Albrecht Dürer, Navis Stultorum (in S. Brant, Narrenschiff - 1497)

giovedì 4 giugno 2009

Il Nobel per l'economia a Bossi e Tremonti. Risolto il problema della povertà nel Sud del mondo

Nei suoi comizi nel lodigiano Umberto Bossi ha appena rilanciato uno degli slogan più antichi della Lega: "Aiutarli a casa loro". "Loro", ovviamente, sono gli abitanti dei paesi poveri: di concerto con Tremonti, l'ineffabile statista ed economista lancia "l'idea che si possa aggiungere l'uno per cento ad alcuni articoli di grande consumo. Chi va a comprare, potrà scegliere se comprare quelli oppure le stesse cose a prezzo normale". Il ricavato della vendita a prezzo maggiorato dovrebbe confluire in un fondo "che serve appunto a realizzare quello che serve nei paesi da cui provengono gli immigrati". Apprendiamo poi dalla voce di Giorgetti che su questo progetto il duo Bossi-Tremonti aveva già cominciato a lavorare qualche anno fa.
Occorre proprio pensare tanto, per formulare una proposta di tal genere. Il risultato è notevole: dopo grandi sforzi, si è finalmente trovato un modo per aiutare i paesi in via di sviluppo. Nessuno di noi avrebbe mai saputo, altrimenti, come sostenere concretamente progetti di aiuto, magari attraverso ONG, associazioni di volontariato, padri missionari e simili. Invece, a quanto pare, c'è assoluto bisogno di un fondo burocratico a gestione statale, alimentato con i contributi volontari dei consumatori. Quanto volentieri gli stessi consumatori si disporranno a partecipare, in questo momento di crisi evidente e di bilanci familiari ridotti all'osso, è facile immaginare.
Ma la causa, si dirà, è altamente benefica. Lo è indubbiamente. Proprio per questo, la proposta dei due luminari dell'economia planetaria si evidenzia come l'ennesima baggianata cui i politici italiani fanno ricorso quando non sanno mantenere le promesse, offensiva per l'intelligenza degli elettori e ancor più per la miseria dei popoli indigenti. Gli impegni ufficiali suonavano, già dal precedente governo del centrodestra, come un impegno a destinare lo 0,33% del Pil all'aiuto allo sviluppo entro il 2006. Ebbene, con i tagli delle finanziarie di Tremonti, la percentuale destinata dall'Italia alla cooperazione era scesa dallo 0,17% allo 0,11%, poi risalita un poco (per “colpa” di Prodi), e attualmente attestata attorno allo 0,15%, dato anche che le quote continuano a essere falsate dalla contabilizzazione della cancellazione del debito dei Paesi in via di sviluppo; in termini reali, c'è stata una riduzione di 100 milioni di dollari sui valori per l’aiuto pubblico allo sviluppo nel solo periodo 2007-2008. Prendendo in considerazione gli impegni presi nel passato, si tratta di un buco stimabile in 3 miliardi di dollari sino ad ora, che si traducono in mancata assistenza a milioni di persone che hanno bisogno di cibo, acqua, istruzione e educazione.
Chi è in grado di sapere perché tale quota si sia costantemente ridotta, anziché aumentare? Noi non potremmo scommettere esattamente se i soldi mancanti siano andati a coprire i buchi milionari di Alitalia, o del comune di Catania, o per un rivolo di altri sprechi minori legati ai privilegi della casta. Sappiamo solo che ora vengono a raccontarci che dovremmo essere noi, con un modesto aggravio sulla spesa quotidiana, a fornire a uno stato sprecone i soldi per una doverosa opera di solidarietà. Personalmente rispondo che fornire alibi a chi non sa amministrare, e ha sinora costantemente ridotto gli impegni di solidarietà internazionale, non è compito mio. Pago già ampiamente le tasse dovute, e mi spaventa non poco l'idea di nuovi "calderoni" in cui una parte cospicua del denaro eventualmente raccolto se ne andrà, per usare un gentile eufemismo, in consigli di amministrazione e "spese di gestione". Per "aiutarli a casa loro" ci sono già numerose organizzazioni non governative, in genere molto più affidabili: sarà un caso che anche a loro, da qualche anno in qua, il governo abbia lesinato sempre più contributi ed agevolazioni?