Albrecht Dürer, Navis Stultorum (in S. Brant, Narrenschiff - 1497)

martedì 22 febbraio 2011

Un Parlamento che condona, promuove, incoraggia gli abusi

Con l'avvallo della Lega e del Pdl (Casoli) e, ancor più vergognosamente per me, del PD (Gasbarri) è stato approvato in Senato l'emendamento 2366 al famigerato "Milleproroghe", che esenta i partiti dal pagamento integrale delle multe per le innumerevoli affissioni abusive della campagna elettorale del marzo 2010, ossia quelle dei prepotenti che occupano spazi non destinati a loro.
Non sono noccioline: tra sanzioni per manifesti abusivi e spese di defissione i Comuni ci rimettono ogni volta da 80 a 100 milioni, ed essendo ormai il sesto condono nell'arco della "seconda repubblica", vi è chi calcola che dal 1994 questa furberia sia arrivata a costarci addirittura un miliardo e duecentomila euro. Infatti con questo andazzo le multe non rientrano mai, mentre le spese per ripulire i muri vanno comunque sostenute dalle amministrazioni locali.
C'è un termine per definire tutto questo?
È difficile evitare il turpiloquio, quando coloro che siedono in Parlamento per stabilire le regole sono i primi ad escogitare sistemi per aggirarle, incoraggiando i farabutti a nuovi abusi in occasione anche di future elezioni.
Comunque credo che sia appropriato parlare in questo caso di una profonda, inescusabile disonestà, la quale rende indegni i sostenitori di questo emendamento di occupare con onore il loro posto.
Ma, francamente, non sono anche un po' cretini, questi politici che pontificano contro il qualunquismo delle critiche generiche nei confronti della casta e poi non perdono occasione per offrire loro un fondamento più che adeguato? Con quale faccia vengano poi a chiederci il voto (faccia che appunto campeggia sui manifesti, abusivi e non), è un mistero. O meglio, è fin troppo chiaro: contano sul fatto che cittadini disattenti o rassegnati, ma anche conniventi o affascinati dalla sfacciataggine dei pataccari, li confermino sulle loro beneamate poltrone, dimostrando così che la prova elettorale, pur producendo risultati pienamente legittimi, non è affatto un test di intelligenza.