Albrecht Dürer, Navis Stultorum (in S. Brant, Narrenschiff - 1497)

mercoledì 2 luglio 2008

Dialogo in politica? Magari, se appena si fosse capaci di ascolto (e onesti)

“Quattro occhi vedono meglio di due”: così recita un noto proverbio. Ma questo principio di saggezza popolare non sembra davvero molto praticato nel confronto politico attuale, dove sembra accadere di tutto, tranne che l’instaurarsi di un dialogo costruttivo tra posizioni diverse.
È certamente legittimo che ciascuno ritenga di avere le migliori soluzioni ai problemi della “cosa pubblica”, e ancor più che abbia il diritto di metterle in pratica quando riceve il mandato popolare: da qui a pensare di avere sempre e comunque ragione, però, ce ne corre. Soprattutto perché occorrerebbe avere sempre come faro l’interesse generale, in maniera trasparente e non viziato da interessi di bottega
Ascoltare le opinioni altrui è segno di rispetto e di prudenza, e insieme rappresenta un aiuto importante per sottoporre a verifica, e magari migliorare, i propri progetti. Mentre la rinuncia all’ascolto si manifesta sempre più spesso nell’indifferenza e nel fastidio per le osservazioni e le proposte che provengono “dall’altra parte”, che si tratti di una maggioranza sorda ad ogni emendamento dell’opposizione, oppure di un’opposizione arroccata nel rifiuto preconcetto delle altrui proposte. Pessima abitudine, ormai diffusa non solo tra gli schieramenti politici avversi, dato che conosciamo bene non solamente carismatici “uomini soli al comando”, ma pure semplici sindaci che non riescono proprio ad ascoltare le indicazioni delle opposizioni, e anche verso i sostenitori ostentano a più riprese sordità. L’unico parametro riconosciuto sembra essere la sottomissione. O così, o sei fuori.
A chi giova tutto questo? In realtà a nessuno. Quel che di certo si ottiene è il progressivo deteriorarsi dei rapporti di convivenza civile, assieme alla perdita della capacità di mediazione, che non consiste necessariamente in compromessi scialbi e confusi. Nulla di grave, per chi coltiva un atteggiamento narcisistico e decisionista: costui ama sentire soltanto sé stesso, è per principio chiuso al riconoscimento dell’altro, e lo accetta solo come semplice spettatore. Ha invece di che preoccuparsi chi vede così compromessa l’essenza del gioco democratico, che è molto più un “ragionare insieme attorno a un tavolo” che non un “chi vince piglia tutto”: alla fine, che vantaggio può venire dal lacerare una comunità, anziché tentare di raccoglierla intorno a valori ampiamente condivisi? Non l’arrogante, bensì solo chi è veramente forte, non teme di mettersi in gioco in un dialogo autentico: saldo nei propri principi e insieme disposto a migliorarsi, egli considera le altre persone portatrici di ragioni che non devono essere sottovalutate, ma – appunto – valutate per quello che sono. Forse, oggi, è proprio questa forza che manca, non solo nei rapporti tra maggioranze e opposizioni, ma anche nelle dinamiche interne ai partiti.