Albrecht Dürer, Navis Stultorum (in S. Brant, Narrenschiff - 1497)

mercoledì 30 settembre 2009

Scudo fiscale: la vera cultura del governo

Lo definiscono in settimana. L’aspettano con ansia migliaia di disonesti. Può risolvere i problemi di piccoli evasori e di grandi farabutti. È lo “scudo fiscale”, l’ennesima sanatoria di un governo alla forsennata ricerca di soldi. Lo stesso governo che si proclama implacabile con clandestini e ladri di polli (a parole, almeno), diventa assai condiscendente con profittatori in guanti gialli e con riciclatori di denaro poco pulito.
Il testo del decreto legge correttivo della legge anticrisi, fatto proprio dalle commissioni riunite Bilancio e Finanze che lo avevano approvato martedì, è già stato varato al Senato, con in più la sostanziosa modifica di un emendamento del senatore del Pdl, Salvo Fleres (che il dio degli evasori l’abbia sempre in gloria!). Con esso lo scudo fiscale viene esteso ai reati tributari e alle violazioni contabili, come il falso in bilancio. Inoltre è stabilita la cancellazione dell'obbligo di segnalazione da parte dei professionisti ai fini delle norme antiriciclaggio. Viene estesa la copertura garantita dallo scudo fiscale per le società collegate o controllate estere e, ci informa “Il Sole-24 ore”, sembrano esserci buone possibilità anche per i detentori illegali di immobili oltreconfine.
Non dirò, con Anna Finocchiaro, che “era più onesto il cartello di Medellin”, presentatosi al governo colombiano per offrirgli di far rientrare i capitali all'estero e aiutare così il bilancio pubblico. Ma è sotto gli occhi di tutti che nessuno potrà più indagare sulla costituzione di certi patrimoni, garantiti dall'anonimato, in spregio a qualsiasi norma di civiltà del diritto.
Ancora una volta i cittadini vengono educati dai loro rappresentanti in Parlamento al rispetto di un unico principio etico-giuridico sul quale evidentemente deve reggersi il Paese, almeno per chi vota il provvedimento: Pecunia non olet.
Quale cultura esprime un governo quando afferma in sostanza che non ci si deve preoccupare della provenienza dei soldi che introita? Quale conseguenza ci si deve attendere, se la furbizia di chi evade, di chi froda, di chi non paga i creditori e attua una concorrenza sleale, viene sempre premiata ogni due o tre anni, oltretutto con puntualità impeccabile? Quale dissesto stiamo recando alla parte sana e corretta del tessuto economico del nostro paese? Sono questioni che non sfiorano chi ritiene impossibile contrastare seriamente l’evasione, fors’anche perché non gli è in fondo sgradita, né certamente ritiene di poter aumentare la coscienza civile promuovendo l’adempimento dei propri doveri fiscali con politiche di sgravi e detrazioni per i contribuenti onesti.
Che importa se nella Costituzione c’è scritto il contrario? Al solito, si sceglie la via più facile, quella che in cambio di qualche ipotetico quattrino devasta il senso dello stato, della legalità, della coesione sociale. Un risultato di cui andare fieri.