
Albrecht Dürer, Navis Stultorum (in S. Brant, Narrenschiff - 1497)
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mercoledì 17 aprile 2013
Locali "no slot" e impegno dei consumatori
Destano perplessità le dichiarazioni di alcuni esercenti che hanno fatto l’encomiabile scelta di non installare nei loro locali macchinette per il gioco d'azzardo. In sostanza, il Comune li avrebbe delusi non riconoscendo un contributo economico o fiscale a questo gesto di buona volontà. Mi sembra corretto precisare che, nella mozione da noi approvata lo scorso ottobre in consiglio comunale, non era però previsto alcun impegno dell’amministrazione in tal senso, sostenendo invece l’apposizione di un “marchio di qualità” utile a far riconoscere ai consumatori la natura “slot free” del locale. Dipendesse da me, vorrei che ogni incentivazione al contrasto alle dipendenze, da gioco o altro, venisse comunque favorita, anche al di là dei noti problemi di bilancio. Ma occorre rendersi conto delle implicazioni giuridiche di un provvedimento che volesse accordare condizioni di favore a esercenti "virtuosi", a scapito di altri, i quali a onor del vero non svolgono un’attività contraria alle disposizioni di legge, e che agirebbero a buon diritto contro la discriminazione.
Il terreno su cui la discussione va riportata è piuttosto quello della sensibilità sociale, dell’educazione familiare e, perché no, della tensione morale. In questo senso, chi agisce bene ha già in sé la propria ricompensa. So che non è un concetto che va per la maggiore, ma proviamo a pensare cosa avverebbe se tutti lo mettessimo in pratica.
Inoltre, come consumatori è piu che opportuno venire sensibilizzati all’importanza delle proprie scelte. Per questo l’appello a scegliere con consapevolezza e determinazione quei locali che esporranno la vetrofania “no slot”, piuttosto che altri, è un nostro contributo a rafforzare l’impegno di chi fa scelte coraggiose, meritevoli di essere gratificate. Sono piccoli segnali che aiutano molto a cambiare mentalità già da ora, e che in fondo possono anche avere un’incidenza economica. Mi auguro che col tempo si possa avere qualche sorpresa positiva a riguardo.
Il terreno su cui la discussione va riportata è piuttosto quello della sensibilità sociale, dell’educazione familiare e, perché no, della tensione morale. In questo senso, chi agisce bene ha già in sé la propria ricompensa. So che non è un concetto che va per la maggiore, ma proviamo a pensare cosa avverebbe se tutti lo mettessimo in pratica.
Inoltre, come consumatori è piu che opportuno venire sensibilizzati all’importanza delle proprie scelte. Per questo l’appello a scegliere con consapevolezza e determinazione quei locali che esporranno la vetrofania “no slot”, piuttosto che altri, è un nostro contributo a rafforzare l’impegno di chi fa scelte coraggiose, meritevoli di essere gratificate. Sono piccoli segnali che aiutano molto a cambiare mentalità già da ora, e che in fondo possono anche avere un’incidenza economica. Mi auguro che col tempo si possa avere qualche sorpresa positiva a riguardo.
giovedì 16 luglio 2009
Il parlamento (a servizio del popolo) scongiura il pericolo della class action
Finalmente Roberto Antonione. potrà asciugare le lacrime versate nel novembre del 2007, quando, da senatore di FI, sbagliò a votare e permise l'approvazione della legge sulla “class action” voluta dal governo di centrosinistra. Com'è noto, questo è uno strumento processuale che consente a una pluralità di soggetti che intendano far valere un diritto - siano essi consumatori o utenti di un certo servizio - di adire l’autorità giudiziaria con un’unica causa i cui esiti si riflettano su tutta la categoria.
La nuova maggioranza, di centrodestra, dopo aver sospeso l'efficacia della norma, ne ha ora approvato in Senato una versione modificata, producendo una vera e propria legge beffa. Anzitutto, grazie a un emendamento di Alberto Balboni del Pdl, è esclusa la retroattività: ad esempio non si potranno intentare azioni collettive contro la Parmalat, la Cirio e le banche dei bond argentini, con buona pace dei proclami che la politica ha prodotto per mesi ed anni. Non è previsto nessun ruolo per le associazioni dei consumatori, come invece avviene in tutta Europa; del resto proprio l'UE sta avviando una class action transfrontaliera, ossia capace di varcare i confini nazionali, in cui queste associazioni hanno un ruolo legittimato e riconosciuto. Al contrario, chi vuole far parte di un’azione collettiva in Italia deve ora presentarsi singolarmente, col rischio, quasi certo, di intasare e paralizzare tribunali e segreterie, sbagliare le procedure e creare confusione, come hanno spiegato i presidenti di tutte le principali unioni di consumatori.
Gli utenti che intraprendessero un'azione collettiva contro una grande azienda con motivazioni in seguito ritenute invalide, sono minacciati non solo dal rimborso delle spese giudiziarie, ma anche dal risarcimento di un fantomatico “danno punitivo” apportato alla controparte. Si noti che non vale però il contrario. Non basta: i consumatori ricorrenti dovrebbero dimostrare anche di avere un interesse “identico”. Di proposito non si adopera il termine “omogeneo”. Qual è la differenza? Che le richieste di risarcimento devono appunto essere identiche. Com'è possibile, se, per fare un esempio, ogni danneggiato Cirio o Parmalat ha sottoscritto le obbligazioni in tempi diversi e investito una somma diversa?
Perché chi ci governa non comprende che i diritti dei consumatori sono sempre più intrecciati alla salute pubblica, alla sicurezza, alla difesa dell'ambiente, alla qualità della nostra vita? Quali sono i veri interessi che si vogliono difendere con simili provvedimenti?
La nuova maggioranza, di centrodestra, dopo aver sospeso l'efficacia della norma, ne ha ora approvato in Senato una versione modificata, producendo una vera e propria legge beffa. Anzitutto, grazie a un emendamento di Alberto Balboni del Pdl, è esclusa la retroattività: ad esempio non si potranno intentare azioni collettive contro la Parmalat, la Cirio e le banche dei bond argentini, con buona pace dei proclami che la politica ha prodotto per mesi ed anni. Non è previsto nessun ruolo per le associazioni dei consumatori, come invece avviene in tutta Europa; del resto proprio l'UE sta avviando una class action transfrontaliera, ossia capace di varcare i confini nazionali, in cui queste associazioni hanno un ruolo legittimato e riconosciuto. Al contrario, chi vuole far parte di un’azione collettiva in Italia deve ora presentarsi singolarmente, col rischio, quasi certo, di intasare e paralizzare tribunali e segreterie, sbagliare le procedure e creare confusione, come hanno spiegato i presidenti di tutte le principali unioni di consumatori.
Gli utenti che intraprendessero un'azione collettiva contro una grande azienda con motivazioni in seguito ritenute invalide, sono minacciati non solo dal rimborso delle spese giudiziarie, ma anche dal risarcimento di un fantomatico “danno punitivo” apportato alla controparte. Si noti che non vale però il contrario. Non basta: i consumatori ricorrenti dovrebbero dimostrare anche di avere un interesse “identico”. Di proposito non si adopera il termine “omogeneo”. Qual è la differenza? Che le richieste di risarcimento devono appunto essere identiche. Com'è possibile, se, per fare un esempio, ogni danneggiato Cirio o Parmalat ha sottoscritto le obbligazioni in tempi diversi e investito una somma diversa?
Perché chi ci governa non comprende che i diritti dei consumatori sono sempre più intrecciati alla salute pubblica, alla sicurezza, alla difesa dell'ambiente, alla qualità della nostra vita? Quali sono i veri interessi che si vogliono difendere con simili provvedimenti?
mercoledì 17 giugno 2009
Il passo del gambero
Si è mai vista una banca o un'assicurazione votare in Parlamento? Noi elettori abbiamo mai dato mandato ai rappresentanti del popolo di tutelare gli interessi di monopoli, cartelli, organizzazioni consociative al posto di quelli della "gente" di cui tutti si riempiono la bocca in campagna elettorale? Per gli eletti il mantenimento dei privilegi corporativi viene forse prima della difesa dei cittadini? Queste domande sorgono spontanee dopo la lettura della relazione annuale del presidente dell'Antitrust, Antonio Catricalà, presentata lo scorso 16 giugno.
L'attività delle Camere, infatti, registra uno "stillicidio di iniziative volto a restaurare gli equilibri del passato, a detrimento dei consumatori", e così, anziché adeguarsi alle normative già approvate, i monopolisti fanno finta di nulla e resistono, certi che qualche azione compiacente li esimerà dal cambiare le antiche abitudini e che i costi della recessione graveranno interamente sulle nostre spalle.
Che in Italia la modernizzazione del quadro giuridico in senso favorevole alla libera concorrenza stenti ad affermarsi è sotto gli occhi di tutti: basterebbe rammentare le alzate di scudi contro il povero Bersani nella passata legislatura e contemplare la colpevole inerzia in proposito di quella presente. Nel paese è anzi in atto un tentativo di tornare indietro rispetto alle pur timide conquiste ottenute dai consumatori, con grave pregiudizio della nostra competitività futura, seppur con grande convenienza per le rendite di posizione e le corporazioni.
Com'è possibile che non pochi "onorevoli" (le virgolette sono d'obbligo) sentano il bisogno, come sta avvenendo, di abolire le parafarmacie, colpevoli di praticare modesti sconti sui farmaci da banco, oppure di cancellare la facoltà di recesso annuale nel settore assicurativo? Perché per la legge sulla "class action" il rinvio voluto dal Governo non è servito a nulla, e si profila piuttosto un suo peggioramento?
È pur vero che dovremmo essere abituati al peggio: i politici sedicenti fautori del liberismo economico, in Italia, hanno manifestato nei fatti atteggiamenti spesso risibili e contraddittori, sino ad invocare un protezionismo più o meno spinto con la scusa di "affrontare la crisi". Ma quale può essere la vera ragione per cui non si vuole modernizzare il paese sotto questo aspetto e invece, secondo il messaggio dell'Authority, si tende a invertire il cammino? Perché a suo tempo non ci hanno fatto leggere nei loro programmi elettorali questa volontà di restaurare l'antico, di garantire i privilegi di pochi grandi gruppi e potentati economici? Ripeto, li abbiamo eletti per farci tutelare o per farci turlupinare?
L'attività delle Camere, infatti, registra uno "stillicidio di iniziative volto a restaurare gli equilibri del passato, a detrimento dei consumatori", e così, anziché adeguarsi alle normative già approvate, i monopolisti fanno finta di nulla e resistono, certi che qualche azione compiacente li esimerà dal cambiare le antiche abitudini e che i costi della recessione graveranno interamente sulle nostre spalle.
Che in Italia la modernizzazione del quadro giuridico in senso favorevole alla libera concorrenza stenti ad affermarsi è sotto gli occhi di tutti: basterebbe rammentare le alzate di scudi contro il povero Bersani nella passata legislatura e contemplare la colpevole inerzia in proposito di quella presente. Nel paese è anzi in atto un tentativo di tornare indietro rispetto alle pur timide conquiste ottenute dai consumatori, con grave pregiudizio della nostra competitività futura, seppur con grande convenienza per le rendite di posizione e le corporazioni.
Com'è possibile che non pochi "onorevoli" (le virgolette sono d'obbligo) sentano il bisogno, come sta avvenendo, di abolire le parafarmacie, colpevoli di praticare modesti sconti sui farmaci da banco, oppure di cancellare la facoltà di recesso annuale nel settore assicurativo? Perché per la legge sulla "class action" il rinvio voluto dal Governo non è servito a nulla, e si profila piuttosto un suo peggioramento?
È pur vero che dovremmo essere abituati al peggio: i politici sedicenti fautori del liberismo economico, in Italia, hanno manifestato nei fatti atteggiamenti spesso risibili e contraddittori, sino ad invocare un protezionismo più o meno spinto con la scusa di "affrontare la crisi". Ma quale può essere la vera ragione per cui non si vuole modernizzare il paese sotto questo aspetto e invece, secondo il messaggio dell'Authority, si tende a invertire il cammino? Perché a suo tempo non ci hanno fatto leggere nei loro programmi elettorali questa volontà di restaurare l'antico, di garantire i privilegi di pochi grandi gruppi e potentati economici? Ripeto, li abbiamo eletti per farci tutelare o per farci turlupinare?
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