Albrecht Dürer, Navis Stultorum (in S. Brant, Narrenschiff - 1497)

venerdì 8 agosto 2008

Micioni castrati: citazioni tra passato e presente

“Se la Repubblica italiana è diventata la repubblica della partitocrazia una grande responsabilità l'abbiamo anche noi giornalisti. Anziché ringhiare come cani da guardia, abbiamo fatto le fusa come i micioni castrati accanto al caminetto di chi comanda”. Così scriveva Giampaolo Pansa sul “Corriere della Sera” il 13 maggio del 1993.
Quindici anni dopo può fornire qualche spunto di riflessione una serie di citazioni provenienti da quel mondo remoto, ove ci si poteva illudere che la politica avrebbe subito una trasformazione radicale, e ancor più che il giornalismo italiano avrebbe cambiato volto. Quale migliore occasione di Tangentopoli e della critica radicale al sistema politico di allora per abbandonare l'atteggiamento descritto da Pansa, uscendo dalle pastoie dell'“advocacy journalism” (quello che conosce la verità ancor prima di conoscere i fatti) per tendere, almeno in parte, verso una maggiore imparzialità. Magari per porsi, nei confronti del potere – di ogni potere – come il “cane da guardia” della tradizione giornalistica anglosassone, teso in primis all'interesse del lettore e alla difesa della democrazia. Un puro sogno? Ciascuno può valutarlo considerando il presente ed il recente passato, a partire dal confronto con questa fotografia della situazione di quei primi anni Novanta (quando, se non altro, l'uso della lingua italiana era soggetto ancora a qualche forma di controllo sintattico-grammaticale e di aspirazione alla qualità che oggi sembrano essersi completamente dissolti, soprattutto nei TG, ma anche sulla carta stampata).

«La colpa, l'eterna tentazione, e alla fine la vera corruzione, è l'intimità con il potere, perché significa rinunciare al proprio compito e al proprio dovere... Troppo spesso tutto ciò è stato dimenticato nella convinzione diffusa di far parte di una superclasse che annullava i confini tra i potenti e i giornalisti in un parassitismo reciproco pronto a calpestare gli interessi dei lettori» (Ezio Mauro, La Stampa, 14.3.1994).
«È mancato finora nella mappa cromosomica dei giornalisti italiani quello spirito antagonista che ne dovrebbe fare i controllori dei potenti» (Vittorio Roidi, L'Europeo, 21.5. 1993).
«Troppo spesso ci siamo accontentati di una informazione di Palazzo, appagati dal “tu” accattivante che ci veniva elargito dai potenti» (Claudio Alò, Corriere della Sera, 21.7.1993)
«I giornali non chiedono più le inchieste, hanno capito che le inchieste sono pericolose, che in un modo o nell'altro si lede sempre qualche interesse economico... I grandi giornali appartengono a un pugno di grandi aziende che si aiutano tra loro» (Giorgio Bocca, L'Europeo, 21.5.1993)
«In Italia per oltre quarant'anni non c'è mai stata un'informazione televisiva degna di questo nome. E, purtroppo, non è una esagerazione affermare che i telegiornali italiani sono i peggiori del mondo occidentale industrializzato... non arriviamo a capire come possa essere permesso a delle persone incompetenti di fare questo mestiere... In parole povere, non c'è quasi nessuno che sopravviverebbe un solo giorno in uno dei network americani o in qualunque altra televisione seria» (Wolfgang Achtner, corrispondente della CNN, Micromega, 1/1994).
«Ci si rifugia nell'aneddoto, si cancella la memoria storica; si osservano le vicende con sguardo acritico... Si pubblica qualsiasi cosa, purché sia nuova: senza storicizzarla e senza vagliarla; senza fornire ai lettori gli strumenti per capire. Anche questa, forse, è una mancanza di deontologia» (Marcelle Padovani, corrispondente del Nouvel Observateur, Il Messaggero, 14.3.1994).
«Un cameratismo, e anche peggio, tra politici e giornalisti, tra imprenditori e giornalisti, ha spesso preso il posto di quel distacco e antagonismo che producono un'informazione spassionata» (Roger Cohen, Gannet Center Journal, primavera 1990).
«Mentre nella teoria liberal-borghese l'informazione giornalistica è pensata come soggetto “altro” dal sistema politico/economico e, per molti versi, anche dai privati cittadini che essa pretende di rappresentare, la stessa cosa non avviene nel modello che si è venuto realizzando in Italia, dove esiste una forte compenetrazione tra élite dei media ed élite politiche, o più generalmente élite del potere, tale che spesso finiscono con lo sposare il punto di vista delle aree culturali e politiche alle quali esse sono, in misura diversa, collegate» (Paolo Mancini, novembre 1991)