), al Giovio sono tornato come insegnante, anche se per scelta del provveditorato, non su mia insistenza. Coincidenze, che però sono significative anche in una città piccola come la nostra.
Il Giovio da me vissuto come studente è quello di circa trent'anni fa: una struttura molto simile (senza la palestra grande e gli ampliamenti recenti), ma con un numero di studenti inferiore alla metà dell'attuale. Anche allora però non ci si conosceva tutti; le occasioni di confronto erano rappresentate soprattutto da assemblee studentesche molto diverse dalle odierne giornate autogestite, con discussioni a volte ingenue su argomenti spesso più grandi di noi, cosa della quale ovviamente eravamo poco consapevoli. Neppure avevamo “progetti” da attuare o di cui usufruire a cura dell'istituzione, teatro a parte. La scuola era essenzialmente lezione, con qualche occasione di incontro politico in più (manifestazioni), e anche con qualche luminosa eccezione alla routine (ricordo una serie di concerti blues organizzati in orario serale...).
Il Liceo era comunque da tempo strutturato per l'istruzione di massa, senza quel carattere elitario che era appartenuto a stagioni precedenti, e viveva quindi tutti i problemi storici della scuola italiana. Si assisteva inoltre all'attenuarsi, e poi all'esaurirsi, di una stagione di politicizzazione intensa – di lì a poco sarebbero arrivati gli anni Ottanta e il cosiddetto “riflusso nel privato” – anche se abbiamo noi pure avvertito gli echi degli “anni di piombo”, culminati con il rapimento e l'omicidio di Aldo Moro.
Per me sono comunque stati anni di partecipazione intensa alle dinamiche della vita interna alla scuola, con l'esperienza dell'elezione (allora ancora politicizzata) al consiglio di istituto, e soprattutto con quella del gruppo giovanile che si riuniva a S. Filippo (dove attualmente sorge il parcheggio del Valduce). Un'esperienza di discussione, di formazione e di condivisione di ideali che ha molto arricchito quegli anni, integrando la dimensione educativa della scuola, insegnandomi a ricercare e a trovare gli spazi necessari per la riflessione personale. Opportunità come questa, oggi, mi sembrano assai rare se non del tutto assenti. Sul versante “studio”, le richieste di allora erano forse inferiori (in termini quantitativi, avendo meno discipline e ritmi non forsennati), tant'è vero che l'attività da me maggiormente praticata nel molto tempo libero di quegli anni è stata una lettura appassionata cui devo il mio caos mentale passato e presente, assieme a un poco di musica e di volontariato. Praticamente assenti la discoteca e il peregrinare da un locale all'altro: epoca felice, in cui questi rituali consumistici erano appena agli inizi e venivano praticati da personaggi che guardavamo con commiserazione. Minori disponibilità economiche e minore condiscendenza dei genitori ci aiutavano forse a ricercare anzitutto nella comunicazione e nel confronto, più che nella ricerca dei luoghi di svago, il senso del nostro stare assieme. Ci prendevamo sul serio, ma senza esagerare....